Questo scivolamento a valle, lo spopolamento e l’abbandono sono fenomeni di lungo periodo – con un picco tra gli anni Cinquanta e Settanta – e hanno determinato quella disgregazione del paesaggio agrario che ha riguardato tutta l’Italia. Particolarmente colpite le aree montuose del nostro Paese, a cui si pensa spesso come un mondo altro, di realtà che si sono cristallizzate nel tempo e sono incapaci di evolvere. A Cheese invece Slow Food, insieme agli ospiti e ai produttori presenti, ha cercato di proporre una narrativa diversa, per mostrare come la montagna non possa essere relegata ai margini del nostro mondo, né possa essere vista come un altrove passato.
Pazzagli sostiene che questo non è un processo irreversibile o ineluttabile, ma mostra altresì come, per invertire la tendenza, sia necessario agire comprendendo le ragioni di questo declino, partendo da una visione, elaborando una strategia e, dunque, progetti concreti: «Dobbiamo dare a chi torna, ai giovani che guardano alla montagna l’idea che questa davvero possa costituire un modello di vita alternativa. Ma perché davvero lo sia, perché davvero costituisca un’alternativa dobbiamo portare in montagna i servizi essenziali – che sono a tutti gli effetti dei diritti – come le scuole, i trasporti, e altro. E dobbiamo rileggere i territori attraverso i paesaggi, i paesi e i prodotti, che costituiscono un patrimonio non solo per le comunità che ci vivono, ma per tutta la società».
A Pazzagli fa eco Antonio De Rossi, docente ordinario di Progettazione architettonica al Politecnico di Torino e autore, fra gli altri, del libro La costruzione delle Alpi. «Il problema del rapporto tra urbano e rurale è globale, ma vede l’Italia come protagonista del dibattito. Negli anni della pandemia si è registrata una nuova attenzione verso la montagna, ma spesso quello che si tende a proporre è l’idea di un mondo idealizzato, turistico, fatto di piccoli borghi, osterie e vasi di gerani sui davanzali. Un’idea estetizzata che cancella la possibilità di vedere altre opzioni di sviluppo e, di fatto, molto pericolosa. Invece, quello che si dovrebbe proporre, e ciò per cui si dovrebbe lavorare, è un’idea di montagna in grado di generare funzionalità ed economie».
La montagna, insomma, non solo come meta turistica, e luogo di evasione, ma un luogo in cui si sviluppino servizi per l’abitabilità adatti alle aree interne, e su cui investire facendone emergere anche le potenzialità di innovazione. Continua De Rossi: «Bisogna ricostruire l’economia delle aree montane, mettendo in luce come qui si possa affermare una visione fortemente innovativa, dove il sapere scientifico dialoga con le economie agricole e montane». I casi che cita De Rossi vanno proprio in questa direzione: nelle Alpi piemontesi, Ostana (Cuneo), che è passata dai 5 abitanti di una ventina di anni fa, ne conta oltre 50, tra cui molti giovani e nuovi arrivati, che lì hanno trovato un luogo in cui sviluppare i propri progetti di vita; in Appennino, Gagliano Aterno, nell’Aquilano, si è ripopolato mettendo al centro l’ecologia e la proposta concreta di nuovi modi di abitare, lavorando anche sul tema della transizione energetica.
Dai margini, la montagna può tornare al centro dell’attenzione: dopo anni di abbandono e spopolamento può riprendere a essere viva e abitata, ma affinché questo succeda è necessario un cambio di passo. È necessario proporla come un luogo da abitare 365 giorni all’anno e non soltanto durante le vacanze, ed è necessario che la politica se ne occupi, elaborando strategie specifiche per le aree interne.
«La Strategia forestale nazionale è frutto di un lavoro corale, discusso e condiviso da un ampio pubblico – spiega il direttore generale dell’economia montana e foreste Alessandra Stefani –. L’obiettivo è quello di valorizzare e promuovere l’agricoltura di montagna e i pascoli montani come fondamentali presìdi della biodiversità in queste aree. E anche quello di riconoscere il giusto alle persone che garantiscono importanti servizi ecosistemici. Perché senza i luoghi e senza le persone non andiamo da nessuna parte».
Di queste nuove economie e di queste energie Cheese si fa promotore proponendo come sempre, accanto alle voci di studiosi ed esperti, le testimonianze di chi la montagna la vive portandovi un’idea di agricoltura e allevamento rispettosi, in armonia con un ambiente fragile e delicato, da trattare con cura. Molti degli espositori presenti al mercato, le pastore, i pastori e i contadini – tra questi, Miguel Acebes dell’azienda Tularù, parte della rete Slow Grains, intervenuto alla conferenza – che sono le testimonianze concrete di questo mondo troppo spesso collocato ai margini e che invece può e deve essere protagonista di rigenerazione.