di Francesca Ghezzani
Cesare Ubbiali è laureato in Scienze Agrarie presso
l’Università degli Studi di Milano, ha poi conseguito il Dottorato di Ricerca
in Ecologia Agraria presso la medesima facoltà. Ha collaborato con il
Dipartimento di Produzione Vegetale (Di.Pro.Ve) al progetto dell’APAT inerente
la stabilità biologica dei rifiuti pretrattati e residui da raccolta
differenziata. Da oltre vent’anni, lavora nel ramo del compostaggio e
trattamento meccanico-biologico dei rifiuti con oltre sedici pubblicazioni
scientifiche internazionali all’attivo.
Cesare, cito testualmente una sua dichiarazione: “Ho a
cuore la natura, l’ambiente, la qualità dell’aria per le future generazioni”.
Ecco, pensando invece alle vecchie generazioni, dove è stato l’errore che ci
porta a dover ricorrere ai ripari oggi?
L’impoverimento del suolo. Penso che l’ambiente e la
natura che ci circondano siano importanti per tutti e tutti abbiamo il
diritto/dovere di godere ed usufruire di un ambiente pulito, respirando aria
pura, preservando l’acqua che è divenuta bene sempre più limitato ed allo
stesso tempo, proteggendo il suolo, che è la base per l’agricoltura, al centro
del ciclo degli elementi: il suolo, va considerato come un vero e proprio mezzo
di fissazione e stoccaggio del carbonio (carbon sink) con sequestro dello
stesso (anidride carbonica) dall’aria. Si parla tanto dell’aria e dell’acqua,
ma mai abbastanza del suolo, che è un vero e proprio ecosistema minerale e
biologico: tutta la vita dipende dal suolo, non ci può essere vita senza suolo
e nessun suolo senza vita, si sono evoluti insieme come diceva
Charles Edwing Kellog nel 1938.
Oggigiorno, il suolo andrebbe protetto e conservato
con un ritorno ad un utilizzo più consapevole in ambito agricolo, valutandone
meglio il cambio di destinazione d’uso per scopi industriali e/o residenziali.
Probabilmente, le vecchie generazioni (dagli anni
‘50/60 fino agli anni ’80) erano più preoccupate della crescita economica e
quindi del benessere (dal dopoguerra in poi) che non del “come raggiungere
questo benessere”. È l’idea di “benessere” che va cambiata, benessere è
rispetto della natura e degli ecosistemi. Sia a livello industriale sia a
livello agricolo, abbiamo usato mezzi e prodotti per il cui utilizzo non
potevano essere previsti - nell’immediato - gli effetti sull’ambiente (o forse
sono stati mal soppesati) o, peggio, questi effetti sono stati giustificati dai
reali guadagni in fatto di produzione e di sviluppo. L’esempio più lampante
sono i combustibili fossili che hanno alimentato l’industria ed il trasporto di
beni e che ancora oggi la fanno da padrone, anche se sempre più abbiamo
introdotto la produzione e l’utilizzo di energie rinnovabili.
Ha lavorato per molti anni come Project Manager e
Senior Process & Commissioning Engineer su
progetti nazionali ed internazionali (Gran Bretagna, Scozia, Egitto, Grecia,
Polonia, Romania). Qual è l’attenzione di questi paesi verso l’ambiente
rispetto all’Italia tra comportamenti virtuosi e non?
È chiaramente una questione culturale. Devo dire che
gli anglosassoni, dal punto di vista civico, sono molto più attenti ed
educati di noi al rispetto dell’ambiente, al mantenimento della sua
pulizia e conservazione. La Direttiva 2008/98/CE (poi modificata dalla
2018/851) sull’economia circolare ha introdotto concetti molto importanti
tutt’oggi da perseguire come, per esempio, la gerarchia dei rifiuti:
prevenzione; preparazione al riutilizzo; riciclaggio; altro recupero (anche il
recupero energetico); smaltimento (la discarica).
Questi punti cardine hanno aiutato, anno dopo anno, ad
incrementare la raccolta differenziata dei materiali, compreso il materiale
organico che, raccolto separatamente e trasformato, può oggi generare energia
(attraverso la digestione anaerobica con produzione di biometano) oltre che
fertilizzante organico, attraverso il compostaggio, che grazie al buon
contenuto di sostanza organica e di elementi nutritivi, può essere
vantaggiosamente utilizzato in agricoltura per la fertilizzazione del suolo,
con riduzione dell’utilizzo di concimi chimici.
Valorizzazione agronomica e turismo: c’è un punto di
incontro?
La connessione è diretta. Se intendiamo, ad esempio,
come valorizzazione agronomica anche quella attuata in agricoltura biologia,
ecco che allora il prodotto agricolo che può essere un punto di forza del
comparto produttivo enogastronomico di un determinato territorio diventa frutto
di un utilizzo integrato delle risorse recuperate, come il fertilizzante
organico. L’utilizzo attento e consapevole di questa risorsa, oltre ad agire
sulla fertilità del suolo, diventa parte del sistema produttivo agricolo che in
ogni regione e località ha caratteristiche e punti di forza diversi.
Quanto è importante la formazione del personale nel
suo ambito di competenza?
Il miglioramento tecnologico è rapido ed importante in
tutti i campi. La competenza tecnica degli operatori diventa sempre più
importante per la corretta gestione degli impianti di trattamento ed il
mantenimento di alti livelli di qualità anche nei prodotti ottenuti, per meglio
ottemperare alle sempre più stringenti linee guida normative europee e
nazionali.
Infine, cosa manca oggi in politica tanto da spingerla
a diventarne un esponente?
Sicuramente, una migliore connessione con le persone e
con ogni specificità del territorio aiuterebbe a meglio valutare le scelte e
gli sviluppi delle politiche attuate. La politica deve comprendere le reali
necessità delle persone e del territorio. Penso che una buona squadra debba
avere giocatori con diverse specificità e capacità. Proprio queste diversità
sono il punto di forza per poter fare la differenza. Sono un esperto e
appassionato dell’ambiente, della natura e metto a disposizione le mie
competenze professionali in questo ambito per il mio territorio.