E' simpatico, solare, profondo ed empatico Davide Simeone. Scrive dai tempi della scuola e da allora non ha praticamente mai smesso. Il suo nuovo romanzo si intitola “Domani mi sveglio presto”. Un titolo che vuole essere un chiaro invito a rialzarsi nonostante tutto.
Davide, come sei diventato
uno scrittore?
Ho iniziato a scrivere l’ultimo anno di liceo: si trattava di un diario autobiografico che ho stampato e rilegato a mie spese, un piccolo “regalo” ai miei compagni di scuola. Da lì ho iniziato a raccontarmi e a raccontare il mondo intorno a me.
Che cosa significa esserlo
oggi e quando ci si può davvero definire tali?
Oggi essere scrittore vuol dire avere la capacità di osservare senza giudizio i fenomeni sociali e relazionali che stiamo vivendo, senza giudizio e preconcetti: ci si può definire tali quando l’approvazione e il riconoscimento viene al di fuori della propria comfort zone, e non dai soliti amici!
Che effetto ti ha fatto
avere tra le mani il tuo primo romanzo?
Ho avuto la sensazione di avere qualcosa di mio, destinato a restare immortale! Anche se, a distanza di vent’anni, non l’ho ancora riletto.
Si dice che l'ultimo sia
sempre quello più atteso sia dai lettori che dallo stesso autore, è così anche
per te?
Da quello che sento dire è proprio così. Ho scritto romanzi in età acerba, racconti brevi autoconclusivi, piccoli aneddoti di vita personale: “Domani mi sveglio presto”, invece, è una storia corale dove chiunque può sentirsi protagonista e rivedere una parte di sé nelle paure e nella determinazione dei miei personaggi.
Per esso hai scelto un
titolo fresco, semplice ma nel contempo che nasconde anche il messaggio di
andare avanti sempre e comunque nella vita. Di viverla fino in fondo,
iniziando- per l'appunto- ad alzarsi presto. Perché questa scelta?
Avevo pensato ad altri titoli, ma alla fine mia moglie ha avuto questa intuizione! Penso sia efficace nel mandare il messaggio principale del libro: scendete dal letto, aprite gli occhi e godetevi la vita!
Ma quanto coraggio ci
vuole per rialzarsi e ripartire?
Ci vuole coraggio per essere felici, quel detto è proprio vero. Ma tutti ne siamo in possesso, occorre solo trovare la forza e tirarlo fuori!
L'amore è l'unica cosa che
può darci la forza per farlo?
L’amore in noi stessi, prima di tutto. E poi, dopo aver scoperto questo sentimento di rispetto e compassione verso noi stessi, amare il prossimo sarà naturale.
Solitamente quando si parla
di questo sentimento, si intende quello tra due persone, dunque di coppia, e
non- per esempio- quello per la famiglia in generale o per altro. Per quale
motivo secondo te?
C’è ancora un retaggio culturale, soprattutto qui al Sud, che tende a dare compiutezza al sentimento solo quando condiviso tra due amanti. In “Domani mi sveglio presto” ho voluto raccontare un ode all’amore (tra Roberto e Ludovica), ma anche l’amore di ognuno dei miei personaggio verso se stessi e verso la vita!
Ora di romanzi ne hai all'attivo diversi, ma con quali parole li descriveresti e li presenteresti a chi non ha ancora avuto il piacere di leggerli?
“Quella volta che ho imparato a nuotare” – Manni Edizioni – ha segnato l’inizio del mio percorso letterario: l’ho scritto dopo tre anni a Milano ed è la riscoperta delle piccole cose e dei valori più genuini. “Le ragazze stanno bene” invece è una raccolta di racconti sulle relazioni nell’epoca delle dating app e dei social network, un manifesto di come la mia generazione – e quelle anche più giovani – viva in modo confuso e scettico la ricerca dell’amore. “Domani mi sveglio presto” insegna a imparare a cadere e a rialzarsi.
Ma in che situazione nasce
generalmente un tuo testo?
Nasce dalla pancia, non dalla testa. Dopo un momento di sconforto e riflessione, nella maggior parte dei casi.
Ami scrivere di getto o
sei più riflessivo?
Scrivo sempre di getto, a volte sono costretto a fermarmi in autostrada perché ho in mente un testo, un dialogo, anche solo una piccola riflessione ho bisogno subito di appuntarla nell’ app di blocco note del cellulare!
E - più in generale- come
sei nella vita?
Oggi cerco di essere più fatalista, meno polemico, più comprensivo. Parlo molto meno che in passato e ascolto di più, una dote innata per molti ma che purtroppo nella nostra società frenetica tende a passare in secondo piano.
Quali credi che sia il tuo
miglior pregio?
L’empatia.
E il tuo peggior difetto?
L’empatia. (ride)
La scrittura ti ha aiutato
a crescere e a maturare come persona?
La scrittura, con la musica, mi ha salvato. È come se i miei romanzi fossero stati lunghi esercizi di psicoterapia, vere e proprie sedute di consapevolezza e scoperta di sé.
Per che cosa ti senti di
ringraziarla?
Per avermi sempre dato una strada diversa da poter percorrere, anche quando tutto intorno a me sembrava portarmi in un vicolo cieco.
E te stesso? Per che cosa
ti senti dirti “grazie”?
Per essere riuscito ad
abbracciarmi, quando ne avevo bisogno. E a perdonarmi.