di Francesca Ghezzani
Laura
Moreni è nata a Brescia nel 1975. È laureata in Scienze della Comunicazione,
con una tesi sulla figura della donna nella sfera pubblica.
Lavora
come freelance nella redazione di testi o articoli per blog e siti internet, e
si occupa di correzione bozze per diverse case editrici.
Dal
2010 gestisce il blog Parole e Prezzemolo (www.lauramoreni.blogspot.com),
che affronta i temi più svariati: dalle recensioni di libri a esperienze
professionali o personali, dalla cucina alla decorazione d’interni.
Nel
2018 ha scritto La cucina secondo Rosita, biografia di Rosita Merli,
cuoca vincitrice del format TV “Cuochi d’Italia” (II edizione, 2018) e “Cuochi
d’Italia All Stars” (2020).
Siamo come le lumache è il suo primo romanzo.
Con le tue pagine in che storia ci porti?
Siamo come le lumache è
la storia di una vita, anzi, di quattro: la voce narrante è quella della
protagonista Tilda, ma è subito evidente che la sua storia si intreccia fin
dall’infanzia con quella degli altri personaggi, Anita, Gubo e Dodi. Tilda
narra vicende che si snodano su due piani temporali, il presente e il passato,
e lo fa con uno sguardo lucido e sincero.
È una storia che racconta cose “normali”, intrisa di sentimenti forti
come l’amicizia e l’amore, ma anche cruda nell’oggettività con cui vengono riportati
gli eventi: senza sconti e senza giudizi. Tilda sa mettere in luce quel senso
di inadeguatezza che a volte, nella giovinezza, porta a prendere decisioni
drastiche e affrettate: purtroppo, come accade a lei e ai suoi amici, certe
scelte condizionano il resto della vita e a non tutte c’è rimedio. Tilda è
capace di stilare un bilancio della sua vita con grande consapevolezza, di
comprendere gli errori compiuti. Soprattutto è in grado di accettare che le
questioni nodose, prima o poi, vanno affrontate: è l’unico modo per evolversi.
È un romanzo quindi forse un po’ nostalgico, verso ciò che si è perso irrimediabilmente,
ma è anche venato di ottimismo: infonde speranza.
Parliamo di bilanci… Allora ti chiedo: che cosa pensi del tuo libro
oggi? Riscriveresti ogni singola riga?
In generale credo di sì. Sono
soddisfatta dei miei personaggi, mi piacciono i dialoghi e le ambientazioni.
Sono efficaci. Certo, sono trascorsi già più di quattro anni da quando ho
iniziato la stesura di Siamo come le lumache, e alcune delle situazioni
che in quel momento erano “calde” nella mia vita, e che mi spingevano a
raccontare proprio quella storia, adesso sono maturate, evolute
anch’esse. Ho scritto ciò che in quel momento mi era necessario.
La scrittura è in continua
evoluzione, cresce con noi. Magari adesso andrei in un’altra direzione, cambierei
alcuni passaggi o forse userei un linguaggio più audace per esprimere alcuni
concetti. Non so. Per quanto mi riguarda la scrittura è anche uno specchio
emotivo ed esistenziale.
Comunque, da quando è stato
pubblicato, non ho più letto il mio romanzo per intero. Preferisco aspettare
qualche anno e vedere che effetto mi fa. Devo mettere un po’ di distanza, far
arrugginire la memoria.
E dell’editoria in generale?
L’editoria è un mondo
affascinante, ma allo stesso tempo è una specie di giungla in cui l’autore si
sente come Tarzan: bisogna stare attenti a quale liane attaccarsi, altrimenti
il rischio di sfracellarsi al suolo è altissimo. È difficile riuscire a
districarsi, valutare con cura a chi affidarsi.
D’altra parte gli editori, dai
microscopici ai più blasonati, sono tantissimi; inoltre il fenomeno del self-publishing
è in continua crescita, così come l’offerta, più o meno valida, di servizi
editoriali collaterali (editing, writing-coaching, scuole di scrittura) è
ormai saturante.
In generale, quindi, riscontro caos.
E dissociazione tra grande marchio e qualità: nella piccola editoria oggi si
possono scovare molti titoli validi, purtroppo però è vero anche il contrario.
Temo che lo strabordare dell’offerta metta in confusione anche il povero
lettore, il nostro fruitore finale. E ciò mi tortura, tra l’altro, perché
nonostante l’amplissimo catalogo i lettori sono sempre troppo pochi e non
aumentano.
Tornando a Siamo come lumache,
secondo te è un libro adatto sia a lettori che a lettrici?
Sì, mi pare che sia ben accolto
da entrambi i sessi. Mi accorgo però che i lettori maschi provano un trasporto
maggiore per il lato nostalgico della storia e sono più attenti all’impianto
tecnico. Le donne invece si sentono trascinate dall’aspetto emotivo, ne colgono
più sfumature.
In generale, comunque, mi viene
detto che è un romanzo “empatico”, appassionante: ognuno si immedesima in un
personaggio, o in una vicenda specifica, e si lascia coinvolgere.
Qual è il personaggio che, a tuo avviso, riscuote più simpatia da parte
di chi legge?
Sicuramente Gubo, seguito da
Anita. Il meno amato è Dodi, che invece, per la sua complessità, è il mio
preferito. Ma me l’aspettavo, non sono stata molto generosa con lui.
Noto invece che Tilda, forse
perché è la voce della storia, viene accolta in maniera neutrale, né amata né
odiata. Se ci penso però è naturale, perché lei è il collante tra i personaggi;
ha il ruolo di condurci nelle vite di ognuno, ed è molto brava a farlo perché
non esprime giudizi: sa guidare il lettore e portarlo a osservare, senza
preconcetti.
Sei una lettrice onnivora o selezioni accuratamente titoli e generi?
Tendenzialmente onnivora. Un buon
libro per me, indipendentemente dal genere, è quello che mi lascia qualcosa:
un’evocazione, uno strascico, una riflessione. Un momento di commozione.
Prediligo la narrativa non di
genere, amo quella contemporanea ma non disdegno i grandi classici. Mi piace la
narrativa che approfondisce i sentimenti e gli sbalzi dell’animo umano.
Mi piacciono anche i gialli, i
thriller, i polizieschi, e i romanzi d’avventura o le grandi saghe, familiari o
fantasy. Apprezzo la narrativa di fantascienza e distopica, se di qualità, ma
ne leggo poca perché mi inquieta un po’. Ciò che non è proprio nelle mie vene è
il Romance, anche se il Chick lit, a piccolissime dosi, mi
distende e diverte.
Il mio più grande amore,
comunque, è la narrativa italiana; al di là delle storie raccontate adoro le
potenzialità della lingua, e alcuni autori sono capaci di reinventarla ogni
volta, di strappare l’uso alle regole, di utilizzare il linguaggio come
elemento di dinamismo: il linguaggio non più solo come strumento della
narrazione, ma parte strutturale delle storie, integrato nelle vicende. In
questo credo che Andrea De Carlo e Marco Missiroli, ma anche Andrea Camilleri
nella serie di Montalbano, siano maestri.
In chiusura, ti piacerebbe cimentarti in futuro in qualche nuovo genere
letterario?
Non lo so, per ora non sento di essermi consacrata a un genere specifico.
Accade che siano le storie a entrarmi in testa, a ronzare, a turbarmi, a
incuriosirmi. A esigere di essere raccontate. Mi infastidiscono a lungo, finché
decido di tirarle fuori. Da questo punto di vista non ho molta voce in
capitolo.
Anni fa stavo scrivendo un romanzo giallo; avevo lavorato a lungo sulla
struttura, sui personaggi, sulla trama e sull’ambientazione. Avevo già scritto
sessanta cartelle, ma poi ho dovuto accantonarlo: Siamo come le lumache si
è imposto con prepotenza, ha preteso di venire alla luce. Non potevo aspettare.
Chissà, magari un giorno anche quella vecchia storia, che è rimasta lì
come congelata, tornerà a farsi sentire. Per ora tace, c’è altro che sgomita
per essere raccontato.