Chiunque abbia avuto la fortuna e il piacere di visitare Vivian Suter nella sua casa attorniata dal giardino – o meglio, da una foresta privata – presso la cittadina guatemalteca di Panajachel, sulle rive del lago Atitlán, dovrà ammettere che l’esperienza è difficilmente paragonabile a una qualsiasi “studio visit”. (Consapevole della sua estrema riservatezza, confido che Suter non me ne vorrà per questa mia calorosa pubblicità. Spero un giorno di tornare a trovarla!) In effetti, concorre a rendere la visita così memorabile il fatto che non vi sia un reale studio di cui parlare. (1) Ormai da decenni, Vivian Suter è nota per essersi votata unicamente alla pittura all’aperto, che nel suo caso non equivale all’en plein air di stampo impressionista quanto, semmai, alle volte naturali delineate dal fitto paesaggio di alberi giganti, in buona parte piantati dalla stessa artista – il che rivela la sconvolgente rapidità con cui si compie il ciclo vegetale in questo angolo di mondo tropicale –, e che spadroneggiano sul suo hortus conclusus. Per l’esattezza, gli impressionisti ritraevano solo spazi pubblici; Suter, invece, dipinge perlopiù confinata nel perimetro del proprio giardino, godendo della sola compagnia dei suoi cani. A tal proposito, ricordo che di ritorno dagli Altopiani occidentali del Guatemala, nel dicembre del 2022, portai con me due monografie, intitolate rispettivamente Panajachel e Bonzo, Tintin & Nina. Quest’ultima prendeva il nome dai tre cani dell’artista, uno dei quali era morto poco prima della mia visita; su alcuni dipinti sono chiaramente visibili le orme delle loro zampe. (2) Mi ero spinto fino a Panajachel per discutere con Suter della sua partecipazione a una mia mostra dedicata al tempo. Mi interessava appurare fino a che punto l’artista lasciasse liberi di agire (anzi, incoraggiasse attivamente) i cosiddetti “elementi” – caldo, pioggia, sole, vento – affinché contribuissero a plasmare il suo stesso lavoro.
1. Buttando giù questa frase, penso agli innumerevoli piaceri derivanti dal privilegio di una vita lavorativa vissuta, in larga parte, dentro gli studi d’artista; è quindi evidente che non intendo qui denigrare il concetto di studio. Tutt’al più, mi interessa leggere il rifiuto da parte di Suter di uno spazio creativo circoscritto alla luce del complesso rapporto tra l’arte e la vita “reale”, cioè il mondo concreto da cui l’arte, per sua stessa definizione, deve sempre cercare di allontanarsi. La sua opera è profondamente radicata nella lunga storia – essenziale alla comprensione dell’ethos delle avanguardie – di negoziazione dell’arte con la “vita”, in cui la sperimentazione artistica confluisce inesorabilmente nel più ampio contesto degli esperimenti del vivere (e Suter ha certamente condotto, e tuttora conduce, una vita “sperimentale”). In uno dei più suggestivi testi giornalistici pubblicati di recente sulla vita e le opere di Suter, Pablo Larios riporta la seguente affermazione dell’artista: “Perché dipinge all’aperto?” “Perché così sento di non perdermi nulla.” In Pablo Larios, “Family Trees: Elizabeth Wild and Vivian Suter”, Frieze, 210, marzo 2020.
2. Panajachel è stata pubblicata dal Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía nel 2021; Bonzo, Tintin & Nina è una co-pubblicazione di Hatje Cantz e Kunstmuseum Luzern realizzata nel 2019.
*estratto dal testo nel catalogo della mostra Vivian Suter. Home in corso alla GAMeC di Bergamo fino al 24 settembre 2023.