Psichiatra e Psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana. Intervista di Marialuisa Roscino.
Dott.sa Lucattini, può spiegare cosa si intende per
"normopatia"?
Il concetto di normopatia indica un adattamento eccessivo
alle norme sociali al punto da diventare patologico. In altre parole: quando
l'individuo si sforza così tanto ed eccessivamente di conformarsi alle norme
sociali di comportamento, da perdere la sua autenticità e libertà, rischiando di incorrere in una sorta di
malattia della normalità. I primi a descriverla sono stati gli psicoanalisti
Joyce McDougall e Christopher Bollas, i quali mettono in evidenza che nella
personalità normopatica si osserva una scomparsa della soggettività. Lo
psicoanalista francese Christophe Dejours associa il concetto di “normopatia” a
quello di "banalità del male" della storica e filosofa tedesca Hannah
Arendt che lo ha ampiamente descritto nel suo saggio sul processo a Adolf
Eichmann.
Questa dinamica come influisce sulle persone e sulle loro
relazioni?
Nel contesto delle relazioni affettive, la normopatia può
manifestarsi attraverso una sorta di "conformismo relazionale", dove
uno dei partner cerca di adattarsi e conformarsi in modo eccessivo alle
aspettative sociali, a discapito della propria autenticità e benessere
psicologico. Questo può portare a dinamiche disfunzionali, in cui la
coercizione, il controllo e la violenza possono emergere come conseguenze
tragiche di un adattamento distorto alle norme sociali, interpersonali e
relazionali.
Come la normopatia può contribuire al perpetuarsi della
violenza di genere?
Questo fenomeno può essere particolarmente rilevante in
molti contesti, anche in quelli in cui si sviluppano le violenze contro le
donne. Le radici della violenza di genere spesso affondano nella costruzione
sociale del genere stesso, nei modelli di comportamento interiorizzati e
inconsci, sia individuali che familiari. La normopatia, purtroppo, può
contribuire a perpetuare modelli dannosi o patologici. Gli individui
normopatici, conformandosi rigidamente alle norme di genere, potrebbero
adottare comportamenti misogini e discriminatori, poiché la loro personalità,
desoggettivata, aderisce a tali norme in modo assolutamente acritico. Il
normopatico non è in grado di conoscere appieno la perdita subita, avendo
sviluppato un “lutto complicato”, ovvero irrisolto, una forma di dolore che può
evolvere in una perpetua malinconia e in un disorientamento rispetto al fluire
della realtà esterna e una difficoltà a comprendere le emozioni e l’affettività
degli altri.
Quali sono
le possibili conseguenze psicologiche per le donne che si trovano in un
contesto normopatico?
La normopatia diventa un problema quando provoca ansia o
rabbia che interferisce con il funzionamento quotidiano. Il normopatico non è
in contatto con la realtà, vive in un mondo immaginario dove la ricerca della
normalità e l'adattamento al funzionamento personale, al suo benessere individuale e al successo. In
altre parole, si concentra così intensamente su chi lo circonda da perdere il
contatto con se stesso. Le persone che soffrono di normopatia sono fortemente
concentrate sugli altri e reagiscono malamente quando il loro partner esce
dalla norma che loro hanno adottato come assoluta, unica e immodificabile.
Anche piccole cose, un abito ritenuto non adatto alle circostanze, un
modo di dire considerato sconveniente, un comportamento additato come
socialmente inaccettabile, possono scatenare una gamma di reazioni improvvise,
anche aggressive, che colgono di sorpresa chi ne è vittima. Reazioni che vanno dal
disagio, all'ansia, al disgusto, alla rabbia. Poiché le loro false convinzioni
sono accompagnate da una notevole ossessività, i normopatici diventano
insistenti e ripetitivi, non cambiano attraverso il dialogo, credono e
pretendono di avere sempre ragione mettendo in atto tutto il possibile per
ristabilire il loro “ordine costituito”.
Come può
la comprensione di queste dinamiche aiutare a informare sugli approcci
terapeutici?
Gli approcci
terapeutici sono diversi, numerose ricerche dimostrano che insieme alla
psicoanalisi, la psicoterapia dinamica ed altri tipi di psicoterapia ad
impronta relazionale, possono aiutare questi pazienti.
In che
modo, la psicoanalisi può contribuire al processo di guarigione delle donne
vittime di violenza?
La psicoanalisi rende
pensabile l’impensabile, aiuta a dare un significato al terrore e un senso alla
propria vita pervasa dalla paura e dall’annichilimento causato dalla
sopraffazione e dalla violenza.
Inoltre, permette di
trasformare la violenza in sé da semplice fatto, un atto, un’aggressione di cui
non si comprende la motivazione, in un’azione con una valenza emotiva e
intenzionale, anche se inconscia nell’aggressore
Permette inoltre, di
collocarla all’interno della relazione affettiva in cui si è manifestata. Inoltre,
la riflessione rende possibile di contestualizzarla e vederla all’interno del proprio
ambito familiare, nel milieu culturale e sociale che l’ha generata o
semplicemente accolta, senza mai intervenire a difesa della donna.
Quanto
ritiene sia importante una maggiore consapevolezza delle donne dei propri
diritti?
È fondamentale. Talvolta,
può essere ancora presente nelle donne di oggi una forma “residuale” di
maschilismo, interiorizzato e inconscio,
che in alcuni casi le rende succubi di se stesse facendole aderire, del tutto
inconsapevolmente, a modelli relazionale e stereotipi di genere che le
danneggiano e talvolta le mettono in pericolo.
È bene evidenziare,
tuttavia, che le donne dal Dopoguerra ad oggi, passando attraverso i processi
culturali e sociali avviati dal Sessantotto, hanno fatto significativi passi
avanti nella consapevolezza dei propri diritti e nell’affermazione della parità
di genere. Parafrasando il celebre motto coniato durante della Rivoluzione
Francese “Liberté, Égalité, Fraternité” (“Libertà, Uguaglianza e Fraternità”),
la maggior parte delle donne insieme ai loro genitori, sanno di avere il
diritto di realizzarsi all'interno di una vera uguaglianza e si battono insieme
per questo.
Il femminismo contemporaneo
non consiste nell’imitare o nel contrapporsi agli uomini, bensì nel far valere
quotidianamente i propri pari diritti sul lavoro, in famiglia e nella
società, ottenendo il ruolo che ogni
donna si è guadagnato e che si merita in tutti gli ambiti, conciliandolo con le
proprie ambizioni personali con le esigenze affettive e sentimentali, battendosi per essere libere di avere
o meno una propria famiglia.
Dott.ssa Lucattini a
proposito della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza
contro le donne, quali pensieri e azioni devono esserci a Suo avviso, per una sensibilizzazione e comprensione del
problema?
Innanzitutto, essere
pienamente coscienti che non è un problema solo delle donne, ma anche degli
uomini che di queste sono padri, fratelli, amici, partner, compagni di vita.
Il problema della
violenza coinvolge l'intero nucleo familiare anche se si focalizza sulla donna,
basta pensare ai figli, bambini e adolescenti, che assistono alle violenze
sulle loro mamme, ma anche ai genitori che non riescono ad aiutare le proprie
figlie e i familiari degli uomini violenti che non sono in grado di fermarli
anche se si sforzano di agire bene e
orientare positivamente il loro comportamento.
La violenza fa paura,
per questo attiva difese individuali e collettive che vanno dalla rimozione
alla negazione del problema. Anche la sua minimizzazione ne è un’espressione
poiché la paura, lo sconcerto e dolore mentale che provoca ogni forma di
violenza, non sono emotivamente contenibili. Inoltre, è difficile identificarsi
con la vittima di violenza per il timore inconscio di subire la stessa sorte.
Il primo messaggio è che
non bisogna avere paura di parlare di quello che succede, di cui si è
vittima o a cui si assiste, perché non è
accettabile. E denunciare sempre perché si può aiutati. L'aggressione e la
violenza non sono normali e non lo saranno mai. I soprusi e la sopraffazione
non sono “naturali”, ma una costruzione sociale arcaica che non ha più ragione
di esistere, da nessuna parte, nel mondo intero.
Sono naturalmente utili
campagne pubbliche di sensibilizzazione, la facilità di accesso ai numeri verdi
per chiedere aiuto e soprattutto è indispensabile una sensibilizzazione a
partire dalla scuola dell'infanzia che si protragga fino alla fine degli studi
universitari. È necessario crescere vivendo quotidianamente l'uguaglianza e il rispetto
reciproco, interiorizzandoli come valore, incastonandoli nella mente come
diritti inalienabili, le fondamenta per un futuro più giusto, migliore.