“Ho scelto il titolo Vipera perché per me ha una stratificazione di diversi significati: un significato letterale, un significato emotivo e un significato più simbolico. Mi ha colpito subito questa parola perché appena mi sono trovata nelle mani della polizia ungherese non riuscivo a capire niente di quello che mi succedeva intorno, perché non avevo minimamente dimestichezza con la lingua ungherese, che è molto difficile. Mi ha colpito questa parola, ‘vipera, vipera’, pensando che fosse un modo dispregiativo degli agenti, quasi un insulto. Invece poi, dopo ore quando è arrivata l’interprete, ho scoperto che vipera in ungherese è un bastone telescopico, un oggetto che, mentre ero ammanettata vicino al taxi, un agente con una stana barbetta mi aveva infilato nel marsupio a tracolla insieme a un cappello di lana”. Così l’eurodeputata Ilaria Salis a Che tempo che fa su canale NOVE.
Su come è stata arrestata: “Appena mi hanno fatto scendere dal taxi, mi hanno ammanettato dietro la schiena senza chiedere i documenti, senza dire cosa stavano facendo e senza dare alcun tipo di spiegazione. Poi sono stata portata da un’agente donna a bordo di un furgone parcheggiato a bordo strada, perché nel frattempo erano arrivate un sacco di forze dell’ordine con svariati mezzi. Questa donna mi ha controllato da capo a piedi e si è resa conto che non avevo addosso nulla, mi ha detto tutto ok ma che dovevo andare in questura per un controllo. Ho sempre partecipato a manifestazioni e può capitare che ogni tanto si venga identificati, però stavolta la situazione era estremamente diversa da tutte le situazioni che avevo visto nella mia vita fino a quel giorno”
Sul giorno dell’onore e sul perché era lì: “Il giorno dell’onore è un tentativo di riscrivere la storia: è una giornata in cui viene celebrato il tentativo da parte di un plotone nazista insieme ai collaborazionisti locali ungheresi di rompere l’assedio della città nel febbraio del ’45. Questo raduno si svolge a partire dagli anni 90 ed è diventato negli anni uno dei più grandi raduni di gruppi di estrema destra, gruppi molto pericolosi che provengono da tutta Europa e si concentrano lì a migliaia. Si vedono scene indecenti: sfilano con le svastiche, militanti che indossano elmetti delle SS. Io ero lì per manifestare come tanti contro tutta questa situazione”.
Sull’accusa di aver aggredito militati neonazisti: “Nemmeno i testimoni che sono venuti presenti in aula (mi hanno riconosciuta ndr). Io ho fatto 15 mesi di carcere preventivo, senza che sia stato portato nulla, nessun elemento, perché se ci fossero stati degli elementi a fondamento delle accuse, io credo che il processo si sarebbe concluso molto prima. Il problema è che questo processo in qualche modo per il governo ungherese è un processo politico: sebbene il processo in tribunale non si sia ancora concluso, il problema è che più e più volte sono stata bersaglio di dichiarazioni molto pesanti rilasciate da esponenti del governo e dallo stesso Orban anche quando è venuto in visita qui in Italia. Loro mi descrivono come una delinquente, una terrorista e dicono che merito una pena esemplare. Io non penso che sia un accanimento nei confronto della mia persona, ma che sia un accanimento contro gli antifascisti perché il governo Orban comunque tollera questa manifestazione della giornata dell’onore. Quando sono uscita dal carcere ho scoperto, tramite i giornali, che il giorno in cui sono stata arrestata dei neonazisti hanno aggradito delle persone che hanno riportato delle lesioni molto gravi, un ragazzo che ha perso dei denti, fratture del cranio. A questi neonazisti cosa è successo? Due di loro sono stati arrestati in flagrante, come riportano i giornali ungheresi, e in seguito sono stati rilasciati dopo due giorni di fermo. Non hanno fatto neanche un giorno di prigione, mentre io, che sono innocente, che sono stata tirata giù ad un taxi in maniera assolutamente arbitraria per fatti avvenuti giorni prima, sono dovuta rimanere in carcere per 15 mesi”.
Sulle conduzioni di detenzione: “È stata veramente veramente molto dura, al di là delle condizioni materiali. Il problema è stata la pressione che le guardie mi mettevano addosso, con una serie di stratagemmi: io non ho parlato per più di 6 mesi con la mia famiglia, appena sono arrivata in questura mi hanno tolto tutti i miei vestiti e mi hanno fatto rivestire con vestiti sporchi, logori. .. Sono rimasta per un mese e mezzo con degli stivali con dei tacchi a spillo, non avevo le ciabatte per fare la doccia e sempre per un mese e mezzo non hanno fatto passare il pacco che il consolato italiano stava cercando di portarmi. Tant’è che sono rimasta per un mese e mezzo con un solo paio di mutante e di calze. Mentre io aspettavo solo di parlare con la mia famiglia e di essere messa in comunicazione con l’Italia, affinché mi aiutassero a uscire dall’incubo in cui ero finita, cosa succede dopo i tentavi e le pratiche? Mi negano i colloqui e di parlare al telefono con mia madre e mio padre. Perché sostenevano che c’era un pericolo di inquinamento delle prove: la procura insinuava che i miei genitori potessero essere complici di questo reato. Sono riuscita dopo 6 mesi a parlare con loro e sono riuscita a vederli dopo 8 con in mezzo un divisorio, non ho potuto stringere la mano o abbracciarli finché non sono uscita”.
Sull’immunità parlamentare: “Sono stata liberata e il processo è stato sospeso nel momento in cui sono stata eletta (al Parlamento Europeo ndr) per la legge che prevede l’immunità parlamentare. La situazione è però ancora aperta perché l’Ungheria ha chiesto al Parlamento la revoca, una richiesta arrivata con un tempismo a dir poco dubbio. Nel mese di ottobre Orban è venuto nel Parlamento Europeo a presentare il semestre di presidenza ungherese del Consiglio. Io ovviamente sono intervenuta, come tantissimi altri colleghi, nella plenaria criticando il regime ungherese e il fatto che un governo così potesse essere alla testa del Consiglio. Il giorno successivo le autorità ungheresi hanno trasmesso la richiesta di revoca. Questa è un’ulteriore conferma del fatto della strumentalizzazione politica di questo caso. Adesso il parlamento sarà chiamato a decidere, con una procedura della commissione affari giuridici che si svolge a porte chiuse. Io dunque spero vivamente che i miei colleghi si rendano conto della situazione e che si rendano conto che non può esserci un processo giusto contro gli antifascisti in Ungheria. Questo ce lo dimostrano le catene, perché non può una persona essere portata legata in quel modo davanti a un giudice perché dà già un’immagine di colpevolezza ed è vietata dalle normative europee. [Il giudice non ha obiettato nulla sulle catene] perché questa in Ungheria è una prassi, avevo avuto modo di vedere questo prima di andare a processo in tv. Al telegiornale tutti giorni si vedono processi in cui le persone vengono tradotte in catene. La cosa che mi agitava di più era il suono metallico della catena su di me, perché l’avevo ai piedi, e perché avevo la cella che dava sul cortile del carcere dove la mattina le persone transitavano alle sette per andare in udienza e mi svegliavo con quel suono. Non mi svegliavo in realtà a quell’ora, perché ci svegliavano alle cinque battendo sulla porta”
Sul movimento per i senza casa: “Io a volte mi stupisco di come una certa parte dei giornali e della politica riescano a strumentalizzare e a stravolgere la realtà. Nel dire che chi si occupa delle persone che non hanno casa toglie la casa ad altri. I movimenti per la lotta per la casa occupano case del patrimonio pubblico che sono rimaste sfitte perché c’è un sistema che non funziona. Ci sono case di edilizia popolare che sono fatte per essere assegnate a persone che ne hanno bisogno, ma questo meccanismo non funziona. In Lombardia è una tragedia. Delle persone che non hanno la casa, da sole o con dei movimenti, entrano in case lasciate abbandonate. Non sono proprietà privata, ma sono palazzi con appartamenti pubblici fatti apposta per quello cioè per essere abitate da persone che non possono permettersi affitti più alti o accesso a un mutuo, che non hanno altro modo per avere un tetto sopra la testa”.
Sulle condizioni carcerarie in Italia: “Ho visitato alcune carceri del nord Italia e mi sono resa conto che il carcere è sempre carcere, per quanto si possa dire che è diverso da Paese a Paese. Si tratta di qualcosa che è progettato per annientare l’essere umano e secondo me dovremmo proprio superare e arrivare a gestire i rapporti di giustizia in altri modi.”