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Un percorso all’interno dell’ultimo e forse più grande
romanzo di Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov, che Umberto Orsini affronta
per la terza volta nella sua carriera d’attore come una vera e propria linea guida
e “cavallo di battaglia”. Dopo il fortunato sceneggiato televisivo di Bolchi e
La leggenda del grande inquisitore, questo “nuovo Karamazov” è per Orsini
l’occasione di confrontarsi direttamente con la complessità del personaggio più
controverso e tormentato dell’intera epopea letteraria: Ivan Karamazov, il
libero pensatore che teorizza l’amoralità del mondo e conduce forse consapevolmente
all’omicidio l’assassino di suo padre; Ivan Karamazov, protagonista controverso
e tormentato, colpevole e innocente insieme, ritorna a parlare, come un uomo ormai
maturo che sente di non aver esaurito il suo compito, che sente il suo
personaggio romanzesco troppo limitato per esprimere la complessità del suo
pensiero e chiarire le esatte dinamiche dei “delitti” e dei castighi”… E così
si confessa e cerca di raccontare la sua storia. Compila le sue memorie e tenta
di fare luce sui propri sentimenti e sulla propria filosofia, provandosi a
svelarne le implicazioni criminali in un vero e proprio thriller psicologico e
morale il cui più alto vertice resta l’immaginario poema di Ivan che narra del
confronto metaforico tra un Cristo ritornato sulla terra e un vecchio
inquisitore che crede che Egli si meriti il rogo.
Nella ricchezza d’un linguaggio penetrante quanto immediato
e nell’avvicendarsi degli stati psicologici d’un personaggio “amletico” e
imprendibile, Umberto Orsini è il grande protagonista d’un inedito viaggio
nell’umana coscienza che non teme di affrontare tabù antichi e moderni (la
morte del padre, l’esasperato vitalismo, l’incontro con il diavolo…) precipitando
Ivan Karamazov nel suo personale “sottosuolo” dal quale egli compone delle
allucinate eppure lucidissime memorie, quarant’anni dopo le vicende del romanzo
di Dostoevskij.
L’attore, accompagnato da una musica in stringente e fervido
dialogo emotivo con le parole ch’egli pronuncia, dà luogo ad una straziata e
commovente confessione a tu per tu con sé stesso e con i propri fantasmi, a
metà tra la finzione letteraria e il “pirandelliano” dissidio con un personaggio
in cui ritrova le espressioni più oscure del proprio “io”.
LE MEMORIE DI IVAN KARAMAZOV – Note di Umberto Orsini
Sembra incredibile ma è quasi mezzo secolo che conosco il
signor Ivan Karamazov. L’ho incontrato in uno studio televisivo di Via Teulada,
a Roma, e da allora ci siamo guardati nello specchio e ci siamo confusi uno
nell’altro al punto di identificarci o de-identificarci. L’ho costruito giorno
dopo giorno quell’Ivan, gli ho dato un aspetto severo, l’ho fatto diventare
biondissimo, quasi albino, gli ho messo un paio di occhialini tondi e dei
colletti inamidati di fresco. L’ho difeso da una sceneggiatura che lo penalizzava,
battendomi per dare lo spazio adeguato all’importanza del suo “Grande
Inquisitore”, inizialmente dato per troppo cerebrale e dunque probabilmente
indigesto al grande pubblico. Con lui, specchiandomi in lui, ho trascinato il
pubblico ad un ascolto record in una puntata dei “I Fratelli Karamazov” che lo
vedeva impegnato in una discussione sull’esistenza di Dio. È lì che ci siamo incontrati,
negli anni Settanta, e da allora è stato difficile, per chi in quegli anni ha
seguito quella trasmissione, separare la sua immagine dalla mia. E, a poco a
poco, anch’io mi sono illuso di essere il depositario di quell’immagine, di essere
diventato il suo doppio, il suo SOSIA, per dirla col suo autore, il signor
Dostoevskij. E, negli anni successivi a quel primo incontro in cui gli avevo
prestato le mie sembianze, ho sempre cercato di seguirlo anche fuori dal contesto
del romanzo, immaginando per lui una longevità e un finale che il suo autore
gli aveva negato. Mi sono dunque preso la libertà di rappresentarlo come un
personaggio che resiste nel tempo, e mi sono chiesto, e gli ho fatto chiedere,
perché mai l’autore, il suo creatore, lo abbia abbandonato non-finito. E questo
non-finito me lo sono trovato tra le mani oggi, come in-finito e dunque
meravigliosamente rappresentabile perché immortale e dunque classico. “La vera
vita degli uomini e delle cose comincia soltanto dopo la loro scomparsa” è una
frase di Nathalie Sarraute che ho inserito in questo spettacolo e che, in qualche
modo, ne riassume il senso. Sono grato a Luca Micheletti di aver condiviso la
mia passione per i temi che lo spettacolo sollecita accarezzando la mia persona
con grande cura e protezione. Come si conviene a due vecchi signori: il signor
Ivan Karamazov e il sottoscritto.
IVAN E IL SUO DOPPIO - Note di regia di Luca Micheletti
Il cuore drammaturgico e registico di queste nostre Memorie
di Ivan Karamazov è quello d'una sofferta e sibillina riflessione sull'identità.
Assumendo il romanzo come nucleo mitologico "a monte", ci siamo
chiesti chi sia Ivan. Un personaggio, d'accordo. Ma anche l'incarnazione
romanzesca di un nodo ideologico cruciale e, quindi, un alter ego dell'autore… Ivan
è una creatura narrativa che, nonostante le diffuse connotazioni che lo descrivono
e le molte pagine che Dostoevskij gli dedica, sfuma nell'imprendibile: è la
maschera e il pretesto di logiche segrete, negate. È un protagonista che si sottrae
alla centralità, individuo che si rifrange in una pluralità di riflessi
cangianti, è un'invenzione sospesa, quasi incompiuta. Identità plurime e
osmotiche, cui nel nostro caso se ne affiancano anche altre, di natura
metateatrale. Sì, perché il nostro Ivan è anche un personaggio-ossessione, che
accompagna cinquant'anni di carriera di un mirabile "capitan Achab"
della nostra scena, un attore che insegue la sua balena enorme e veloce, la
arpiona e si lascia trascinare… dapprima in uno sceneggiato-feticcio che la RAI
manda in onda nel 1969, poi in diverse incursioni sottotraccia che sfociano in
uno spettacolo sul solo "Grande Inquisitore" di un decennio fa, e ora
in questo confronto a tu per tu con l'intera parabola romanzesca di Ivan, che è
anche una personale ricapitolazione di luoghi e memorie. Ivan e Umberto, il
personaggio e l'attore che lo incarna, osservano la loro storia, esplorano i
loro ricordi, riascoltano le loro testimonianze a più voci (che sono poi sempre
una sola, quella di Orsini, che risponde oggi alla sua voce
di cinquant'anni fa… incredibile occasione!), celebrando un
accorato e solitario processo di sincronizzazione interiore.
Dostoevskij abbandona Ivan al suo destino dopo il processo per
il parricidio: è sembrato interessante ripartire da lì, dal processo.
Prigioniero di quell'aula, di un finale mai scritto, di una sentenza sbagliata,
il nostro Ivan continua ad aggirarsi tra i frammenti della sua esistenza,
osservati come prove materiali di fatti e memorie che riemergono a strappi, negli
spazi di lucidità che gli concedono le febbri cerebrali, nel circolare
affastellarsi di teorie e ricordi, in un girotondo giudiziario kafkiano e
grottesco, sempre meno reale, che inesorabilmente scivola nell'ultraterreno.
Dal 10 al 22 ottobre
dal martedì al venerdì h 21 – sabato h 19 – domenica h 17
debutto martedì 10 ottobre h 21
LE MEMORIE DI IVAN KARAMAZOV
con Umberto Orsini
drammaturgia di Umberto Orsini e Luca Micheletti
dal romanzo di Fëdor M. Dostoevskij
regia LUCA MICHELETTI
scene Giacomo Andrico
costumi Daniele Gelsi
suono Alessandro Saviozzi
luci Carlo Pediani
assistente alla regia Francesco Martucci
produzione Compagnia Umberto Orsini
Durata: 70’
Biglietteria Intero: 25 euro - Ridotto over 65: 20
euro - Ridotto Cral/Enti convenzionati: 18 euro - Ridotto studenti: 16 euro
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