di Andrea Giostra.
«“L’amore che move il sole e l’altre stelle.” Con questo ultimo verso, Dante ci spiega il concetto dell’intera opera di Dio, vi racchiude il significato dell’universo, del fatto che l’amore è il meccanismo di fondo che muove il mondo e tutta la vita. Lo stesso vale per me… può essere più o meno presente in modo contingente ma rimane in ogni caso, il promotore di ogni evento della mia vita.» Lida Coltelli
Ciao Lida, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro
invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori che volessero sapere di te?
Direi che per prima cosa io sono insegnante! Sono insegnante di Scuola Primaria che ama fare il proprio lavoro e che trova il tempo, magari ogni tanto, anche per dedicarsi ad altro. Come la scrittura, la pittura, il canto, il teatro, la scultura…
Chi è invece Lida Donna al di là della sua passione per la
scrittura, la poesia e l’arte? Cosa puoi raccontarci della tua quotidianità?
Nella quotidianità sono la normalità più assoluta! Sono una mamma di
due gemelle di 12 anni, avute in età piuttosto avanzata, che mi costringono a
giostrarmi tra i loro impegni sportivi in modo tutt’altro che semplice. Quella
a pallavolo, quell'altra a tennis. Portane una, prendi l’altra…
Ultimamente si è aggiunta mia madre, che ha perso la testa in 15 giorni, ed è un altro problema di difficile gestione… in un periodo che la mia malattia oncologica avrebbe richiesto un po’ più di pace.
Qual è il tuo percorso
accademico, formativo, professionale ed esperienziale che hai seguito e che ti
ha portato a fare quello che fai oggi nel vestire i panni della scrittrice,
poeta e artista?
In realtà non vanto grossi crediti formativi, né percorsi accademici particolari. Anzi credo di essere abbastanza improvvisata! Sono autodidatta in tutto! Vengo da una famiglia di poeti e scultori… forse… ciò che mi ha spinto è proprio questo… l’idea di confrontarmi con il mio retroterra culturale.
Come nasce la tua passione per scrittura, per la poesia e
per i libri? Chi sono stati i tuoi maestri e quali gli autori che da questo
punto di vista ti hanno segnato e insegnato ad amare i libri, le storie?
Nel periodo
scolastico, ho, naturalmente, letto i classici che mi venivano proposti e narrativa
di vario genere. Adoravo i gialli, a partire da Agatha Christie e Arthur Conan
Doyle ma la vera scoperta arriva con il giallo storico… Ellis Peters, Candace
Robb, Danila Comastri Montanari, Valeria Montaldi, Peter Tremayne…
Il giallo storico è decisamente il mio genere preferito anche se, a mio parere, è anche il più difficile poiché richiede un impegno di gran lunga superiore rispetto agli altri. Il tempo che io impiego a studiare il contesto è solitamente tre volte di più di quello che dedico alla stesura del libro. Della serie… come complicarsi la vita!
Ci parli dei tuoi libri “Et in bona gratia.
Un’indagine per il commissario Ludovico Ariosto” e “Il calzare della sposa. Una
nuova indagine per il commissario Ludovico Ariosto”? Come nascono, qual è l’ispirazione che li ha generati,
quale il messaggio che vuoi che arrivi al lettore, quali le storie che ci
racconti senza ovviamente fare?
Sono uno, il sequel
dell'altro. E nascono dall'incontro fortuito di alcune lettere che l’Ariosto
aveva scritto al suo Duca Alfonso D’Este nel periodo in cui era stato nominato Commissario
in Garfagnana. Ecco, è proprio il fatto che lui fosse un vero e proprio Commissario
che mi ha in qualche modo spinto a scrivere questo libro. In definitiva, noi
conosciamo Ariosto come letterato, poeta, come commediografo ma in pochi sanno
che lui è stato anche altro. Un diplomatico, ad esempio, al servizio di Ippolito
D’este e, appunto, un Commissario estense,
nel periodo che va dal febbraio del 1522 al maggio del 1525 a Castelnuovo
Garfagnana. Ha ricoperto questo ruolo a malincuore perché l’ha costretto ad
allontanarsi dalla sua Ferrara, dalla sua Alessandra Benucci e dai suoi affetti
più cari… per stare in un ambiente che lui considerava inospitale, pieno di
bifolchi e infestato dalla piaga endemica del banditismo.
Entrambi i libri sono
una sorta di ibrido tra il contesto storico, riprodotto, talvolta, anche in forma
quasi maniacale, e il falso storico richiesto dalla finzione narrativa.
Ho ricostruito tutto
nei minimi particolari, dal Santo del calendario Romano, alle fasi lunari,
dalle hore italiche alla toponomastica.
I dialoghi sono in
cinquecentesco con, allegati gli errori/orrori che si potevano ritrovare nei
carteggi dell’epoca. Compresa l’abitudine conclamata e reclamata (Ariosto era
un sostenitore convinto) dell’uso dell’h in parole come Homo, honore ma anche
nel verbo avere come habbiamo, havere, havuto.
Sono due gialli, con
tutte le caratteristiche del giallo. Tuttavia non sono cruenti. Anche perché
l’esistenza di un carteggio piuttosto frequente, con molte lettere superstiti,
mi condiziona abbastanza. Episodi troppo cruenti sarebbero sicuramente arrivati
alle orecchie del Duca. Posso giocare un po’ sulle lettere scomparse ma fino ad
un certo punto…
Nel primo libro tutto
gira intorno alla morte di un orafo… mentre il secondo si snoda attorno alla
scomparsa di una giovane promessa sposa a pochi giorni dal matrimonio.
Ariosto non si comporta come un Commissario classico… direi che somiglia più ad un Nero Wolf che si fa aiutare nelle indagini dal baricello del luogo, il funzionario di polizia della zona, e da Velia, la sua perspicace domestica.
Chi sono i destinatari che hai immaginato mentre li
scrivevi?
Chiunque fosse interessato a scoprire un Ariosto inedito e un periodo
storico particolare.
In realtà, questi libri nascono anche e, soprattutto, come tributo alla
mia Terra d’origine e a mio padre. Volevo avere la scusa per parlare del mio
retroterra culturale, degli usi, dei costumi, del dialetto…
Però potrebbe essere interessante anche per dei liceali che avrebbero, così, la possibilità di conoscere un Ariosto meno scolastico e più accattivante.
Una domanda difficile, Lida: perché i nostri lettori dovrebbero comprare “Et in bona gratia. Un’indagine per il commissario Ludovico Ariosto” e “Il calzare della sposa. Una nuova indagine per il commissario Ludovico Ariosto”? Prova a incuriosirli perché vadano in libreria o nei portali online per acquistarli.
Perché è un libro piacevole, divertente, interessante... Perché
mostra il poeta Ariosto da un'ottica diversa, più umana e accattivante, che è
quella "storica" del "Commissario Estense" con i dubbi, le
paure e l'impegno che questo ruolo comportava.
Perché potrebbe essere interessante anche per degli studenti
che devono studiare un Ariosto più " serioso".
Perché è un giallo storico che ha richiesto uno studio
approfondito del contesto di riferimento...
Perché i dialoghi tra i personaggi (per la maggioranza
realmente esistiti) sono in italiano antico e direi che non è cosa da tutti i
giorni.
Per il resto, che dire... Scriverlo, anzi, scriverli (visto che sono due finiti e sto scrivendo il terzo) è stato abbastanza faticoso ma la cosa più difficile è stata staccarsi dai personaggi a cui mi ero affezionata... Non è stato facile lasciarli andare... Jacopo il baricello che affianca Ariosto, Velia la sua “moderna” e simpatica domestica... ma di loro vi racconterò un’altra volta...
C’è qualcuno che vuoi ringraziare che ti ha aiutato a realizzare queste opere letterarie? Se sì, chi sono queste persone e perché le ringrazi pubblicamente?
Il mio compagno per avermi spinto a scrivere sull’Ariosto. Un amico, Verdigi Mariano, un insegnante di Scuola Primaria, che non c’è più, ma che è stato il primo a leggere il manoscritto di “Et in bona gratia” e il mio primo fans. Il mio editore Giannasi Andrea, per aver creduto in me fin da subito. Infine un autore deceduto di Castelnuovo, Giuliano Nesi, per aver scritto un saggio accuratissimo, da cui ho attinto spudoratamente per la ricostruzione storica del periodo di riferimento.
Nella tua attività di scrittrice hai scritto altri libri?
Se sì, ci parli di queste tue opere letterarie? Di cosa trattano, quali le
storie, quali i messaggi che hai immaginato di trasmettere ai tuoi lettori?
Insomma, parlaci della tua attività letteraria.
Veramente no... non ho scritto altri libri. Ho scritto diverse poesie… sia in rima che non… e un paio di fiabe per bambini sul tema della solidarietà, dell’accoglienza/integrazione e sull’amicizia ma non ho mai sentito l’esigenza di pubblicarle.
«… mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto di bellezza, e
mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito quanto
rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me lo
chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”» (Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp.
5-6). Per te cos’è la bellezza? La bellezza letteraria e della scrittura in
particolare, la bellezza nell’arte, nella cultura, nella conoscenza… Prova a
definire la bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la
bellezza secondo te?
La bellezza è qualcosa che parte da dentro, qualcosa di molto soggettivo. Tuttavia dovrebbe essere qualcosa di riconosciuto o di riconoscibile. Quanto più persone sono propense a riconoscere la bellezza in qualcosa/qualcuno allora è più probabile che questo qualcosa/qualcuno sia, in effetti un vero depositario di bellezza.
«Appartengo a quella categoria
di persone che ritiene che ogni azione debba essere portata a termine. Non mi
sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come
affrontarlo.» (Giovanni Falcone, “Cose di cosa nostra”, VII ed., Rizzoli libri spa, Milano, 2016, p.
25 | I edizione 1991). Tu a quale categoria di persone appartieni, volendo
rimanere nelle parole di Giovanni Falcone? Sei una persona che punta un
obiettivo e cerca in tutti i modi di raggiungerlo con determinazione e impegno,
oppure pensi che conti molto il fato e la fortuna per avere successo nella vita
e nelle cose che si fanno, al di là dei talenti posseduti e dell’impegno e
della disciplina che mettiamo in quello che facciamo?
Appartengo alla prima categoria! L’impegno e la determinazione sono fondamentali! Poi, diciamo che il fato o qualche “tarpata” con lo zampino… ogni tanto potrebbero aiutare…
«La lettura di buoni libri è una conversazione con i migliori uomini
dei secoli passati che ne sono stati gli autori, anzi come una conversazione
meditata, nella quale essi ci rivelano i loro pensieri migliori» (René Descartes in “Il discorso
del metodo”, Leida, 1637). Qualche secolo dopo Marcel Proust dice invece
che: «La lettura, al contrario della
conversazione, consiste, per ciascuno di noi, nel ricevere un pensiero nella
solitudine, continuando cioè a godere dei poteri intellettuali che abbiamo
quando siamo soli con noi stessi e che invece la conversazione vanifica, a
poter essere stimolati, a lavorare su noi stessi nel pieno possesso delle
nostre facoltà spirituali. (…) Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso.
L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli
offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non
avrebbe forse visto in sé stesso.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La
Renaissance Latine”, 15 giugno 1905 | In italiano, Marcel Proust, “Del piacere di leggere”, Passigli ed.,
Firenze-Antella, 1998, p.30). Tu cosa ne pensi in proposito? Cos’è oggi leggere
un libro? È davvero una conversazione con chi lo ha scritto, come dice
Cartesio, oppure è “ricevere un pensiero
nella solitudine”, ovvero, “leggere
sé stessi” come dice Proust? Dicci il tuo pensiero…
Mi ritengo più in linea con Proust.
“La lettura consiste nel ricevere un pensiero nella solitudine” che poi, sempre
nell’isolamento, ci sia la possibilità di rielaborare il vissuto altrui e di
farlo nostro o di discernere ciò che non ci appartiene, questo è un altro paio
di maniche!
Molto, però, dipende anche dal momento e da cosa decido di leggere…
Leggo per il gusto di leggere, per conoscere il pensiero altrui, per
evadere, per allargare le mie conoscenze…
I miei neuroni saranno connessi, in modo diverso, a seconda di cosa
sono predisposta in quel momento.
O anche del luogo in cui mi trovo…
Non leggo un trattato di filosofia al mare, con le mie figlie che mi girano attorno o con gli amici che richiedono la mia attenzione… non lo capirei!
«Non mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di
cosa sia un romanzo. Li scrivo e basta… i casi sono due: o funzionano o non
funzionano. Non sono preoccupato con: “Questa è una poesia, questo è un
romanzo, questa è una scarpa, questo è un guanto”. Lo butto giù e questo è
quanto. Io la penso così.» (Ben Pleasants, The Free
Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”,
October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.) Secondo te perché
un romanzo, un libro, una raccolta di poesie abbia successo è più importante la
storia (quello che si narra) o come è scritta (il linguaggio utilizzato più o
meno originale, armonico, musicale, accattivante per chi legge), volendo rimanere nel concetto di Bukowski?
Sono fondamentali entrambi! La
storia (fabula o intreccio) e il come è scritta (tecniche descrittive, tecniche
narrative, anacronie, incipit…).
Insegno ai miei alunni a scrivere in modo decente fin dalla terza della Primaria. Ci tengo molto e dedico molto tempo all'acquisizione di buone competenze.
«Direi che sono disgustato, o ancor meglio nauseato … C’è in giro un
sacco di poesia accademica. Mi arrivano libri o riviste da studenti che hanno pochissima
energia … non hanno fuoco o pazzia. La gente affabile non crea molto bene.
Questo non si applica soltanto ai giovani. Il poeta, più di tutti, deve
forgiarsi tra le fiamme degli stenti. Troppo latte materno non va bene. Se il
tipo di poesia è buona, io non ne ho vista. La teoria degli stenti e delle
privazioni può essere vecchia, ma è diventata vecchia perché era buona … Il mio
contributo è stato quello di rendere la poesia più libera e più semplificata,
l’ho resa più umana. L’ho resa più facile da seguire per gli altri. Ho
insegnato loro che si può scrivere una poesia allo stesso modo in cui si può
scrivere una lettera, che una poesia può perfino intrattenere, e che non ci
deve essere per forza qualcosa di sacro in essa.» (Intervista di William Childress, Charles Bukowski, “Poetry Now, vol. 1,
n.6, 1974, pp 1, 19, 21.). Tu da poeta
cosa ne pensi in proposito? Ha ragione Bukowski a dire queste cose? Cosa è oggi
la poesia per te, riprendendo il pensiero di Bukowski?
Io sono piuttosto severa
riguardo alla poesia! Non sopporto tutti quei poeti che pensano di aver scritto
una poesia solo perché sono andati più spesso a capo! La poesia, con o senza metrica
deve avere un linguaggio speciale, non necessariamente aulico ma decisamente
musicale!
Leggo troppo spesso poesie che non trasmettono nulla… e che non hanno neppure il merito di essere scritte bene!
«Il ruolo del poeta è
pressoché nullo … tristemente nullo … il poeta, per definizione, è un mezzo
uomo – un mollaccione, non è una persona reale, e non ha la forza di guidare
uomini veri in questioni di sangue e coraggio.» (Intervista
ad Arnold Kaye, Charles Bukowski Speaks
Out, “Literary Times”, Chicaco, vol 2, n. 4, March 1963, pp. 1-7). Qual
è la tua idea in proposito rispetto alle parole di Bukowski? Cosa pensi del
ruolo del poeta nella società contemporanea, oggi social e tecnologica
fino alla esasperazione? Oggi al poeta, secondo te, viene riconosciuto un ruolo
sociale e culturale, oppure, come dice Bukowski, fa parte di una “élite” di
intellettuali che si autoincensano reciprocamente, una sorta di “club”
riservato ed esclusivo, senza incidere realmente nella società e nella cultura
contemporanea?
Purtroppo penso che oggi il poeta non abbia un riconoscimento sociale e
culturale come avveniva un tempo!
Non si campa di sola poesia!
Pensiamo ad un Pascoli, a un Leopardi, a un Carducci… ai POETI! Questi
vivevano della loro poesia!
Passavano per strada camminando a testa alta, entravano in un negozio …
“Buongiorno, Poeta”
Oggi no! Chi direbbe mai: “Sono Paolino, il poeta”
In linea di massima, strettamente relativo a questo, condivido il pensiero di Bukowski.
«Io vivo in una specie di fornace di affetti, amori, desideri,
invenzioni, creazioni, attività e sogni. Non posso descrivere la mia vita in base
ai fatti perché l’estasi non risiede nei fatti, in quello che succede o in
quello che faccio, ma in ciò che viene suscitato in me e in ciò che viene
creato grazie a tutto questo… Quello che voglio dire è che vivo una realtà al
tempo stesso fisica e metafisica…» (Anaïs Nin, “Fuoco” in “Diari d’amore” terzo volume, 1986). Cosa pensi di queste parole
della grandissima scrittrice Anaïs Nin? E quanto l’amore e i sentimenti così
poderosi sono importanti per te e incidono nella tua scrittura, nella tua arte
e nel tuo lavoro?
Lo stesso vale per me… può essere più o meno presente in modo contingente ma rimane in ogni caso, il promotore di ogni evento della mia vita.
«Lasciate che vi dia un suggerimento pratico: la letteratura, la vera
letteratura, non dev’essere ingurgitata come una sorta di pozione che può far
bene al cuore o al cervello – il cervello, lo stomaco dell’anima. La
letteratura dev’essere presa e fatta a pezzetti, sminuzzata, schiacciata –
allora il suo squisito aroma lo si potrà fiutare nell’incavo del palmo della
mano, la potrete sgranocchiare e rollare sulla lingua con gusto; allora, e solo
allora, il suo sapore raro sarà apprezzato per il suo autentico calore e le
parti spezzate e schiacciate si ricomporranno nella vostra mente e schiuderanno
la bellezza di un’unità alla quale voi avrete dato qualcosa del vostro stesso
sangue» (Vladimir Nabokov, “Lezioni di letteratura russa”, Adelphi ed., Milano, 2021). Cosa ne
pensi delle parole di Nabokov a proposito della lettura? Come dev’essere letto
un libro, secondo te, cercando di identificarsi liberamente con i protagonisti
della storia, oppure, lasciarsi trascinare dalla scrittura, sminuzzarla nelle
sue componenti, per poi riceverne una nuova e intima esperienza che poco ha a
che fare con quella di chi l’ha scritta? Qual è la tua posizione in merito?
Secondo me, una cosa non esclude l’altra!
Da ragazzo ho letto uno
scritto di Oscar Wilde nel quale diceva cos’era l’arte secondo lui. Disse che
l’arte è tale solo quando avviene l’incontro tra l’“oggetto” e la “persona”.
Se non c’è quell’incontro, non esiste nemmeno l’arte. Poi qualche anno fa, in
una mostra a Palermo alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Riso, ho ascoltato
un’intervista di repertorio al grande Gino de Dominicis che sulle arti visive
disse questo: «Le arti visive, la
pittura, la scultura, l’architettura, sono linguaggi immobili, muti e
materiali. Quindi il rapporto degli altri linguaggi con questo è difficile
perché sono linguaggi molto diversi tra loro … L’arte visiva è vivente …
l’oggetto d’arte visiva. Per cui paradossalmente non avrebbe bisogno neanche di
essere visto. Mentre gli altri linguaggi devono essere visti, o sentiti, o
ascoltati per esistere.» (Gino de Dominicis, intervista a Canale
5 del 1994-95). Cosa ne pensi in proposito? L’arte esiste se esiste l’incontro
tra l’oggetto e la persona, come dice Oscar Wilde, oppure l’arte esiste
indipendentemente dalla persona e dal suo incontro con l’oggetto, come dice de
Dominicis per le arti visive? Qual è la tua prospettiva su questo punto e sull’arte
in generale?
Non saprei… il vero artista è colui che riesce a trasformare il suo
“essere” in qualcosa di creativo e originale. Può avvenire nell’incontro con
l’oggetto… ma anche con l’idea impalpabile e metafisica che lo smuove! Che lo
spinge a “creare”, a dare forma ai propri vissuti nei linguaggi che gli saranno
più congeniali.
Non sono d’accordo sull’affermazione che «Le arti visive, la pittura, la scultura, l’architettura, sono linguaggi immobili, muti e materiali.» Dipende dall’artista, appunto!
Se per un momento dovessi
pensare alle persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno aiutato
significativamente nella tua vita professionale e umana, soprattutto nei
momenti di difficoltà e di insicurezza che avrai vissuto, che sono state
determinanti per le tue scelte professionali e di vita portandoti a prendere
quelle decisioni che ti hanno condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi
sogni, a chi penseresti? Chi sono queste persone che ti senti di ringraziare
pubblicamente in questa intervista, e perché proprio loro?
Ogni persona che incontriamo, nel bene o nel male, diventa importante
nel cammino di ognuno. Alcuni influiscono di meno, altri di più, spesso anche
nostro malgrado!
Da ringraziare sono sicuramente i miei genitori. La figura paterna è
stata fondamentale per le mie scelte di vita. Era uno scultore, un poeta, un
uomo onesto, un uomo speciale. Purtroppo mio padre non c’è più e mia madre sta
andando fuori di testa… è devastante vederla così!
Sempre da ringraziare c’è il mio compagno che mi ha sostenuto in questi
anni, e determinante è stato l’arrivo delle mie figlie, dodici anni fa.
L’evento che mi ha cambiato la vita.
Infine ringrazio pubblicamente anche il mio editore Giannasi Andrea, per la fiducia che ha riposto in me.
Gli autori e i libri che
secondo te andrebbero letti assolutamente quali sono? Consiglia ai nostri
lettori almeno tre libri da leggere nei prossimi mesi dicendoci il motivo della
tua scelta.
Al primo posto metto tutti i gialli storici per ovvi motivi. A partire
da quelli della Danila Comastri Montanari. E a seguire autori come la Candace
Rob, Peter Tremayne, Marco Buticchi, la Valeria Montaldi…
Se poi intendi dei classici… allora le cose cambiano.
Potrei consigliare “Cime tempestose” della Brontë perché è una sorta di thriller emotivo. “Orgoglio e pregiudizio” della Austen per chi ama leggere degli spaccati storici. “Il tamburo di latta” di Günter Grass perché a me ha fatto stare male.
Ti andrebbe di consigliare ai
nostri lettori tre film da vedere? E perché secondo te proprio questi?
Con i film ho qualche difficoltà! Ultimamente, causa due gemelle
piccole, abbiamo visto solo cose per loro. Tanti film per bambini/ragaazzi.
Non mi sento di consigliarne nessuno. Ti direi bugie…
Ci parli dei tuoi imminenti e
prossimi impegni culturali e professionali, dei tuoi lavori in corso di
realizzazione? A cosa stai lavorando in questo momento? In cosa sei impegnata
che puoi raccontarci?
Intanto il 21 sono
stata, con i miei gialli storici, al Salone Internazionale del libro a Torino. Ho
presentato il “IL CALZARE DELLA SPOSA” e ho partecipato ad un dibattito sul
noir.
Poi sarò impegnata con
diverse presentazioni sempre del libro appena pubblicato.
Approfittando del
fatto che i dialoghi del mio libro sono in cinquecentesco e che ,quindi si
prestano bene ad essere recitati, ho contattato alcuni attori della mia
compagnia teatrale, affinché vengano recitate alcune scene… con l’intenzione di
rendere il tutto un tantino più simpatico e accattivante.
Infine, ci sarebbe il terzo libro, se la salute me lo permetterà.
Dove potranno seguirti i nostri lettori?
Ai link segnalati in fondo alla pagina…o al mio canale YouTube:
https://youtube.com/channel/UCuqu9MnYs4NHNVcCS-cCmtA
Come vuoi concludere questa
chiacchierata e cosa vuoi dire a chi leggerà questa breve intervista?
Con un grande ringraziamento a te, per la pazienza e la fiducia che mi hai dimostrato… e un abbraccio enorme a tutti coloro che vorranno dedicarmi un po’ di tempo leggendo i miei due libri… grazie, grazie, GRAZIEEEE.
https://www.facebook.com/lida.coltelli
I
libri:
Lida Coltelli, “Il calzare della sposa. Una nuova indagine per il
commissario Ludovico Ariosto”, 2022
Lida Coltelli, “Et in bona gratia. Un’indagine per il commissario
Ludovico Ariosto” , 2021
Andrea Giostra
https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/