Intervista agli Sharasad: emozioni, oscurità e il viaggio di Tales from the Rabbit Hole

Con il loro album di debutto, Tales from the Rabbit Hole, gli Sharasad ci invitano a scivolare in un mondo onirico e surreale, dove ogni traccia diventa una storia ricca di simboli potenti e atmosfere immersive. La band modenese, che affonda le radici in un'amicizia profonda e nella passione per il racconto umano, unisce sonorità intense e narrazioni evocative per creare un'esperienza musicale unica. Attraverso immagini di tempeste, veleno e oscurità, gli Sharasad esplorano debolezze e contraddizioni dell’animo umano, conducendo l’ascoltatore in un viaggio nella tana del coniglio, tra sogni e introspezione. In questa intervista, scopriremo i retroscena di questo ambizioso progetto, il percorso che li ha portati a collaborare con Overdub Recordings, e i loro piani per il futuro.

Il vostro album di debutto, Tales from the Rabbit Hole, è descritto come un viaggio onirico e surreale. Come è nata l'idea di raccogliere queste "storie" e trasformarle in un disco?

L’idea di raccontare storie sull’essere umano è nata con la band stessa, ancora prima di questo disco. Trattandosi del primo album ciò che abbiamo provato a fare è stato di mettere in pratica l’idea. L’idea di utilizzare come immaginario comune al nostro interno elementi come il sangue, il veleno, la tempesta, ecc. è servita a creare ulteriormente amalgama tra musica e parole al fine di creare nove diverse colonne sonore per l’ascoltatore.

Ogni traccia rappresenta una debolezza umana attraverso elementi potenti come tempeste, fumo e veleno. Come avete scelto questi simboli per raccontare i temi di rabbia, frustrazione e paura?

L’elemento è stato individuato successivamente ad aver abbozzato i primi pezzi, molto naturalmente. Faccio un esempio, quello di Odysseus: “Ok, questo riff porta nella nostra mente immagini di un mare in tempesta, concentriamoci su questo”. Il tema, poi, è vero che fa da linea guida, ma le canzoni devono essere in grado di muoversi, di snodarsi attorno al tema principale per portare in quel mondo l’ascoltatore in pochi minuti.

Tales from the Rabbit Hole si apre con una “ninna nanna oscura” che introduce l’ascoltatore nel viaggio dell’album. Come avete costruito questa atmosfera di inizio e quali emozioni sperate di suscitare?

Durante la registrazione dell’album, abbiamo chiesto a Francesco Landi (produttore) di aiutarci a creare una traccia extra, un intro elettronica che fosse completamente distaccata a livello di musica suonata dalle altre canzoni. L’obiettivo era proprio quello di creare un momento di sonno, un paio di minuti di ninna nanna durante i quali l’ascoltatore potesse lasciarsi cadere nella tana del coniglio, addormentarsi, perdere i sensi prima di iniziare questo particolare viaggio.

Avete descritto la tana del coniglio come un luogo oscuro dove questi racconti e sogni prendono vita. Come avete tradotto questo concetto in termini di suoni e arrangiamenti musicali?

Penso che questa valutazione possa essere più appropriata spiegata da un ascoltatore. Per noi la tana del coniglio è sì un luogo oscuro, ma non un posto nel quale si debba avere paura, non un posto dal quale si debba scappare: semplicemente bisogna perdersi all’interno, passare del tempo con queste emozioni. Ognuno deve conoscere la propria tana, deve abbracciare il proprio coniglio perché tanto è lì: ogni tanto ci lascia in pace, altre volte ha voglia di giocare con noi e uscire.

Qual è la traccia che vi ha impegnato di più nella fase di scrittura e produzione? C’è una canzone che rappresenta particolarmente la vostra identità musicale?

Le tracce che ci hanno impegnato di più sono state le ultime scritte: Horror Vacui e Von Vayld, the Mind Drinker. Non tanto per la complessità dei pezzi, ma perché avevamo voglia di registrare, di avere un album tutto nostro; quindi, ci siamo autoimposti un po’ di pressione per terminarli. Sono state le canzoni sulle quali abbiamo sbattuto di più la testa.

Il progetto è nato in una piccola sala prove a Modena, e da lì siete arrivati alla collaborazione con Overdub Recordings. Quali sono stati i momenti più significativi del vostro percorso fino a oggi?

Eravamo prima amici, poi abbiamo iniziato a suonare insieme. Questo è fondamentale nel voler vivere delle esperienze insieme che potremo ricordare davanti ad una birra tra 40 anni: suonare dal vivo in club dove abbiamo passato la vita ad ascoltare altre band, scrivere canzoni, caricare un auto con gli strumenti per andare a suonare fuori città, conoscere altre band, la voglia di migliorarsi, avere costanza nelle prove. Sono tanti i momenti, ma creare delle esperienze insieme pensiamo sia al primo posto.

Sharasad è un nome che evoca storie e racconti misteriosi. Quanto l’immaginario visivo e narrativo influenza la vostra musica e le vostre esibizioni dal vivo?

Tanto. Non vogliamo essere ripetitivi, ma per noi la musica è questo: unire suoni e parole per creare dei cortometraggi che possano risultare mistici all’orecchio, parlare di Ulisse non come eroe, come uomo fallibile mentre quando accendiamo la radio sentiamo testi di finto impegno politico, macchine, soldi, ecc. In tanti sono li ad ostentare argomenti che fanno comodo, ma sono argomenti putridi. Certo, probabilmente servono anche quelli, ma a noi piace così.

Guardando al futuro, avete già idee per nuovi progetti? Come immaginate l’evoluzione del vostro sound e delle vostre storie?

Questa è una bella domanda: attualmente ci stiamo concentrando sui live, ma abbiamo già concordato che dalle prossime prove proveremo a fare proprio ciò che ci chiedi. Ricercare, sperimentare, improvvisare per capire quale sarà la prossima storia.

 

 

 

 

 

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