Ieri sera al Teatro de' Servi è andato in scena "Chi si scandalizza è sempre banale" scritto e diretto da Michele Cosentini con Luca Ferrini, Alberto Melone e Riccardo Pieretti. Fattitaliani ha intervistato l'autore e regista per la rubrica Proscenio.
In che cosa "Chi si scandalizza è sempre
banale" si contraddistingue rispetto ad altri suoi testi?
Nella presenza di un personaggio definito nella sua individualità storica, soprattutto se “ingombrante” come Pasolini. Nei miei testi, per affrontare tematiche sociali, solitamente mi ispiro a vicende e personaggi reali, ma anonimi e sconosciuti. Qui mi confronto con una singola soggettività monumentale, per quanto drammaturgicamente frammentata in più voci, che si snodano tra le sue sfaccettature, le sue reali o apparenti contraddizioni, in costante contrappunto e controcanto con gli interlocutori del tempo.
Quale linea di continuità, invece,
porta avanti?
L’analisi e la denuncia delle
disfunzioni della società, senza dubbio. Pasolini resta tremendamente attuale:
se sostituisci “Nixon”, “Andreotti”, “DC”, con omologhi odierni, ne vedi tutta
l’urticante contemporaneità. Ed è solo un esempio.
Com'è avvenuto il suo primo approccio al teatro? Racconti…
Onestamente? Non lo ricordo. Ho avuto la fortuna di avere una madre che mi ha portato a teatro fin da quando ero ragazzo. Di qui una scuola di teatro locale mentre frequentavo il liceo, e poi l’Accademia.
Quando si scrive un testo nuovo
può capitare che i volti dei personaggi prendano man mano la fisionomia di
attrici e attori precisi?
Può succedere, ma personalmente lo vedo come un rischio. Quando mi rendo conto che ci sto cascando, cerco di focalizzarmi sulla scrittura e di estraniarmi dall’attore o dall’attrice a cui sto pensando, anche perché non è detto che sarà sempre lui o lei ad interpretarlo. Ma non è solo un punto pratico, è anche una questione di principio. Devi costruire un personaggio che abbia una vita e un’autonomia proprie, un’anima e delle radici che lo rendano interpretabile da chiunque. Devi renderlo il più possibile universale, sennò non funziona.
È successo anche che un incontro casuale abbia messo in moto l'ispirazione e la scrittura?
Assolutamente sì, soprattutto quando,
come nel mio caso, chi scrive si ispira all’attualità. Magari non l’idea di
scrivere questo o quel testo; ma lo sviluppo di una scena, di un personaggio,
la risoluzione di uno snodo, di un dialogo, o addirittura di un finale, sì. L’ispirazione
scatta se quell’incontro -foss’anche muto- ti suscita indignazione o empatia.
Per un autore teatrale qual è il più grande timore quando la regia è firmata da un'altra persona?
Se sei anche un regista, come nel mio
caso, tendi a scrivere creando già l’allestimento nella tua testa. E’
istintivo, ma è un errore: se sai che la regia non sarà la tua, devi sgombrare
la testa e metterti davanti al foglio di carta con un altro spirito, sapendo
che ciò che scriverai potrà -legittimamente- diventare altro. E magari potrà
anche essere stravolto, perché no? Un regista intellettualmente onesto non può
- che so- far diventare bellicista un testo per la pace, per esempio, ma per il
resto può dargli il taglio, l’impostazione e la lettura che gli pare. Al primo testo
si fa fatica ad accettarlo, soprattutto se si è giovani, poi si capisce che è
giusto così.
Mettere in scena un proprio testo può presentare dei limiti?
Direi di no, anzi. Credo sia invece limitante mettersi anche a fare l’attore nei propri spettacoli: si perde quella necessaria distanza dalla propria opera, oltre al fatto che non si possono fare troppi mestieri contemporaneamente.
D'accordo con la seguente
affermazione: "La scrittura è l’ignoto. Prima di scrivere non si sa niente di ciò che si
sta per scrivere e in piena lucidità" di Marguerite Duras?
Abbastanza. L’unica lucidità è data
dal tema che voglio affrontare, per il resto non ho la più pallida idea di cosa
ne verrà fuori.
Il suo aforisma preferito sul teatro... o uno suo personale…
Una frase di Erwin Piscator, citata
da Judith Malina nei suoi diari: “Vorrei fare di ogni attore un
pensatore e di ogni drammaturgo un combattente”.
L'ultimo spettacolo visto a teatro ?
“Tempest Project” di Peter Brook. Non posso pensare che se ne sia andato anche lui, era l’ultimo dei giganti.
Degli attori del passato chi
vorrebbe come protagonisti ideali di un suo spettacolo?
Volando alto, Dario Fo e Franca Rame,
per il loro impegno sociale e politico. Incarnavano quella che è per me la
funzione più sublime dell’artista. E’ un’idea puramente concettuale: non sarei
stato degno di scrivere una riga per loro, né tantomeno di fargli una regia.
Il miglior testo teatrale in assoluto qual è per lei?
Impossibile rispondere. Restando sul
contemporaneo, “Party time” di Harold Pinter. A proposito di quel che si diceva
prima, sull’ispirazione che può scaturire anche da incontri casuali, Pinter
disse che l’idea gli era venuta a una festa, parlando con due signore turche:
“Cosa ne dite delle torture che avvengono nel vostro paese?” aveva chiesto. E
loro: “Torture? Quali torture? Ma no, vi sbagliate, solo i comunisti vengono
torturati”. Pinter dichiarò: “Invece di strangolare le due
signore me ne tornai a casa e cominciai a scrivere Party Time”.
La migliore critica che vorrebbe ricevere?
“Questo spettacolo ha messo a nudo cose importanti e mi ha fatto incazzare”.
La peggiore critica che non
vorrebbe mai ricevere?
“Questo spettacolo non ha niente da
dire e non serve a nulla”.
Dopo la visione dello spettacolo, che cosa Le piacerebbe che il pubblico portasse con sé a casa?
Qualche certezza in meno su Pier
Paolo Pasolini.
C'è un passaggio, una scena che potrebbe sintetizzare in sé l'essenza e il significato de "Chi si scandalizza è sempre banale”?
Forse “Valle Giulia deconstruction”;
della poesia più controversa di Pasolini, tutti ricordano solo i primi versi.
Noi cerchiamo di arrivare alla fine, inframmezzandola con i commenti di Pasolini
medesimi e dei suoi detrattori. Erano veramente versi reazionari? Furono
fraintesi? Pasolini non riuscì a spiegarsi o furono gli altri o non voler
capire? O la realtà sta nel mezzo? Credo che l’essenza dello spettacolo sia
soprattutto in questa scena, perché semina il dubbio senza dare una risposta
univoca. Del resto, lo stesso Pasolini ebbe a scrivere, nel suo primo
intervento sulla rivista “Tempo”: “La mia non sarà una verità affermativa, e io
non avrò nessun timore di contraddirmi, o di non proteggermi abbastanza”. Giovanni Zambito.
LO SPETTACOLO
La drammaturgia, volutamente, ignorerà tutti quegli aspetti più comuni che hanno portato alla banalizzazione ed alla creazione di uno stereotipo pasoliniano per concentrarsi invece su quel Pasolini interventista dal punto di vista civile e politico, quel Pasolini “politicamente scorretto”, scomodo, provocatorio, urticante, le cui polemiche furono a volte non condivise, altre trascese e male interpretate, altre ancora strumentalizzate. La drammaturgia tenderà a dimostrare come, nonostante sia cambiato il contesto storico, le idee e gli enunciati di Pasolini siano ancora attuali e come la società di oggi avrebbe bisogno di ricordare e fare proprie alcune delle battaglie e delle idee di questo intellettuale. La drammaturgia è stata costruita cucendo insieme pezzi di interviste, interventi sulla stampa dell’epoca, alcune raccolte tratte da “Scritti corsari” e “Lettere luterane”, alcuni attacchi che autorevoli giornalisti e politici dell’epoca rivolsero a o contro Pasolini, ed altri brani tratti ad esempio da “Io so ma non ho le prove” (sui mandanti delle stragi e degli attentati alle istituzioni) , “La chiesa, i peni e le vagine” (sulla Chiesa e la Sacra Rota), “Discorso sui capelloni” ( sull’anticonformismo che diventa conformismo), “Proposta di abolizione della Scuola media”; “Proposta di abolizione della televisione”, ed altri scritti in cui Pasolini rivolge la sua attenzione alla società ( discorso sull’aborto, processo ai gerarchi della DC, il fascismo degli antifascisti, il discorso di Valle Giulia ed altri). Infine, è stato toccato il delicato tema della censura usando brani tratti da “La trilogia della vita”, trilogia poi abiurata da Pasolini stesso. La drammaturgia è volutamente così attuale da rendere difficile credere che siano brani di un’epoca ormai morta e sepolta.
MICHELE COSENTINI drammaturgo, regista e attore
Si è diplomato
all’Accademia d’Arte Drammatica della Calabria, specializzandosi a Varsavia e ad Amsterdam. Come regista e drammaturgo ha indirizzato la sua ricerca
verso la fusione
tra partitura musicale
e parola recitata.
Ha elaborato numerose
drammaturgie musicali per le proprie
regie, con diversi
riconoscimenti: nel 2002, per R Dekamerwar, ha vinto il primo premio al Festival
Nazionale del Teatro di Cesena,
l’Eurofestival di Pachino e il Premio per la Pace a Roma; nel 2004, con
Liberté vince 5 premi al Festival di Montecorvino Pugliano, tra cui
il premio per la migliore
regia.