di Mariano Sabatini
<<Sono
la mamma della Tv ma nessuno se lo ricorda>> ripeteva con civetteria nel
2011, ma oggi ce la ricordiamo. La lady di ferro delle buone maniere: poteva definirsi
così Elda Lanza, la prima presentatrice della televisione italiana, che il
prossimo 5 ottobre avrebbe compiuto cento anni. Nata a Milano il 5 ottobre del
1924, pur molto timida e riservata, con un’educazione di stampo ottocentesco, aveva
un carattere irriducibile infatti, e solo grazie a quello riuscì, in anni in
cui vigevano patriarcato e maschilismo rigidissimi, a compiere imprese
straordinarie. Giornalista e scrittrice per tutta la vita, capace di
reinventarsi giallista di successo oltre gli ottanta, sfondò il tetto delle
duecentomila copie vendute con la sua fortunata serie di romanzi sull’avvocato
Max Gilardi.
La
televisione nascente – siamo nei primi anni Cinquanta dell’altro secolo –
cercava una bella ragazza per le sue trasmissioni sperimentali. Così qualcuno
alla Rai pensò di convocare Elda Lanza, nome d’arte di Elda Bonetti (doveva
chiamarsi Hildegarde come la bisnonna austriaca ma le leggi fasciste lo vietavano),
avendo notato i suoi pezzi di arredamento sulla rivista Grazia; lei scriveva
novelle anche per il periodico Bolero Film. In realtà l’avrebbero voluta come
autrice, ma quando la incontrarono decisero di darle un’opportunità:<<Mi
presento con un vestitino di cotone a quadri azzurri, a maniche corte,
accollato. Da brava ragazza, timida – rammentava in un’intervista a Alessandro
Dell’Orto di Libero – Mi spiegano che vogliono testi di architettura, che poi
faranno leggere a una ragazza alta, bella e bionda. Il regista Franco Enriquez
però sente la mia voce e resta colpito! Facciamole fare un provino>>.
Solo che i provini, facevano sul serio allora, divennero quattordici. Quando
terminarono e la assunsero, le si avvicinò un signore: <<Mi scusi, lei si
occupa anche di calcio?>>, la ragazza, timidissima, rispose sconfortata
che no, di sport proprio non sapeva nulla. Quel tipo, ossia il telecronista più
famoso dell’epoca Niccolò Carosio, tirò un sospiro di sollievo: temeva di
rimanere disoccupato, tanto era brava. Era l’8 settembre del 1952, la Rai
sarebbe nata ufficialmente nel gennaio 1954 con gli annunci di Nicoletta
Orsomando e Fulvia Colombo, e la giovane Elda iniziò a ideare e presentare
programmi che poi sarebbero passati ad altri e alla storia del piccolo schermo:
Una risposta per voi (al professor
Alessandro Cutolo), Arrivi e partenze (a
Mike Bongiorno), Un due tre (a Ugo
Tognazzi e Raimondo Vianello). La leggenda narra che il termine presentatrice,
non annunciatrice, fu coniato proprio per lei.
La
sua prima apparizione fu su una scaletta intenta a piantare un chiodo ma si dava
il martello su un dito… scenette di vita quotidiana. Con qualche scaldaletto, un
Topo Gigio troppo languido e allontanato, Ugo Tognazzi che le mette ripetutamente una mano sul
ginocchio e lei che glielo toglie. Per due anni conduce Per voi, signora: <<Subito dopo il telefilm Rin Tin Tin.
Rubriche di moda, cucina, arte e lavori a maglie per le casalinghe italiane,
stando sempre molto al linguaggio utilizzato. La “vendita all’asta” diventava
“vendita al dettaglio”, i “membri del Governo” solo ministri, “gli scapoli”
erano “non sposati”…>> A sorvegliare le trasmissioni, in quella Italia
ancora rurale che contava pochissimi abbonati, quelli reclutati dalle Radio e Telesquadre
capitanate da Enzo Tortora, Renato Tagliani, Luciano Rispoli, c’era addirittura
una suora che poi riferiva alle sfere vaticane: <<Suor Pasqualina
guardava le nostre trasmissioni e poi riferiva al Papa che a volte chiamava
personalmente la nostra direzione per lamentarsi>>. Una volta Elda pensò
bene di indossare dei pantaloni in onda e successe il pandemonio, la
inquadrarono solo dalla vita in su e le diedero della lesbica. Ma lei con le
donne ci stava benissimo, il suo tempo libero lo dedicava alle operaie delle
fabbriche per spiegare che potevano chiedere e ottenere gli stessi diritti dei
colleghi uomini. E che finché non li avessero avuti avrebbero dovuto pretendere
tutti i privilegi della femminilità. Condusse Vetrine e il rotocalco culturale Avventure in libreria, dedicato ai ragazzi, con interviste ai
maggiori scrittori dell’epoca, compreso Italo Calvino.
In televisione rimase finché non avvertì la noia della reiterazione, poi fece in modo di farsi cacciare. Per colpa dello spot di biscotti a cui decise di prestare la sua notorietà (all’epoca in Rai era vietata, pensate un po’, la commistione commerciale ed editoriale), per il quale la pagarono così tanto – nove milioni di vecchie lire - che poté comprarsi l’appartamento milanese in cui visse con il marito, il pubblicitario Vitaliano Damioli, e il loro figlio Massimo, fino a che non decisero di trasferirsi in Piemonte, ormai in pensione, a Castelnuovo Scrivia. Dove per l’ennesima volta reinventò la sua esistenza.
<<Mi
richiamerete, quando avrete bisogno di me!>> Aveva detto ai dirigenti che
la congedavano. E così fu. Nel medio periodo, quando le perdonarono lo spot dei
Pavesini, e poi in tarda età, con Michele Mirabella, Giancarlo Magalli, Benedetta
Parodi e Caterina Balivo a contendersi i suoi racconti. Ad esempio sugli amici,
importanti, di una vita: Umberto Eco e Furio Colombo (sui redattori agli albori
televisivi), Dario Fo, Walter Chiari, Giorgio Gaber che scriveva le proprie canzoni
mangiando salame, seduto sul suo tappeto in salotto. E poi sul suo professore
alla Sorbona di Parigi, nientemeno che Jean Paul Sartre.
Più
o meno nel 2010, incappai nel suo nome e m’incuriosii per l’omonimia, non
dovuta a parentela, nel leggere i suoi pezzi sulla rivista culturale del
giornalista Cesare Lanza. Il karma di Elda era intrecciato alla scrittura, non
ci sono dubbi. Feci ricerche e poi, facendomi passare l’indirizzo e-mail, le
scrissi. Ne nacque una fitta corrispondenza e poi un’amicizia che si rinsaldò,
tra viaggi, confidenze e sostegno reciproco, quando mi diede da leggere un suo
dattiloscritto. Non fu difficile, pensando al passato di comunicatrice che
aveva e ravvisando il grande talento narrativo, convincere un editor della
Salani e quindi la direttrice editoriale Maria Grazia Mazzitelli dell’affare
che avrebbe rappresentato la pubblicazione. Arrivò così ai lettori, tra cui
molti che ancora ricordavano le sue imprese televisive, Niente lacrime per la signorina Olga (2012), un successo clamoroso,
con svariate edizioni e tante altre avventure per l’avvocato napoletano
detective Max Gilardi. Lei che a Napoli c’era stata sì e no due volte riuscì nell’impresa
di irretire un nutrito zoccolo duro di estimatori. Aveva già pubblicato romanzi
sentimentali per Sperling & Kupfer negli anni Novanta, in concorrenza con
Sveva Casati Modignani, e poi un galateo per Mondadori, ma l’editoria se l’era
dimenticata. Così come la televisione.
Eppure
mi bastò un sussurro per farla apparire ai Fatti
Vostri e in un programma di Mirabella su Rai3 perché la riscoprissero e
amassero, stavolta come dispensatrice di lezioni di storia del costume - guai a
chiamarlo bon ton - prima ai Menù di
Benedetta su La7 e poi a Detto fatto
su Rai2. L’antica timidezza finalmente stemperata dalla solida professionalità unita
alla saggezza dell’età, e le indubitabili conoscenze, ben sintetizzate nel galateo
per i tempi che cambiano Il tovagliolo va
a sinistra (Vallardi), ne faranno una presenza gradita e sovente richiesta.
Marzullo se ne innamora e la vuole spesso nei suoi programmi, Sottovoce e Mille e un libro.
Dopo una vita di lavoro, anche come responsabile di un ufficio di comunicazioni d’impresa con il quale convinse marchi di moda importanti a investire nella pubblicità sui maxi cartelloni pubblicitari in strada, la pioniera della Tv e del giornalismo al femminile, con una esigua pensione, doveva darsi da fare per arrotondare. Picchiava inesorabilmente sui tasti del suo pc – e sì, che a quasi novant’anni, si era iscritta anche a Facebook che un po’ la annoiava, ma le era necessario per mantenersi in contatto con i lettori – per cavarne romanzi di successo. In pochi anni più di dieci, e non solo gialli. In una sorta di “autobiografia d’invenzione” rievocò le sue disillusioni sentimentali, in cui compare persino l’attore Gerard Philippe che aveva conosciuto; ne nacque Uomini. La stupidità in amore è una cosa seria.
<<Tutti
mi chiedono se ho avuto un amore saffico, ma insomma… ho raccontato decine di
delitti, mica ho mai ucciso mai nessuno!>> ripeteva a seguito della pubblicazione del
romanzo Imparerò il tuo nome, in cui
per l’appunto inscena una vicenda lesbica.
Maestra
di libertà e spregiudicatezza, senza volontà di stupire o provocare. Con poca
voglia di cucinare e occuparsi delle faccende domestiche, trovava la vera
felicità nella scrittura. Praticava il sorriso come terapia per affrontare le
difficoltà della vita; sorriso ed esercizi di respirazione. Un esempio per le
donne, e per tutti. E non smetteva di sognare: <<Vivere fino a 100 anni.
E che finalmente qualcuno mi riconosca il lavoro fatto. Mi rivolgo a
Napolitano: ha premiato sarte e maestranze che hanno fatto la Tv italiana.
Nessuno, però, ha pensato a me>>, affermava. Il Presidente della
Repubblica ovviò ben presto alla dimenticanza e la fece Commendatore al Merito.
A Elda non è riuscita un'unica cosa: tagliare il traguardo dei 100. Ma si è
garantita l’immortalità del ricordo. E l’ultima lezione l’ha impartita quando
nel luglio 2019 le diagnosticarono un carcinoma al pancreas. A 95 anni accettò
con serenità di scriversi l’epitaffio: <<Non ho paura della morte, il
cancro è solo una malattia. Vediamo se ce la farà a togliermi l’entusiasmo>>.
Non ce la fece, il 10 novembre si addormentò con un sorriso per il figlio e il
marito, dopo avermi dettato le istruzioni per i romanzi che sarebbero usciti
postumi. Ultimo del quale, Dimmelo ancora,
in cui racconta la storia d’amore tra una scrittrice e un bellissimo uomo nero
dagli occhi azzurri. Lei, leggendaria, unica, irripetibile, che s’innamorava ogni giorno, soprattutto della
vita.