Biocarburante
L’Italia, come si suole dire, sta perdendo
le staffe e i sodali europei se ne stanno accorgendo. Era ora… la pazienza ha
un limite! Il nostro Paese non ci sta più a fare il raccattapalle dei supposti
blasonati «european players», ispirati da chissà chi, e forse comincia a
scuotersi.
Tanto per incominciare, il ministro Pichetto esulta:
"Ora l'Europa ci
ripensi"… e pare ci stia ripensando! Siamo al G7 e il governo
italiano, dopo essersi adoprato a incrinare la «rivelazione» Ue del «tutto
elettrico» per i motori a partire dal 2035, non desiste dal dimostrare che
all'utilizzo dell´e-fuel si possa affiancare anche il biocarburante: un modo
indiretto di proteggere l’industria automobilistica nostrana e il relativo
i.auto. D’altronde l’Italia già consuma milioni di tonnellate di biofuel sia in
campo navale che in campo aereonautico con successo e in linea col progetto
della decarbonizzazione industriale. Bisogna però incoraggiare la
produzione nazionale: solo il 42% dei biofuel viene prodotto in Italia e solo
il 12% deriva da materie prime nazionali e poi, secondo dati a nostra
disposizione, i principali Paesi fornitori di detto carburante sono la Cina per
il 21%, l’Indonesia per il 17% e la Spagna per la parte restate.
Non a caso, Carlos Tavares, ad di
Stellantis, nonostante sia convinto che il futuro della mobilità risieda
nell’elettrico, si è ugualmente speso a favore di una neutralità tecnologica,
opzione fino a poco tempo fa indigesta per Bruxelles. Queste le sue parole:
“Imporre una sola tecnologia, invece di creare una sana competizione, significa
togliere potere alla scienza che può trovare nuove soluzioni alla
decarbonizzazione del settore auto».
Terre
rare e sovranità tecnologica
Obliterate per decenni,
le terre rare si
rivelano oggi essenziali per batterie, pannelli solari, nonché per la
sovranità tecnologica: infatti l’Europa, dopo essere stata colonizzata dalla
Cina, tecnologicamente parlando, si è resa conto che le guerre si vincono
viepiù con le armi tecno-economiche e non solo con quelle tradizionali. Il
colosso cinese dell’e-commerce Alibaba e
quello dell’hi-tech Huawey sono
un esempio ben lampante.
Ecco dunque che si rende
necessario emanciparci dall’industria straniera e l’Italia, dal sottosuolo
ricco di perlomeno 15 delle 34 «materie prime critiche», essenziali per la
costruzione di tutti i moderni marchingegni elettronici, batterie delle auto
elettriche incluse, ha ben pensato di riattivare le miniere dimenticate e
sparse su tutta la penisola, aggiornando la mappatura dei relativi siti.
Movimenti
migratori
Sui migranti, to´,
guarda un po’, sembra che anche il presidente Mattarella stia
spazientendosi: "Con il presidente Duda abbiamo parlato del problema
delle migrazioni, un fenomeno che la Polonia conosce bene, un problema di tutta
l'Unione europea. Serve una nuova politica di asilo dentro l'Ue superando le
vecchie regole che sono ormai della preistoria".
Una
breve disamina sull’argomento
Secondo Karl Ernst Haushofer (generale,
politologo, geografo e storico tedesco), nel secolo scorso le migrazioni
ruotavano attorno a tre concetti chiave: lo Spazio Vitale; l’organizzazione per
Pan-Regioni; e la tanto antica quanto eterna dialettica tra le potenze di mare
contrapposte a quelle continentali. Però i tempi cambiano e di conseguenza
assistiamo ad una evoluzione della dottrina geopolitica su questo preoccupante
fenomeno di massa. Oggi, i geopolitologi, in parole povere, distinguono
le migrazioni in volontarie, forzate e forzate ad arte. Le
prime avvengono, come noto, quando
gruppi di individui scelgono liberamente di stabilirsi altrove nella speranza
di affrontare un futuro economicamente migliore; le seconde si verificano
quando, a causa di eventi naturali, politici o bellici, si è costretti a
trasferirsi in altro luogo per proteggere la propria incolumità; e le
terze, The Coercive Engineered Migrations (migrazioni
coatte progettate), così definite dalla scienziata politica Kelly M. Greenhill, sono quelle in cui
movimenti di popolazione transfrontalieri (e non solo n.d.r.) vengono
artatamente creati o strumentalizzati al fine di carpire vantaggi politici,
militari e/o economici ad uno o più Stati tenuti sotto tiro.
Accade, invece, un´ “invasione” allorquando
gruppi di civili, di militari o economici, penetrando in un determinato
territorio, e non importa come, vi si radicano e lo occupano, sostituendosi
gradatamente o di immediato alla sovranità della popolazione o della tecnologia
locale. Quindi, per tale motivo, le invasioni non avvengono solo con le
armi, anzi esse, nel sistema geopolitico attuale, per lo più si realizzano
in forma subdola e pacifica, se gli invasori sono masse umane apparentemente
inoffensive o poderosi gruppi tecnologici dalle tendenze progressiste. Non è dunque
necessario che un’invasione, per essere tale, venga portata a termine mettendo
a sacco il territorio interessato, anzi essa può avvenire, ci ripetiamo, in
modo incruento e impercettibile, se a stabilirsi su di esso e a modificarne
l’omogeneità etnica, religiosa o culturale sono caterve di gente inoffensive
ma inarrestabili.
Ritorno
all’umano
Bene dunque, riprendendo
il filo del discorso, a parte le parole, le intenzioni e le "gesta"
dei nostri illustri politici, che fanno sperare in un risveglio nazionale,
bisogna passare senza reticenza ai fatti: sovranità tecnologica, politico-militare, ma, soprattutto, ritorno all’umano.
Le tragiche giornate che
noi tutti stiamo vivendo da oltre un anno sulla guerra in Ucraina e
l’esecrabile traffico di migranti verso l’Europa ricordano quanto l’umanità non
abbia la capacità di cogliere il valore e il dono che ogni essere umano
rappresenta. E le altre guerre, non meno perniciose e sparse in ogni dove, ci
dimostrano che il bieco potere economico determina il destino dei popoli, al
fine di appropriarsi di tutto ciò che essi e le loro terre producono. Ai
vinti viene concesso il mimino della sopravvivenza: quello necessario per
continuare a produrre e riprodursi, ma... fino ad un certo limite demografico,
naturalmente!
Ormai, poveri noi, siamo
travolti da un’invasione umana e digitale permanente: si vive
spersonalizzati; scollegati da mente e corpo; tutti ricurvi con zaino, cellulare,
auricolare; e sotto rigide regole planetarie. L’onnipresenza di Dio è stata sostituita
da quella tecnologica!
Siamo dunque sul punto
di essere arruolati come cyborg, al confine tra uomo e macchina, e di
essere trasformati in assassini programmati per gli scopi più insensati,
così come ci ricorda il protagonista del film Terminator (1984) e
dei suoi seguiti, oppure stiamo per avviarci verso il transumanesimo di Max More, filosofo e
futurista britannico, il cui pensiero ci porta a una classe di filosofie che
cercano di guidarci verso una condizione evolutiva, postumana?
Allora?
Perché
mai non ribellarsi per rimanere gli umani di sempre?
Alle nuove generazioni
mancano i presupposti: manca loro il passato che crea il futuro, il tempo
di meditare o, meglio ancora, esse non hanno avuto la possibilità di sviluppare
appieno la capacità di conoscere, apprendere e pensare!
Beh, a questo punto non
sapremmo che dire! Se può essere di qualche consolazione, ricordiamo una
citazione: «Niente va così male che non possa andare peggio».
Giuseppe Arnò