Il Mediterraneo tra arte e parole di Emanuele De Giorgio verso il 40° della morte

Fattitaliani



di Marilena Cavallo*

Emanuele  De Giorgio è artista mediterraneo. Il prossimo anno si celebreranno i 40 anni dalla morte.  "Domenica in Albis" del 1980 è il mediterraneo recitato nelle gozzaniane memorie dei crepusco raccolti in un pugno di parole.
E il recupero della tradizione coinvolge quei volti e quegli occhi che sono il tempo del paese, dell'essere paese, dell'essere trasportati dai luoghi vissuti e abitati, attraversati e nascosti in una Grottaglie che ha le radici nei solchi del Mediterraneo.

Proprio in questi racconti la sua Grottaglie è memoria in un vissuto in cui il nostos è vita.
Si legge: "Nel silente e suggestivo scenario della piazza l'occhio poteva abbracciare scorci disarticolati di logge ed archi; ma su tutto s'imponeva la severa struttura della cattedrale romanica, con la caratteristica cupola del Cappellone ricoperta di piastrelle in ceramica, gialle e verdi, quasi a bilanciare il rapporto di pieni e di vuoti; ed anche perché sulla destra si sviluppava l'arco-ne del palazzo del principe, buio come una spelonca, a testimonianza del potere feudale di un passato non molto remoto. Al confronto la torretta dell'orologio sovrastante ad un loggiato cieco, sembrava un'opera di cesello,tanto era fine nelle modanature architettoniche e nelle linee rococò, unite alla balaustra in ferro battuto che correva sul corpo centrale della fabbrica... Una voce dominava incontrastata dall'alto della torre sulle vicende dell'uomo: era l'orologio che scandiva i rintocchi a due toni e ad intervalli regolari, per dare la misura del tempi... Chi aveva la ventura di trovarsi a Taranto...
ora fuori le mura del paese, nel profondo silenzio della sera, sentiva le note argentine propagarsi per l'aria a fargli compagnia. L'orologio assumeva allora le funzioni del nume tutelare di una natura abbandonata a se stessa". Si affaccia sullo scenario letterario di De Giorgio il tempo. Il luogo e l'orologio sono quel misurare le distanze e le vicinanze tra le radici e il senso dell'eredità a un luogo , ovvero, in questo caso a Grottaglie, sua città natale.

Dalla pittura alle forme della geografia paesaggistica. Un rupestre che sa di terra e di colori. Un Mediterraneo raccolto nella visione ampia dell'immaginario onirico e reale. Un realismo magico? Una rappresentazione nella magia delle forme. Dalla pittura ai racconti. Ma ogni racconto è un tratto di poesia che ha la sua liricità in un onirico profondamente toccato dalla magia che segna il sillabario delle immagini in simboli. Ma il simbolo è un segmento di una marcata consapevolezza in cui la natura è conoscenza e vita tra la figura e il linguaggio della parola. 

Nel testo "Arte al Sud tra passato e presente. Emanuele De Giorgio si racconta", con prefazione di Pierfranco Bruni e pubblicato da Centro Studi e Ricerche Francesco Grisi, la cui prima edizione venne pubblicata nel 2008. Una autobiografia che si tratteggia con una mosaicizzazione di poesia e arte nel segno della tavolozza e del  sogno. Una scuola di pittura in un Novecento che ha saputo guardare ai temi del Mediterraneo attraverso la creatività e le eredità culturali. Ed è proprio in questo itinerario che si sviluppa la sua prosa e la sua poesia in un dettaglio poetico. I cardi e il floreale sono un coerente racconto di una Puglia in cui il paesaggio si presenta con una geografia di metafore e di "impressionismo" che ha rimandi di un tardo romanticismo pittorico ben dentro nella ricerca di un Novecento ben rappresentato in un inciso che richiama la scuola di Dante Gabriele Rossetti. 

Infatti anche la sua grafica scava in una esperienza raffigurativa pregna di significati, il cui naturalismo ha una dimensione sempre rappresentata in un tracciato  di radici in appartenenza di identità. Nei suoi racconti il senso dell'antropologo è vitale ed è una espressione demartiniana ben marcata soprattutto nel racconto "Il ballo della tarantola" nel quale si legge: "... ragazza che girava vorticosamente nello spazio lasciato libero dalla gente, capelli e vesti svolazzanti per i movimenti rapidi delle gambe, del busto e per il gesticolar delle braccia". Riferendosi alla ragazza tarantola descrive: "...teneva gli occhi bassi e sul suo volto si leggeva un’espressione di struggente voluttà” tanto che sulla sua pelle - carne osserva:  “brillavano a sprazzi due enormi cerchioni di metallo conficcati nei lobi delle orecchie". Una pagina di estremo interesse etnoantropologico  che sembra risalire al 1937 (data significativa perché anticipa gli studi inerenti proprio il modello antropologico di Ernesto De Martino. 

Ma De Giorgio vive questo impatto in una stretta tra letteratura, antropologia e pittura. Il raccontare nasce dalle immagini, ovvero da ciò che ha visto. Vedere è percepire la griglia simbolica di una intesa tra Sud e Mediterraneo nelle culture popolari. Sempre in questo racconto scriverà: "Non ricordo quanto durò questo allucinante spettacolo, ma è certo che l’immobilità della giovane durò a lungo. Quando parve risvegliarsi dal sonno, rigirandosi su se stessa guardava fisso nel vuoto. Quasi a fatica si sollevò pigramente prima sulle ginocchia e poi con qualche sforzo in più fu di nuovo in piedi. Come un automa, ricomincio la girandola battendo con i tacchi il tempo della musica. I musici a loro volta seguivano i passi di danza sommessamente con i consueti motivi tzigani e man mano che la donzella si scioglieva nei movimenti acceleravano gradatamente il tempo e aumentavano il volume e danzatrice e musica si fusero nuovamente in un gorgo vorticoso da vertigini". Una lettura in cui il visionario ha un sostrato magico in cui segnali sono proprio le immagini e l'immaginario.

È nato a Grottaglie il 14 marzo, ma dichiarato allo stato civile, il  16 marzo, del 1916 ed è morto a Taranto il 19 agosto del 1983.

*Docente di letteratura italiana 
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