LIBRI, LEO GULLOTTA A FATTITALIANI: IL MODO MIGLIORE PER RECITARE UNA PARTE È QUELLA DI VIVERLA. L'INTERVISTA

Fattitaliani



Leo Gullotta
è uno degli ultimi veri attori del mondo dello spettacolo. Senza la curiosità non si va da nessuna parte. Nel 2010 ha ricevuto la Targa speciale per i 50 anni di carriera al Taormina Film Festival.
Alcuni attori restituiscono ciò che ti aspetti da loro, altri speciali come Leo Gullotta regalano qualcosa, aggiungendo di più a ciò che viene loro chiesto, inaspettatamente. Il sapere, il curiosare è per lui un’impronta forte per le proprie radici. Quando ha incontrato Leonardo Sciascia ha avuto un enorme arricchimento umano. Il libro è stato scritto a quattro mani insieme ad Andrea Ciaffaroni che Gullotta definisce “Un meraviglioso archeologo dello spettacolo”
Il libro è adatto ai lettori di ogni età e parla di una vita sul palcoscenico teatrale e sullo schermo. Dietro l’attore c’è l’uomo e la sua grande sensibilità!



Perché “La serietà del comico” non è una biografia ma un ritratto a quattro mani?
Per la semplice ragione che una biografia significa cosa una persona ha fatto, invece al compimento dei miei sessant’anni mi ha telefonato Carlo Amatetti (Sagoma Editore) per comunicarmi questa piacevolezza Ho risposto “Bene! Mi fa molto piacere! Ho spiegato che non volevo scriverla io ma con grande piacere volevo raccontare l’uomo. Avevo la necessità di avere a fianco una persona. In questo caso Andrea Ciaffaroni che è uno scrittore ma l’ho definito un meraviglioso archeologo dello spettacolo perché ha scovato delle cose che neanch’io ricordavo ma volevo un confessore, una persona che mi guardasse per raccontare lui la persona, l’uomo, l’individuo, l’essere umano e mi ha fatto un enorme piacere che abbiano accettato questa linea. Al momento della scrittura, ho aggiustato. Nell’arco di un anno e mezzo, il mio confessore è stato Andrea Ciaffaroni. Lui stesso ha scritto molte biografie di personaggi famosi e si vede che è un amante della storia dello spettacolo e del cinema. È un piacere leggere il libro!

Lei ha fatto Teatro, Cinema e Televisione. Il Bagaglino nel ruolo di Leonida. Quanto le manca questo personaggio e com’è riuscito a farlo in maniera perfetta?
Faccio questo mestiere da sessant’anni e faccio l’Attore con la A maiuscola. L’Attore è una persona che deve interpretare ruoli lontani da sé. Avendo conosciuto per studio linguaggi che un attore dovrebbe sapere, ovverosia il linguaggio del palcoscenico, il linguaggio davanti alla macchina da presa, in uno studio televisivo e così via! Tutti i personaggi che ho fatto al Cinema, al Teatro o in Televisione, sono visti, interpretati , offerti per il pubblico. Mi hanno insegnato fin da piccolo a studiare, lavorare e ad essere onesto nel lavoro. Questa è stata una chiave di volta, una mia nota fortunata perché fin da ragazzino sono stato attorniato da grandissimi interpreti (Turi Ferro, Salvo Randone, Glauco Mauri, Valerio Moricone… Ero un ragazzino attorniato fin dall’età di quattordici anni e cresciuto in quella struttura “Lo Stabile di Catania”, non solo attorniato da grandi professionisti ma anche da coloro che ancora non erano noti. La lezione è stata non solo professionale ma soprattutto umana.
Il modo migliore per recitare una parte è quella di viverla. Come si cala nel personaggio da interpretare?
Ciò che è importante per un attore è la ricerca. Ti danno un copione che è un progetto, leggi per cercare di capire ciò che hai incamerato nella vita e di conseguenza come in un mazzo di fiori prendere le cose che ti sono rimaste negli occhi e nella mente e immetterli nel personaggio.
C’è una cosa che non è scritta in nessun copione, devi cercare di volta in volta chi è il personaggio che vai ad interpretare e soprattutto non c’è scritta l’anima nel copione.  Sei tu a doverla trovare e soprattutto lo devono rappresentare i tuoi occhi. Devi tirar fuori l’anima di quel personaggio.
Senza la curiosità non si va da nessuna parte. Bisogna guardare, guardare, guardare…
E soprattutto cercare di capire la parola chiave di tutto. Lo vediamo soprattutto oggi con l’avvento degli ultimi tre anni. Il nostro Paese è stato sconvolto dalla pandemia, dall’arrivo di questa guerra insensata, la crisi energetica scaturita proprio da tutto questo, la crisi politica dell’Italia.  E' necessario sapere, leggere, crescere. Ciò porta ad ogni individuo umano di poter partecipare così come si deve alla vita sociale.
L’ultimo spettacolo che ha fatto prima della pandemia è stato “Bartlleby lo scrivano”
Uno spettacolo difficilissimo soprattutto per l’interprete che è per un’ora e mezzo in scena per dire solo una battuta “avrei preferenza di no”. È stata una bellissima prova. Uno spettacolo che ha girato per due anni, compresa l’interruzione Covid.  Quando siamo ritornati ad un altro giro di tournée nel nostro Paese siamo approdati al Teatro Quirino ottenendo un grandissimo successo.
Perché come titolo è stato scelto “La serietà del comico”? Perché non si deve intendere il comico che racconta le barzellette o quant’altro. Non ho mai seguito questa linea. Il Comico, il Clown, è un’anima nobile e denota la serietà di questo lavoro. La serietà di cercare quel buon professionista sotto tutti i punti di vista e cercare di essere anche un buon cittadino, una persona, ho sempre diviso il lavoro dalla vita. Sono due cose distinte e separate, non le ho mai intrecciate.
Perché prima si deve far ridere e poi piangere e non viceversa? Non c’è questo principio. Ho sempre cercato di fare questo mestiere, ho incamerato le varie lezioni. La Commedia fa parte di questo lavoro. Non è che è una regola, è una scelta perché ci sono delle doti che scopri nel fare il tuo lavoro. Può anche esserci la parentesi di un attore con delle capacità di far sorridere. Non deve essere una regola. Attraversando i vari settori del lavoro, questa è stata una scommessa che ho capito e tirato fuori nel percorso. Una ribellione in un momento critico di ricerca del lavoro e ho scoperto questa parte del così detto Cabaret che non era quello di allora fatto di barzellette e quant’altro. Ho cercato di allargare il famoso lettore leggero che non è così leggero ma è il più complicato di tutto. Man mano che ho capito la lezione, esistono personaggi interpretati che il pubblico ha molto amato sia nel dramma che nella commedia. Fare un varietà così famoso per vent’anni, prima con la Rai e poi con Fininvest, mi ha permesso di farmi conoscere e di questo devo ringraziare la Televisione che entra in tutte le case. Questo varietà mi ha regalato oltre alle cose fatte al Cinema o a Teatro e soprattutto mi ha dato la possibilità di entrare nelle case degli italiani. Ad oggi ho questa gioiosità che stona il cuore. È la definizione forse giusta per stima, per simpatia di questi nostri italiani.
È vero, ricordo che entrava in punta di piedi nelle nostre case.
Da questo punto di vista sono sempre stato discreto. Sicuramente in così tanti anni vuoi con le interviste e quindi avvicinarsi e chiedere all’uomo sia professionalmente , vedere il mio lavoro a cinema, a teatro, in televisione in così tanti anni la discrezione ha fatto la differenza. Non sono noto per scandali o quant’altro ma per la mia preparazione professionale e il pubblico avverte che il mio lavoro in qualsiasi settore, non guardo se sia di serie A o serie B, per me il lavoro è lavoro e bisogna sempre impegnarsi al massimo e dare con serenità il tuo lavoro. Quando mi fermano per un autografo, un selfie e quant’altro, non è solo un incontro piacevole quando una persona non solo ti vuole conoscere e ti stima ma soprattutto avverto che questi incontri casuali sono basati sulla fiducia.  Sicuramente si avvicinano a me avvertendo la disponibilità, l’onestà, la fiducia della persona. Sapere che dai fiducia alle persone che ti avvicinano per una loro piacevolezza e che hanno la necessità di parlare anche di loro faccende personali. Sicuramente si tratta di fiducia.
Foto presa da Facebook

Nel libro c’ è un pensiero di Marcello Mastroianni che Lei riporta “Noi facciamo un mestiere dove siamo sempre un Carnevale e ci pagano pure!”
 
Questo è il mestiere più difficile del mondo anche se a me appare quello più semplice ma non è così. Lui è stato un grande professionista che tutti conosciamo e non c’è bisogno che lo sottolinei. Ho avuto modo d’incontrarlo e di stare qualche giorno con lui ma naturalmente smitizzava tutto questo ed è vero. È un lavoro duro, complesso, complicato ma bisogna stare con i piedi per terra. Lui era questo ed è vero quello che dice “Carnevale” nel senso che di volta in volta ci trasformiamo, mettiamo delle maschere diverse e in più ci pagano. È un divertimento. Questo lavoro per durare così tanti anni nel farlo, bisogna amarlo. Se non lo ami non lo puoi fare. Non è un lavoro per apparire è esattamente il contrario.
Un’altra citazione molto bella è “Si può scoprire la bellezza della notte e ritrovare sé stessi” nel film “Tango blu” del 1987, l’ultimo film di Franco Franchi.  
Lui e Ciccio Ingrassia dovrebbero essere sempre ricordati, amati. Sono stati due meravigliosi clown che hanno regalato leggerezza, sorrisi, soprattutto ai bambini ma anche tanto ai grandi.  
Il sapere, il curiosare è un’impronta forte per le proprie Radici. Le sue sono nella meravigliosa Sicilia. Cosa conserva delle sue Radici?
Tutto! Se non la puoi recuperare, devi capire la vita che ci sta attorno, saper scegliere, guardare. Oggi la gente cammina con lo sguardo basso sul cellulare non alza gli occhi per guardare il cielo oppure un albero, un viso, una ruga, un bambino. Se fai questo mestiere e non incameri tutte queste cose, se non vuoi sapere, non potrai mai arricchire ciò che fai nel lavoro. Le proprie radici devono stare sempre con te, guai a perderle. È un’azione sciocca, sintomo di ignoranza. Ignoranza viene da ignorare. Curioso perché poi la vita è un soffio, è un’apertura e una chiusura di finestre. Arricchisciti, cerca di sapere… Il tuo paese, la tua terra, da dove vieni, come va il mondo. Dopo la pandemia, la parte umana è più egoista, si è rintanata, si è chiusa.
Ecco perché soprattutto oggi continuo i miei incontri con gli studenti, con il pubblico e suggerisco sempre di stare insieme perché soltanto stando insieme si può fare qualcosa. Da soli non si va da nessuna parte. 
Concordo pienamente! 
Bisogna andare a Teatro, al Cinema che in questo momento ha una grande crisi da questo punto di vista che proviene da tutto quello che è successo dalla pandemia e quant’altro. Non abbiate paura! Basta! Bisogna mettere in atto le regole che ci hanno dato all’inizio. Non state dove c’è folla, indossate la mascherina. Siate tranquilli, sereni, non guardate il mondo con paura altrimenti vi rintanerete sempre più dentro casa. Cercate di capire!
Nelle sale cinematografiche ci sono massimo 10 o 12 persone in sala, come si fa a mantenere una sala aperta?
C’è una crisi pazzesca perché la gente ha paura e non capisco perché dal momento che ci siamo vaccinati, portiamo le mascherine!
Lei è su Netflix con il Film “Incastrati” insieme a Ficarra e Picone!
Sono due attori non li definisco comici per come s’intende in Italia. Sono due meravigliosi interpreti che da sempre sia prima che dopo nel Teatro e nel Cinema hanno sempre dato l’occasione del riso, della risata ma trattando alla fine sempre temi sociali allo scopo di far pensare la platea. Il nostro rapporto è di profonda stima, di affettuosità e sono stato molto contento sia di aver preso parte a “L’ora legale” un loro film precedente e sia a questa seconda serie su Netflix di grandissimo successo. L’anno scorso è stata una delle serie più viste in Europa! La seconda serie andrà in onda a marzo. Sono contento di essere ancora partecipe nel ruolo di un Procuratore della Repubblica. Oggi in Italia se dici comico, si pensa subito alla barzelletta. Non è così a parte il fatto che saper raccontare la barzelletta è nobile però bisogna pensare alla scuola che c’era prima come Bramieri, Dapporto, Walter Chiari. Bisogna conoscere la storia precedente perché se non la conosci non puoi costruire nessun tipo di futuro. 
Tornando a Bartleby lo scrivano alla richiesta di leggere il suo lavoro risponde “Avrei preferenza di no”.
È proprio la frase dell’immane lavoro del grande Melville. In scena sono stato interprete del suo meraviglioso racconto. Il testo è stato scritto nel 1853.
Totò, Ugo Tognazzi, Charlie Chaplin, Stanlio e Ollio aveva delle preferenze quando li vedeva?
No bisogna guardare, bisogna vedere. Prima non sapevi nulla, ho iniziato ragazzino, erano tempi diversi, c’era un solo canale, dopo è arrivato il secondo canale. La Televisione è entrata a forza nelle case. Quando è arrivato questo momento era una Televisione che cercava di far crescere gli italiani. Trasmetteva i romanzi sceneggiati perché venivano tratti da libri e gli utenti hanno potuto conoscere la letteratura. C’è stato un periodo dove hanno scoperto il Teatro negli appuntamenti televisivi del venerdì sera, con grandi interpreti ed hanno potuto cominciare ad amare anche i grandi interpreti. E’ successa la stessa identica cosa con i servizi giornalisti. Era fatta per far crescere questo Paese. Nell’osservare l’oggi in qualcosa si è andati avanti ma per moltissime altre si è andati indietro come il gambero. Con il romanzo sceneggiato hanno potuto conoscere grandi Autori da Dickens a Stevenson, a Verga. Oggi invece ci sono le Fiction da finzione, storie che appartengono ad eventi della società o osservazioni su temi della società. Quando vengo fermato per un selfie, per un autografo, moltissime volte mi fermano perché sono la persona che fa ricordare parenti che non ci sono più. Per me è la cosa più bella che si può sentir dire è il complimento che si può ricevere.
Ultimamente ha fatto un Film dove il fil rouge del racconto è la malattia dell’Alzheimer…
Il film si chiama “Quel posto nel tempo” ed ho interpretato un Direttore d’Orchestra. Per poter fare determinati passaggi della malattia ho immesso in questo personaggio un ricordo di un mio cognato con il quale sono cresciuto ma qualche anno fa andandolo a trovare non mi ha riconosciuto. Ascolta e vede ma ho vissuto questo momento drammatico. Il dolore maggiore è di chi sta accanto a queste persone e lentamente vedono il corpo umano diventare un sacco vuoto.
Attore per scelta o è stato un gioco del destino?
Non ho deciso assolutamente nulla. Era il 1955 in un’Italia in cui tutti lavoravano, si sbracciavano per ricostruire questo Paese dopo la guerra. Tant’è vero che poi negli anni ’60 c’è stato il boom economico. Sono nato a Catania in un quartiere popolare e non c’era niente per i ragazzi e per i giovani. Io andavo a scuola e non c’era nulla di ciò che fanno oggi. Ero però un ragazzino curioso e per una serie di circostanze così come ho scritto sul libro, mi sono ritrovato in una serie di cose, ero portato sin da subito e ho iniziato a fare questo lavoro. Avevo circa quattordici anni ed entrai all’inaugurazione dell’apertura del Teatro Stabile di Catania. Sono rimasto là dieci anni e queste meravigliose persone, attori noti e non mi hanno fatto capire cos’è questo lavoro. Naturalmente è scattata la passione e ho capito cosa fosse il Teatro, cosa significa studiare prepararsi. C’è stata la lezione in cui mi chiamavano Gullottino talmente ero ragazzino. Era una definizione del grande Turi Ferro. In quei dieci anni ho lavorato con Randone e tanti altri che mi hanno fatto capire una serie di cose. Il minimo che poteva succedere in quei dieci anni e trovandosi in quel contesto “guardare, cercare di rubare per crescere”. Non imitare che è un’altra cosa.
Un attore si veste e si spoglia dei suoi personaggi. In quale personaggio si è trovato più a suo agio? Non c’è l’agio io ho sempre lavorato con la lezione che mi hanno dato “Cercare di capire cos’è il copione, quel testo, quella sceneggiatura. Cercare di approfondire ciò che vai a fare sul personaggio, cercare di costruirlo naturalmente con l’occhio assieme e non solo al regista e cercare di essere più vicino a dare vita o sul palco o sullo schermo a quel personaggio o a quell’altro. Non esistono personaggi piccoli o grandi. Come si è detto esistono buoni e bravi attori”. Ho sempre cercato di regalare quello che le ho detto prima ma c’è quell’anima che non è scritta in nessun copione.
Il suo lavoro è sempre figlio di un dialogo costruttivo con gli altri, Quanto conta il dialogo nella preparazione di un film?
Passa qualche annetto, si fa una riunione con gli sceneggiatori, si pensa di fare una storia, la si scrive, si porta il progetto al produttore. Nel lavoro poi subentra il regista di questa storia che viene scelto come gli interpreti. Tutto questo si fa in qualche mesuccio. È un lavoro molto lungo e attento nella costruzione della storia e poi il pubblico lo vedrà o al cinema o in TV.
Perché definisce Andrea Ciaffaroni un meraviglioso archeologo dello spettacolo?
Perché in un anno e mezzo di lavoro ha trovato tante cose che io neanche ricordavo. Abbiamo lavorato serenamente tra uno spaghetto e l’altro, senza metterci sul trespolo. Sicuramente ha trovato l’uomo, la persona, il racconto di chi è questo signore e che da sessant’anni fa questo mestiere. Non solo mi mette sulla linea d’intendersi e la parola intendersi è molto importante. Parlare la stessa lingua sia come ricerca giornalistica che come osservazione verso l’uomo, l’individuo.
È vero, leggendo effettivamente quello che è l’attore fuori dallo spettacolo ma nella vita vera. Ho definito Ciaffaroni il mio confessore perché “chi si loda s’imbroda” se l’avessi scritto io.
Mentre l’osservazione vista dall’esterno ed aprendosi completamente a domande mentre si chiacchera ed è lui che poi fotografa il comportamento della persona.
Devo dire che ne ha fatto un bel ritratto come mi aspettavo.

                                                                                                                                  Elisabetta Ruffolo

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