Eugène Onéguine alla Monnaie di Bruxelles. Massimo Troncanetti a Fattitaliani: "lo scenografo è innanzitutto un interprete di un'idea creativa"



di Giovanni Chiaramonte. L'opera è una forma d'arte complessa che si serve di almeno  cinque diversi 'linguaggi' per interpretare ed esprimere su piani diversi ma sinergici e convergenti il medesimo contenuto, la stessa storia, la stessa narrazione; i primi tre - parola (libretto),  musica e  canto - raccontano nei loro tre specifici modi - come da tre punti di vista simultanei -  la medesima vicenda. Ognuno di questi tre 'linguaggi' si integra con l'altro e arricchisce l'esperienza  dello spettatore circondandolo, immergendolo, coinvolgendolo  su un piano narrativo, sensoriale ed emozionale; ma altri due 'linguaggi',  scenografia e costumi, giocano nell'opera un ruolo altrettanto essenziale. I costumi contribuendo alla definizione dei caratteri e allo spirito di insieme, la scenografia creando lo spazio dove la vicenda si svolge, ma uno spazio fra reale e fantastico, uno spazio 'teatrale', interattivo, in dialogo con i protagonisti e con la narrazione, allo stesso tempo un luogo fisico dove si muovono i personaggi ma anche una possibile 'guida di lettura dell'opera' per gli spettatori.  A la Monnaie Massimo Troncanetti, scenografo e professore di scenografia, per l'Eugène Onéguine messo in scena da Laurent Pelly (Intervista al regista Laurent Pelly), ha creato una scenografia di grande eleganza e respiro, di intelligente semplicità che accompagna e guida lo spettatore nella magia musicale dell'opera di Čajkovskij e poetica di Puškin....

Ne parliamo con lui. 

Massimo, un quadrato apparentemente semplice che crea una scenografia particolare... da dove è nata questa idea? 

Intanto penso che sia fondamentale quando si affronta un lavoro di interpretazione di un'opera, di una storia, che  lo strumento scenico sia a servizio, a favore di questa narrazione; per cui è stato sicuramente importante all'inizio capire che cosa Laurent (Pelly, il regista n.d.r.) volesse riportare in scena dei nodi centrali, delle tematiche fondamentali di Onegin.  E lui ha avuto assolutamente subito delle idee chiare sui principi cardine: per esempio c'era questa forma quadrata che ritornava sempre, a volte in combinazioni più complesse; è una buona domanda  sul fatto che questa sia una scenografia particolare: io non mi sono neanche posto la domanda se fosse particolare o meno. Credo che uno spazio debba sempre raccontare una storia! La storia di Tatiana, la storia di Onegin, la storia della loro famiglia, di questa aristocrazia russa deve essere raccontata forse con un naturalismo, con un realismo - che è anche molto bello, ma che già è stato fatto! Una delle cose che mi colpisce molto di Laurent  è che pensa sempre che uno spettacolo è il sogno di uno dei personaggi; in questo senso qua - essendo il sogno di Tatiana - l'idea che ci fosse qualcosa di domestico, di caldo ma allo stesso tempo chiuso, infrancissable, mi è sembrata da subito un'intuizione che poteva funzionare; ovviamente questo spazio chiuso doveva tornare, doveva poter girare, perché dovevamo dar quest'idea del passaggio del tempo. Tutto l'inizio è su queste quattro donne che vivono una vita domestica fatta di abitudine; è un passaggio chiave di Onegin: "Grazie a Dio che ci ha dato l'abitudine al posto della felicità"; è un'affermazione un po' claustrofobica così come quel quadrato lì, così come il tempo che gira, che spinge comunque a muoversi in uno spazio determinato e inoltre la distanza sociale: comunque erano degli aristocratici e poi,  più giù, c'è il popolo; per cui è il sogno comunque elevato di una ragazza che può leggere, che può vivere di sogni; instaurati i primi principi di progettazione dello spazio, si cercano le articolazioni; quindi questo quadrato poi ha trovato delle declinazioni che permettevano di andare un po' più in là con il suggerire degli spazi, suggerire delle situazioni, come nella lettera di Tatiana, in tutta la seconda parte del primo atto, in cui  si apre questa sorta di libro,  che però rimane qualcosa di neutro, rimangono spazi, non c'è descrizione, non c'è naturalismo:  rimane comunque un discorso mentale, onirico in un certo senso. 

Sono rimasto colpito dalla estrema semplicità... una semplicità così bella non è mai per caso; come ci siete arrivati? Per aggiunta o per semplificazione dall'idea iniziale?

Con Laurent abbiamo fatto un'altra opera a Lille insieme poco tempo fa, "Il sogno di una notte di mezza estate" e lì già un paio di volte mi ha detto: "sempre di più sento questa attrazione verso lo spazio vuoto". Questa cosa ha continuato a lavorarmi  nella testa, perché per me il vuoto è un punto di partenza essenziale. Secondo me mettere qualcosa in uno spazio è una presa di responsabilità, quindi  ogni cosa che sta là dentro deve essere essenziale in un certo senso, se no diventa un po' bugia o un'altra cosa! Per cui all'inizio abbiamo pensato "facciamo scendere degli armadi, dei letti, la arrediamo, facciamo delle stanze" ma già nei disegni continuava a perdere un po' di magia. Questo ricorso al realismo ci faceva  un po' allontanare dal fatto che è un'opera estremamente 'giocata', estremamente recitata, estremamente fatta di relazioni, e Laurent è bravissimo a carpire le relazioni e a metterle nello spazio, a disegnare delle geometrie. Credo che lui si sia anche  divertito con uno strumento che di solito non utilizza in questa maniera.

La scenografia è una forma di scrittura. Se tu dovessi un po' descrivere il tuo 'tratto' come scenografo?

Io penso di essere innanzitutto un interprete di un'idea creativa che è quella del regista, cosa che è estremamente stimolante; subito un'idea, una visione può cominciare ad apparire! Per cui il mio lavoro di scenografo è un po' questa cosa qua, cercare di cominciare a creare un testo, ma che non è un testo scritto ma un testo semantico... 

...figurativo....

......che è anche più che figurativo perché è anche uditivo, è anche sensoriale, è anche estremamente emotivo, per cui è un testo ricco. Quello che trovo sempre più entusiasmante è il fatto che questo testo ha delle coordinate spaziali. L'orizzontalità, la verticalità, la diagonale, che cosa sono?  Sono delle indicazioni appunto, ancora una volta semantiche, ma che si possono trasformare immediatamente in segno; perché è un po' la mappa del testo, in un certo senso, con i suoi modi più intricati, più pesanti, più densi. E lì uno cerca di orientarsi un po':  per esempio Onegin è stato proprio questo: non c'era bisogno di nient'altro, secondo noi. Una cosa che facendo questo lavoro rimane sempre estremamente bella è che capisci veramente gli spettacoli.... dopo averli finiti! Mentre guardavo l'opera durante la prima  io pensavo che il nero del  terzo atto fosse una sorta di lutto,  il lutto di Tatiana che rifiutando Oniegin rifiuta la parte candida, romantica, della vita della campagna, dei sogni, dei libri; e poi è una questione di incontri! Laurent è un grande propulsore di idee, di entusiasmo, di gusto: è una cosa molto stimolante! Su questo progetto qua abbiamo trovato delle cose che non conoscevamo né l'uno né l'altro e le abbiamo messe insieme. 

C'è una differenza fra fare scenografia per il teatro di prosa e per l'opera?

Certo! Il teatro di prosa è un teatro che ti permette più libertà nella forma e nel tempo perché non c'è la musica. In una produzione come questa, che dura all'incirca un mese e mezzo, molto tempo è dedicato alla musica, per cui tra il momento in cui tu ricevi la scenografia e il momento in cui devi lasciare lo spazio alla musica rimane relativamente poco tempo, mentre invece un allestimento in teatro permette più tempo. Allo stesso tempo l'opera ti permette un'astrazione, un allontanamento, ti permette anche la libertà di osare, di andare molto, molto più lontano. Io ho sempre interpretato il teatro come l'altra faccia della realtà - c'è il cinema per dipingere la realtà in maniera fedele - noi lavoriamo un po' più coi sogni, qualcosa che ogni sera è diverso, che presenta sempre un rischio, e l'opera è un esercizio intellettuale  molto stimolante, perché poi la musica è matematica; se questa cosa qua non riecheggia in quello che metti su un palcoscenico è un'occasione persa. 

Che cosa ti ha spinto verso la scenografia? 

È stato puramente casuale, io ho fatto altri studi, ho fatto studi di sociologia e nel frattempo sperimentavo delle cose con amici e per caso, tra una mostra e un'installazione, cominciai a pensare di fare uno spettacolo, ma senza premeditazione nel senso che semplicemente gli spettacoli piacevano! Così siamo un po' cresciuti e ho scoperto che avevo questa  fascinazione rispetto allo spazio, lo spazio scenico. 

foto scena Onegin © Forster

Direction musicaleALAIN ALTINOGLUMise en scène & costumesLAURENT PELLY

DécorsMASSIMO TRONCANETTIÉclairagesMARCO GIUSTIChorégraphieLIONEL HOCHECollaboration aux costumesJEAN-JACQUES DELMOTTEChef des chœursJAN SCHWEIGER

LarinaBERNADETTA GRABIASTatyanaSALLY MATTHEWS
NATALIA TANASII (1, 4, 10, 14.2)
OlgaLILLY JØRSTAD
LOTTE VERSTAEN ° (1, 4, 10, 14.2)
Filipp’yevnaCRISTINA MELISYevgeny OneginSTÉPHANE DEGOUT
YURIY YURCHUK (1, 4, 10, 14.2)
LenskyBOGDAN VOLKOV
SAM FURNESS (1, 4, 10, 14.2)
Prince GreminNICOLAS COURJALCaptain PetrovitchKRIS BELLIGHZaretskyKAMIL BEN HSAÏN LACHIRI °TriquetCHRISTOPHE MORTAGNEGuillotJÉRÔME JACOB-PAQUAYPrecentorCARLOS MARTINEZ
HWANJOO CHUNG (31.1 & 2, 5, 7, 9.2)

° MM Laureate

Orchestre symphonique et chœurs de la Monnaie

ProductionLA MONNAIECo-productionTHE ROYAL DANISH OPERA (Copenhagen)

Costumes du chœur de l'acte 1 créés à l'origine par La Monnaie pour la coproduction du Coq d'Or avec le Teatro Real de Madrid et l'Opéra National de Lorraine.

En coproduction avec Shelter Prod et Prospero MM Productions, avec le soutien de Taxshelter.be et ING
Avec le soutien du Tax Shelter du gouvernement fédéral belge

Fattitaliani

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