Cabruja presenta l'omonimo album, un disco "germinato e poi cresciuto come una pianta". L'intervista

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“La Corazonada” è una canzone molto personale, legata strettamente a Cabruja e al suo vissuto, ma condivisa con milioni di altre persone. Riprendendo le canzoni e le sonorità della vecchia Caracas, città natale del cantante, Cabruja desidera, più che raccontare, esprimere da un punto di vista emotivo cosa vuol dire crescere e vivere in una delle città più violente e  pericolose al mondo.

Con un tasso di circa 100 omicidi all’anno per ogni 100mila abitanti, la paura e la paranoia sono sensazioni quotidiane tra i cittadini. “La Corazonada” è una specie di sentore che viene dal cuore, il presentimento che qualcosa di terribile sta per accadere, una sensazione sempre presente. Per Cabruja, vivere con questa costante percezione di pericolo è già morire.

Il testo del brano fa diversi riferimenti alla città: Caracas, che veniva chiamata “la de los techos rojos” - la (città) dei tetti rossi, è situata in una valle con un clima primaverile durante tutto l’anno, ma con un carattere tropicale molto esuberante, che si riflette anche sulla personalità di chi ci abita. Il contrasto tra questi elementi paradisiaci con la terribile realtà vissuta attualmente manifesta la nostalgia di una città che non sarà mai la stessa. Cabruja, come tanti altri caraqueños espatriati, vive la lontananza da casa non come una dolce malinconia, ma come un severo lutto.

L’intervista

Com’è nato il disco?

Questo disco è germinato e poi cresciuto come una pianta. Raul Girotti, proprietario dell’Over Studio Recording mi aveva sentito cantare su altri progetti più informali che avevo in passato e mi ha chiesto di fare qualcosa con lui. L’idea iniziale era di fare un EP con qualche brano, cover un po’ particolari, solo piano e voce. Poi Raul ha pensato che il progetto poteva diventare qualcosa di più importante e decise di coinvolgere arrangiatori come Cristiano Alberghini e Giancarlo Di Maria, che ha fatto la maggior parte dei brani. Il COVID ha interrotti i lavori e nel frattempo ho scritto due brani che poi sono stati inclusi nell’album. E così , da quello che doveva essere un semplice EP, quasi un gioco, è diventato un album fatto da grandi professionisti, dalla prima nota all’ultima.

Perché così tante cover nell’album.. i brani più belli sono quelli tuoi…

Il cantautorato è una cosa che sto appena cominciando a esplorare. Non sono un musicista, sono una persona che canta. Mi piace pensare che ho qualcosa da dire, ma l’ho sempre fatto con le parole degli altri, cioè, con le canzoni di altri. E’ un'idea che mi piace, rielaborare i  brani in una chiave diversa, personale. Far vedere come vivo io quella canzone. Io adoro quando i musicisti che seguo fanno delle cover... paradossalmente a volte capisci di più dell’artista in questo modo. Sono comunque contento che ti piacciano di più i miei brani.

Come hai scelto le cover?

La maggior parte delle cover incluse nell’album sono canzoni che mi hanno accompagnato in qualche modo durante la mia vita. Non a caso, una bella fetta sono brani degli anni 90, gli anni della mia adolescenza. Ho scelto i brani per motivi diversi: omaggiare un particolare artista come nel caso di Father Lucifer di Tori Amos; perché mi piaceva l’idea di stravolgere completamente il brano  come abbiamo fatto con  B Line dei Lamb; oppure perché sono canzoni che amo e che ho sempre voluto cantare, come ad esempio Gloomy Sunday.

Oltre alla tua voce…bellissima… l’altro punto forte sono gli arrangiamenti per archi.. Me ne vuoi parlare?

Innanzi tutto ti ringrazio. Il merito degli arrangiamenti è di Giancarlo Di Maria nel caso di tutti i brani tranne All Mine, che l’ha fatto Cristiano Alberghini. Il lavoro con entrambi è stato molto bello e interessante, perché hanno saputo capire i miei input, a volte un po’ criptici. Il linguaggio non-musicale che ho usato non era sempre facile da cogliere. Il risultato, secondo me, è bellissimo, archi compresi.

Il brano che mi ha colpito di più è La Corazonada -… parlami di questo pezzo

La Corazonada riprende la musica della Caracas Vieja, quella che magari ascoltava mia nonna, con un colore più drammatico e con un testo ancora più disperato. E’ un brano pieno di tensione, che pretende rispecchiare cosa vuol dire la vita in una delle città più pericolose al mondo. La Corazonada parla di quella paura, la paranoia costante, la sensazione che qualcosa di terribile potrebbe accadere in qualsiasi momento. Vivere così è come morire costantemente. E’ un brano molto personale, condiviso con milioni di altre persone.


C’è un brano nel disco a quale sei più affezionato?

Forse quello che mi emoziona di più quando lo canto è Alfonsina y el mar. E’ essenziale, solo la mia voce e il pianoforte del maestro Denis Biancucci. Un altro brano particolarmente importante per me è Unravel della cantante islandese Björk, che è diventato il secondo singolo. Ma alla fine tutti i brani rappresentano qualcosa per me... sono tutti importanti.

Com’è vivere lontano dal Venezuela?

Un contrasto. Io sto bene in Italia, anche molto bene. Ma è un benessere che viene con un costo molto alto da pagare... la lontananza dagli affetti, i punti di riferimenti... ho dovuto trovarne di nuovi e non è una cosa semplice. Ma non mi pento di essere partito, a me comunque piace essere straniero.

Foto di -Luca-De-Vincentis

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