Totò Cascio a Fattitaliani: La disabilità non è una condanna, ma una condizione. L'intervista


Impossibile dimenticare la bellezza di un film come "Nuovo Cinema Paradiso", la direzione di Tornatore, le sue ambientazioni, i dialoghi, i personaggi che lo costellano e fra questi soprattutto il piccolo protagonista Salvatore, con cui Totò Cascio esordisce sul grande schermo.

Un ruolo che gli dà notorietà internazionale e la chiave di accesso ad altre interpretazioni di grande rilievo fino al 1999, anno in cui s'interrompe bruscamente la sua carriera. L'attore parla adesso della ragione che lo costrinse a fermarsi, una grave malattia - la retinite pigmentosa con edema maculare - che gli ha procurato una perdita progressiva, irreversibile e quasi totale della vista. Ha deciso di raccontare la sua storia ne La gloria e la prova. Il mio Nuovo Cinema Paradiso 2.0 (Baldini+Castoldi): stasera ne parlerà a Siculiana con il giornalista Alan Scifo nell'ambito dell'Estate Mediterranea 2023. Fattitaliani lo ha intervistato.

Attraverso questo libro, racconti della tua esperienza e attraverso quello che hai vissuto ti proponi di fare conoscere la malattia, giusto?

Nel libro "La gloria e la prova" parlo del successo, di "Nuovo Cinema Paradiso", di tutto quello che è accaduto dopo, tutte le cose belle. Poi è arrivata la prova, la retinite pigmentosa che adesso per me è una condizione, non una condanna. Ho messo nero su bianco: ho superato le centinaia di presentazioni, cerco di mandare un messaggio di fede, speranza, coraggio, consapevolezza.
Questo messaggio in che modo arriva e come viene recepito?
Quando le persone mi dicono che ho lasciato il segno vuol dire che il messaggio è arrivato. Quando una semplice presentazione di un libro diventa proprio un contatto e uno scambio di emozioni è una prova: c'è bisogno di condividere, fare rete ed essere coesi. Il messaggio vuole incoraggiare a prendere esempio, a far capire che le prove possono e devono essere affrontate e superate. Proprio la settimana scorsa ho finito di girare un cortometraggio, poi girerò altri due film a settembre: vuol dire che ho ripreso in mano la mia vita.

Questa condizione oramai fa parte di te, non è più esterna a te...

No, è il mio valore aggiunto.
Quando hai raggiunto questo equilibrio? quando hai cominciato ad accettare psicologicamente la tua condizione?
Ci vuole del tempo per metabolizzare. Non si accetta dall'oggi al domani. Grazie alla fede nel buon Dio, alla preghiera, alla perseveranza e alla determinazione: per metabolizzare ci vuole tempo, alla fine ci sono riuscito dopo tanti sacrifici.
A livello pratico -data la tua condizione- come hai fatto a scrivere il libro?
L'ho scritto a quattro mani con Giorgio De Martino, la tecnologia poi ti aiuta e il computer ti permette di fare tutto.
Ci sono dei momenti in cui ti viene la tentazione di gettare la spugna?
No, sinceramente no. Non mi capita tassativamente.
Attorno a te, vedi una società pronta ad accogliere queste difficoltà?
La società è prontissima, purtroppo si sottolineano sempre e solo le cose negative, quando invece ci sono tante cose belle: c'è molta unione, condivisione.
Che cosa in te è cambiato la percezione della vita e del mondo? Che cosa "vedi" di cuore in modo più profondo?
Vedo con consapevolezza e coraggio: quando sono riuscito a trasformare la mia condanna in condizione, è cambiato tutto. La disabilità non è una condanna, ma una condizione. Io ne sono la prova lampante... ricominciando a rifare l'attore, con tante proposte, girando in lungo e largo l'Italia con un calendario fitto di impegni. Penso di esserne una prova.

Chi, che cosa, quale incoraggiamento ti ha dato un'ulteriore spinta?

Ci sono state tante scintille a darmi la spinta. Il condividere con Andrea Bocelli, lo scambio di considerazioni, di vite, di opinioni. Il pubblico numeroso che mi segue sin dai primi eventi con stima e affetto, gli inviti che continuo a ricevere, come pure proposte cinematografiche e televisive. Un attestato di stima che ti porta a evolvere, a migliorarti, a crescere, a credere in te stesso.
Il cinema è terapeutico, aiuta in questo senso?
L'arte aiuta in generale, tutte le forme di arte aiutano, ognuna in base al proprio talento come anche la scrittura. 
Questo libro lo avevi concepito da parecchio tempo?
Ce l'avevo da anni il desiderio di mettere nero su bianco, è risultato terapeutico; con Giorgio De Martino ci si scriveva e alla fine abbiamo dato alla luce un gioiellino, dicono. Sta andando benissimo. Sono molto molto soddisfatto.
Come scrittore sei metodico, preciso, critico con te stesso, perfezionista?
No, amo l'ordine e la disciplina, non sono un perfezionista ma mi piace la serietà e la precisione. Da bambino ho lavorato con Tornatore, l'emblema della serietà... ho avuto un maestro eccezionale insomma.
A proposito di ordine, la tua giornata è scandita in maniera organizzata e ripetuta?
No, ho la mia routine ma non vivo tutti i giorni secondo un copione. Sono anche imprevedibile, un creativo, vado molto di fantasia.
Non voglio essere cinico: pensi ogni tanto alla scena di Nuovo Cinema Paradiso in cui Alfredo diventa cieco?
Mi capitava: per anni quella scena mi faceva paura, adesso non più. Ci pensavo e prima di metabolizzare, lo ammetto: mi faceva paura.

Condividi con noi i tuoi prossimi progetti in modo più dettagliato?

Sì. Il cortometraggio finito la settimana scorsa è sulle morti bianche sul lavoro per la regia di Stefania Rossella Grassi. Con me ci sono Tony Sperandeo, Gianni Ferreri, Ludovica Lorenzetti, le musiche di Enzo Gragnaniello: un film sensibile su un tema da evidenziare. Io interpreto un imprenditore: uscirà a settembre. Mi hanno proposto altri due film e -te lo dico in anteprima- -ho in mente un altro cortometraggio, questa volta da regista. Quando fai ordine e levi la zavorra, sembra che la vita ti restituisca quello che ti aveva tolto. 
Se tu dovessi realizzare un film sulla tua esperienza, chi sarebbe il regista, chi dovrebbe interpretare il tuo personaggio e quale sarebbe la location?
Il regista Tornatore, l'attore naturalmente io, la location -senza nulla togliere alla mia Sicilia- Cinecittà: mi sono davvero emozionato la prima volta che l'ho vista. Giovanni Zambito.



Fattitaliani

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