VINCENZO PARDINI NEL SUO NUOVO ROMANZO HA DATO A GESÙ UN CAGNONE

 


Ci sono romanzi che arrivano sull’onda di una forte ispirazione, ma nel caso di Vita di Cristo e del suo cane randagio (edito da Vallecchi Firenze) si può dire che il grande Vincenzo Pardini – probabilmente uno degli ultimi scrittori puri, indisponibile alle comparsate televisive e alle svendite di altro tipo – lo abbia scritto come atto di fede.

Vi immagina infatti che la figura di Gesù fosse accompagnata da un grosso cane del tipo Maremmano e per scriverlo, come ha dichiarato, ha letto e riletto i Vangeli. Pardini, che il prossimo 7 luglio compirà 74 anni ed è nato a Fabbriche di Vallico mentre vive a Stabbiano, abbastanza isolato e circondato da animali (persino una volpe che lo va a trovare ogni giorno), ha lavorato per tutta la vita come guardia giurata notturna. Ciò dice molto di come gli intellettuali vengano trattati in questa Italia. C’è già chi per questo suo nuovo romanzo appena giunto nelle librerie, in grado di coniugare un innegabile carattere pardiniano, lingua scabra e indisciplinata, a un intenso afflato fideistico, parla di capolavoro. Per portarlo a termine, dicevano, si è affidato alle riletture evangeliche <<di cui sono da sempre un cultore. Infatti  mostrano e rivelano aspetti continuamente nuovi che cerco di approfondire e che mi mettono in sintona con Cristo, che avverto essere Dio, proprio per quello che dice e come lo dice>> ci ha detto lo scrittore toscano.

E l’idea del cane come le è venuta?

In un dipinto che rappresenta l’ Ultima cena, di cui non ricordo il nome dell’autore, in un angolo, si vede un piccolo cane bianco. Ieri come oggi cani randagi si trovano ovunque. Ho quindi pensato che qualcuno di essi potesse unirsi alla comitiva degli apostoli. Credevo di aver ideato qualcosa di desueto, quando in rete ho trovato che Cristo ebbe davvero un cane, che lo accompagnò dall’età di 12 a 27 anni. Ho allora creduto che, in quelle terre, dove certo si trovavano ancora bestie feroci, il cane potesse servigli da compagnia e difesa. Quindi mi sono detto che altro non poteva essere che un antenato del pastore Maremmano Abruzzese, il medesimo di cui parlano anche gli storici Varrone, Catone, Columella e Palladio; un cane rimasto invariato nel tempo. Inoltre ne posseggo uno,  da cui ho molto imparato.

Gesù Cristo appare in questo suo  romanzo una grande figura  letteraria, merito suo o ha  dovuto solo descriverlo?

Ho cercato di rifuggire dalla letteratura, per meglio raccontare Cristo in forma di cronaca. L’ho fatto avvalendomi anche dell’esempio del Vangelo di S. Giovanni, forse il più cronachistico. Non a caso descrive perfino il gesto compiuto da Cristo quando si sgancia il  mantello per lavare i piedi agli apostoli. Le grandi verità sono spesso racchiuse in un piccolo dettaglio, ma che bene  evidenzia il sopraggiungere di una persona o di un evento

Ha avuto cedimenti, ripensamenti, dubbi nella stesura?

Sì. Temevo di non riuscire nell’intento. Dovevo fare in modo e maniera che la mia scrittura non incrociasse frasi e parole di Cristo, non ne reggeva il confronto e si  sbriciolava. Una cosa non facile da spiegare. Le parole e le frasi di Cristo sprigionavano una forza immensa, che solo venendoci a contatto si può capire. Nello stesso tempo mi rigeneravo e trovavo, sebbene tra i dubbi, l’energia per proseguire. Condizione mai vissuta nei mei precedenti libri.

La sua grande storia letteraria pesa quando si mette a scrivere? In altre parole le dà ansia da prestazione?

Certo pesa, in quanto sopraggiungono due timori. Di non riuscire a risolvere e concludere il lavoro che sto realizzando, e di non  farcela a raccontare qualcosa di nuovo, e quindi di ripetermi. I pugili finiscono per essere suonati dai pugni, gli scrittori dalle parole e  dagli stati d’animo.

Apparentare Cristo a un cane potrà generare qualche polemica?

Ci ho pensato, ma ho anche pensato che un scrittore deve essere libero e deve raccontare quanto gli dettano le idee  che lo sollecitano a mettere penna in carta. Ho sempre concepito la scrittura come un esercizio  di libertà. Cristo, sebbene sia Dio, una volta  divenuto uomo, ha vissuto e sopportato quanto la vita del suo tempo gli metteva davanti. Quindi pure la condizione di avere un cane per amico.

Chi sono i lettori ideali di Vita di Cristo e del suo cane randagio?

Io penso chiunque abbia voglia di leggere.  Un vero lettore non dovrebbe avere pregiudizi di alcun genere, ma solo curiosità e desiderio di ampliare i suoi orizzonti.




L’amore per gli animali avvicina a Dio?

In questo non ho dubbi. Gli animali hanno iniziato ad esistere col medesimo alito di vita che Dio ha infuso  in ogni essere vivente. Cosa che aveva dimostrato di aver ben capito san Francesco nel suo Cantico delle creature. Quindi l’amore per gli animali, proprio perché amore, avvicina anche a Dio. Le strade per giungere a Lui, non dimentichiamo, sono infinte.

Come spiega che spesso Papa Francesco ironizza sul rapporto tra umani e animali?

È probabile che, impegnato quale è sempre stato  nel suo apostolato, non abbia mai avuto occasione di convivere con qualche animale, a cominciare da cani e gatti. Pertanto  deve sembrargli strano che ci siano persone le quali, a suo parere,  amano troppo gli animali. Ma l’amore è pure un esercizio dello spirito, e chi ha amore per le bestie lo ha pure per le persone, recita un adagio delle mie parti. Comunque sia lo trovo anche in contraddizione con Paolo VI e Giovanni Paolo II, i quali definirono i nostri animali di affezione compagni di pianeta e fratelli minori.

Lei ha avuto una vita difficile, scrivere è stata una complicazione in più o l’ha aiutata a superare gli urti?

Direi una complicazione in più. Ho lavorato, come guardia giurata, 40 anni di notte e quando mi sopraggiungeva  l’idea di una  trama cercavo  di allontanarla, perché sapevo che avrei dovuto durare fatica. Talvolta ci riuscivo. Talvolta no. Allora mi mettevo al lavoro e continuavo finché non avevo concluso. E’ stata in questa condizione e atmosfera che ho realizzato i miei libri. Mi lascia perplesso chi dice di divertirsi a scrivere romanzi. Scrivere significa scavare in non noi stessi per meglio capire i personaggi che dobbiamo  esporre nella pagina, quindi occorre sapersi calare dentro di loro come fa un attore che li voglia  interpretare al meglio. Per il resto, sul piano pratico ed economico, piuttosto che fare lo scrittore sarebbe più gratificane essere un bravo artigiano, che so un idraulico, un meccanico, un muratore.  La scrittura, almeno pe me, è stata una prigionia da cui non son mai riuscito ad evadere.

Oggi come vive?

Vivo da pensionato–lavoratore, che deve usare motoseghe e decespugliatori. E vivo, come credo molti, in continua apprensione per le brutte vicende belliche di questi nostri giorni. Vorrei tornasse ovunque la pace. Pur di averla, sarei disposto anche a  sacrificare tutti i miei libri. Penso ai bambini che periscono sotto le bombe. La loro vita e sguardo sono grandi come il cielo. E  un cielo non deve essere oscurato. Per il resto ho qualche altro progetto letterario, ma non perché lo abbia voluto, ma perché mi è venuto a cercare. Fantasmi che vogliono udienza.

Fattitaliani

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