INTERVISTA di Andrea Giostra
«Trovo che il mio lavoro possa stare nella definizione di realismo informale ... La realtà con le sue linee, i suoi punti, i suoi incroci, i punti di rottura, gli spigoli, le macchie morbide, le sovrapposizioni e le trasparenze, guida il mio linguaggio nella stratificazione del colore, nel mettere e togliere pittura, nel costruire immagini e realtà nuove.» (Cetty Previtera)
Ciao
Cetty, benvenuta e grazie per avere accettato
il nostro invito.
Ai nostri lettori
che volessero conoscerti quale artista delle
arti visive, cosa racconteresti
di te?
Ciao, grazie a voi per l’interesse. Sono pittrice, lavoro ad olio su tela, una tecnica forse sempre meno presente nell’arte contemporanea, ma per me insostituibile. Vivo in Sicilia e sono siciliana, ho il mio studio alle pendici dell’Etna, territorio di forte ispirazione per me.
… chi è invece Cetty Donna della quotidianità? Cosa ci racconti
di te della tua vita al di là dell’arte
e del lavoro?
Nella mia quotidianità, tempo e spazio si incrociano tra lo studio, la casa e la famiglia, gli affetti, i gatti, le passeggiate nella natura, o anche nella preparazione di un dolce. Cinema e libri, un piccolo viaggio o una gita fuori porta appena possibile, che poi è sempre tutta una ricerca di spunti da riportare in studio. Tutto questo sempre, cambiando l’atmosfera a seconda se la vita va bene o un po’ meno.
Come è nata la tua passione
per l’arte e per le arti visive in particolare? Quale il tuo percorso professionale, esperienziale, accademico e artistico che hai seguito?
Da ragazzina ho sempre amato trascorrere il tempo libero con occupazioni più o meno artistiche e solitarie. Ho fatto studi istituzionali slegati dall’arte ma ho sempre trovato spazio per il disegno, il bricolage, o anche arti come l’uncinetto e il ricamo, ereditate da mamma e nonne. Oggi posso dire che era sempre come se nel momento artistico io dovessi realizzare o completare qualcosa, dare un senso alle ore. Da grande poi, avendo negli anni coltivato la curiosità per la pittura ad olio e trovandomi in una situazione di lavoro estremamente precaria sia sul piano economico che di soddisfazione professionale, ho deciso di seguire per più anni un corso libero di pittura in Accademia Abadir a Catania. Lì la pittura ha cominciato a farsi strada nella mia vita, divenendo riferimento principale del mio percorso.
Come definiresti il tuo linguaggio? C’è qualche artista
al quale t’ispiri?
Trovo che il mio lavoro possa stare nella definizione di realismo informale, come il titolo di una collettiva cui partecipai alle Quam di Scicli qualche anno fa, con la cura di Antonio Sarnari. La realtà con le sue linee, i suoi punti, i suoi incroci, i punti di rottura, gli spigoli, le macchie morbide, le sovrapposizioni e le trasparenze, guida il mio linguaggio nella stratificazione del colore, nel mettere e togliere pittura, nel costruire immagini e realtà nuove. Procedo dalla realtà verso l’astrazione, e questo processo si rivela sempre sorprendente. Procedo curiosa tra tentativi, casualità, errori e necessità. Amo molto la pittura della scuola americana, Pollock, Rotchko, ma anche Picasso, e Monet, Van Gogh e tutti i grandi classici che hanno portato la loro pittura sincera, e soprattutto che hanno fatto del colore il loro punto di forza e riconoscibilità. Dei giorni nostri amo la libertà di una Cecily Brown, l’eccellenza di un Gerard Richter, l’oscurità di Anselm Kiefer.
Chi sono stati i tuoi maestri
d’arte che ami ricordare? Se ci sono, parlaci di loro…
I miei primi Maestri sono Giuseppe Puglisi e Piero Zuccaro, grandissimi pittori legati al Gruppo di Scicli. Apparentemente realista il primo ed astratto il secondo, in realtà entrambi fondamentalmente curano la Pittura in quanto tale, conferendole struttura e forza alla base, e donandole il lirismo e la leggerezza che non accetta fronzoli ma pretende vette di sincerità inequivocabili. Ritrovo sempre grandezza sia nella loro pittura che nelle loro parole, e attraverso loro ho sempre avuto modo di ritrovare anche l’immensità di grandi Maestri quali Franco Sarnari e Piero Guccione.
Tu hai sviluppato una tecnica pittorica personale della quale troviamo spunto nella presentazione che fai nel tuo sito web ufficiale dove scrivi: «Il mio lavoro è la pittura. È una ricerca continua, incessante, difficile, storica. La ricerca del soggetto sovente mi confonde, ma è la pittura che, infine, accoglie qualsiasi cosa, se la lascio fare. Credo, dall’esperienza, che la pittura possa essere ricerca spirituale, e che trovi in noi un canale di passaggio per esistere. L’ascolto, l’assenso, il farsi veicolo, possono condurre alla creazione di una realtà nuova e indipendente che, meraviglia, prima non esisteva. (…) La pittura per me non è rappresentazione di qualcosa, ma è il percorso che porta alla nascita di una nuova entità». Ci racconti questo percorso, come sei arrivata a questa definizione artistica, e poi quali gli strumenti che utilizzi, i materiali, insomma, raccontaci di questo tuo modo di creare e di fare arte.
Ho imparato a dipingere dal disegno dal vero. Forse chi guarda oggi il mio lavoro ne rimane sorpreso, eppure è così ed ho imparato che è l’unico modo possibile. La realtà va osservata per quello che è, va riprodotta, e poi va infranta con le intuizioni e con le mani, va filtrata. Questo succede anche nella pittura realista. Senza un tronco, un ramo, un filo d’erba, non avrei struttura, oggi, per realizzare ciò che accade sulle mie tele. Questa nuova creazione nel mio studio avviene con tele e colori, con la lentezza dell’essiccazione della pittura ad olio che coincide con il mio tempo di metabolizzazione di nuove strutture.
Quali sono secondo te le qualità, i talenti, le abilità che deve possedere un artista per essere definito tale? Chi è “Artista” oggi secondo te?
Il talento è innato, ma va scoperto e curato, protetto, coltivato, oltre che riconosciuto dall’artista stesso. Per questa cura ci vuole la pazienza, l’entusiasmo, la capacità di adattamento, flessibilità, studio studio e sempre studio. Artista per me è chi vive sulla base di questa ricerca continua, senza sconti per sé stesso né per gli altri.
Tu vivi e lavori a Zafferana Etnea. Ci
racconti di questa scelta professionale e di vita che hai fatto rimanendo in Sicilia che di fatto è ai
margini delle grandi piazze internazionali dell’arte contemporanea? Hai mai pensato
di lasciare la Sicilia per sperimentarti in qualcuna delle grandi città d’arte contemporanea?
La scelta di vivere a Zafferana Etnea in realtà è legata alla mia vita privata, una semplice conseguenza delle mie radici. È ovvio che qui è tutto molto più difficile rispetto a ciò che forse potrebbe accadere se vivessi negli Stati Uniti o nel Nord Europa, paesi dove la professione di artista è maggiormente riconosciuta e dove le possibilità economiche consentirebbero di entrare in un mercato senza paragoni e di avere anche una migliore visibilità. Si, ci ho pensato più volte, ci penso spesso, mi piacerebbe stare un po’ fuori dall’isola. Quello che mi chiedo però è anche cosa accadrebbe alla mia pittura senza il territorio difficile e la luce colorata della Sicilia, perché in realtà quello che farei sarebbe portarmi via tutto, venire via con la Sicilia sarebbe un compromesso irrinunciabile e forse inevitabile.
Ci
racconti un episodio bello e che ti ha fatto piacere che hai vissuto nella tua
esperienza artistica e un episodio
che ti è molto dispiaciuto?
Ricordo sempre come fosse ieri la prima volta che venni coinvolta
ad esporre in una collettiva in una bellissima galleria.
Ero ancora lì che studiavo
e capivo poco della mia pittura, e questo atto di riconoscimento esterno mi scosse come in
realtà mi scuote ancora oggi. Oggi sono felice della mia pittura, nessun quadro lascia lo studio senza la
mia sensazione di completezza, ma ricordo sempre quella piccola insicurezza che mi spinge tutt’ora a guardare
bene, a valutare al meglio delle mie possibilità. Dico sempre che mi piacerebbe poter vedere un mio lavoro
per la prima volta così come accade agli altri, invece io ne conosco
il travaglio e ciò mi rende decisamente non obiettiva. Del resto non sta a me valutare,
credo. Non so cosa raccontare
di spiacevole, certo non è sempre tutto bello, è difficile la pittura, è
difficile, portarla fuori dallo
studio, è impossibile piacere a tutti, e tutte queste cose possono portare a momenti
e sensazioni spiacevoli, e di certo
ne ho avuti di periodi carichi di difficoltà. Ma non mi va di raccontare tutto
ciò come qualcosa che mi dispiace. Fa
parte del gioco, del sistema, la cosa importante è che tutto ciò non infranga
il lavoro in studio. Bisogna
sempre darsi la possibilità di guardare oltre.
Se per un momento dovessi pensare alle persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno aiutato significativamente nella tua vita artistica e umana, soprattutto nei momenti di difficoltà e di insicurezza che hai vissuto, che sono state determinanti per le tue scelte professionali e di vita portandoti a prendere quelle decisioni che ti hanno condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi sogni, a chi penseresti? Chi sono queste persone che ti senti di ringraziare pubblicamente in questa intervista, e perché proprio loro?
Mi pare di aver già parlato molto di alcuni di loro, i Maestri Giuseppe Puglisi e Piero Zuccaro per aver riconosciuto le mie possibilità di pittrice, Marco Goldin per le importanti opportunità espositive, Antonio Sarnari mio gallerista di riferimento con cui condivido un percorso di crescita professionale, Francesco Rovella per aver sempre creduto in me, e diversi amici di cui riconosco il valore artistico professionale con cui ho la possibilità di condividere quotidianamente il confronto pittorico o artistico di per sé, Stefania, Federico, Alessandro, Giulio, Santo, Marco, Maria, Alice...
«… mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto di
bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito quanto rispondeva Agostino alla
domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me
lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”» (Umberto
Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo
editoriale ed., 2021, pp. 5-6). Per te cos’è la bellezza? Prova a definire la
bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la bellezza secondo
te?
La bellezza è la verità, si riconosce nella sincerità, anche se infelice. Se una pittura è sincera è bella, altrimenti è solo ben truccata.
«C’è un interesse in ciò che è nascosto e ciò che il visibile non
ci mostra. Questo interesse può assumere le forme
di un sentimento decisamente intenso, una sorta di conflitto, direi, tra
visibile nascosto e visibile apparente.» (René Magritte, 1898-1967). Cosa ne pensi di questa frase detta da Magritte? Nelle
arti visive qual è, secondo te, il
messaggio più incisivo? Quello che è visibile e di immediata comprensione oppure quello che, pur non essendo
visibile, per associazione mentale e
per meccanismi psicologici proiettivi scatena
nell’osservatore emozioni imprevedibili e intense?
Mi viene in mente la necessità di distinguere tra una pittura svelata, eccessiva, sbandierata, ed una pittura velata, che cela verità buone da intuire, da pensare, della cui presenza si può essere comunque certi. Il mistero resta incisivo in quanto ti lascia in una eterna osservazione, e paradossalmente è conferma di qualcosa di certo, l’incertezza del tutto.
«Appartengo a quella categoria di persone che ritiene che ogni
azione debba essere portata a termine. Non
mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come
affrontarlo.» (Giovanni Falcone,
“Cose di cosa nostra”, VII ed., Rizzoli
libri spa, Milano,
2016, p. 25 | I edizione 1991).
Tu a quale categoria di persone appartieni, volendo rimanere nelle
parole di Giovanni Falcone? Sei una persona
che punta un obiettivo e cerca in tutti i modi di raggiungerlo con
determinazione e impegno, oppure pensi
che conti molto il fato e la fortuna per avere successo nella vita e nelle cose
che si fanno, al di là dei talenti
posseduti e dell’impegno e della disciplina che mettiamo in quello che facciamo?
Io ritengo che fato e fortuna abbiano un ruolo importante, e che
sono validi per tutti noi, ma che vanno sostenuti
dai nostri sogni e dai nostri obiettivi. Salire sui treni che passano,
rischiare, capire a cosa è necessario
rinunciare per il sogno, e disciplina sempre nello studio. Il fato e la fortuna
possono anche darci una spintarella, ma se poi non abbiamo
la sostanza dei nostri sogni,
tutto può svanire
in un attimo.
Dell'impegnativo esempio di Giovanni Falcone prendo umilmente la determinazione, uomo la cui sostanza è imparagonabile a me e ai più. Quello che dico spesso è che c’era da dipingere e ho iniziato a dipingere, senza se e senza ma, cogliendo con cautela le opportunità che sono arrivate e che mi hanno dato la possibilità di capire come procedere.
«Io vivo in una specie di fornace di affetti, amori, desideri,
invenzioni, creazioni, attività e sogni. Non
posso descrivere la mia vita in base ai fatti perché l’estasi non
risiede nei fatti, in quello che succede o in
quello che faccio, ma in ciò che viene suscitato in me e in ciò che
viene creato grazie a tutto questo… Quello
che voglio dire è che vivo una realtà al tempo stesso fisica e metafisica…» (Anaïs
Nin, “Fuoco” in “Diari
d’amore” terzo volume, 1986). Cosa pensi di queste parole della grandissima
scrittrice Anaïs Nin? E quanto
l’amore e i sentimenti così poderosi sono importanti per te e incidono nella
tua arte e nelle tue opere?
La percezione sia fisica che spirituale della vita, e la commistione delle due realtà, credo siano le condizioni che la rendono pienamente degna di essere vissuta. Non vi è altro modo di vivere la vita e il proprio lavoro e l’arte, che parteciparvi il proprio amore e i propri sentimenti, quelli buoni e quelli difficili.
Da ragazzo ho letto uno scritto di
Oscar Wilde nel quale diceva cos’era l’arte secondo lui. Disse che l’arte è
tale solo quando avviene l’incontro tra l’“oggetto”
e la “persona”. Se non c’è
quell’incontro, non esiste nemmeno
l’arte. Poi qualche anno fa, in una mostra a Palermo alla Galleria d’Arte
Moderna di Palazzo Riso, ho ascoltato
un’intervista di repertorio al grande Gino de Dominicis che sulle arti visive
disse questo: «Le arti visive, la pittura, la scultura, l’architettura, sono
linguaggi immobili, muti e materiali. Quindi
il rapporto degli altri linguaggi con questo è difficile perché sono linguaggi
molto diversi tra loro … L’arte
visiva è vivente … l’oggetto d’arte visiva. Per cui paradossalmente non avrebbe
bisogno neanche di essere visto.
Mentre gli altri linguaggi devono essere visti, o sentiti, o ascoltati per
esistere.» (Gino de Dominicis, intervista a Canale 5 del 1994-95). Cosa ne
pensi in proposito? L’arte esiste se esiste l’incontro tra l’oggetto e la persona,
come dice Oscar Wilde, oppure l’arte esiste indipendentemente dalla persona e dal suo incontro con l’oggetto, come
dice de Dominicis per le arti visive? Qual è la tua prospettiva sull’arte
in generale?
L'arte per me è dialogo con sé stessi ma è anche forma di comunicazione. L’opera nasce tramite il lavoro dell’artista e diventa presenza di per sé. È vero che l’opera non avrebbe bisogno di essere vista, ma non sopporterei di non mostrare il mio lavoro, né di non poter vedere il lavoro artistico di altri, sentirei una forte solitudine. Mi rendo conto che potrebbe apparire come una forma di debolezza, ma significherebbe dover rinunciare ad un dialogo essenziale, ai punti di vista, a cose che non so di altri ma anche di me stessa. L'opera di fronte ad ognuno diventa altro ed esiste in quanto opera nuova. Ognuno vedrà sé stesso e una storia nuova, davanti all’opera.
«Poi c’è l’equivoco tra creazione e creatività. L’artista è un
creatore. E non è un creativo. Ci sono persone
creative, simpaticissime anche, ma non è la stessa cosa. Comunque,
questa cosa qui dei creativi e degli artisti,
nasce nella fine egli anni Sessanta dove iniziano i galleristi ad essere
creativi, poi arrivano i critici creativi,
poi arrivano i direttori dei musei creativi… E quindi è una escalation che poi
crea questi equivoci delle Biennali di Venezia che vengono fatte come se fosse un’opera del direttore. Lui si sente artista e fa la sua mostra a tema, invitando gli
artisti a illustrare con le loro opere il suo tema, la sua problematica. Questo mi sembra pazzesco.» (Intervista
a Canale 5 del 1994-95). Tu cosa ne pensi in proposito? Secondo te qual è la differenza tra essere un “artista
creatore” – come dice de Dominicis - e un “artigiano replicante” che crede di essere un “artista”?
A me sta bene che galleristi curatori critici e direttori siano creativi, questo può rendere il gioco espositivo e comunicativo più stimolante, ma ad ognuno le proprie competenze. La necessità e il modo di creare dell’artista non deve essere inficiata dal bisogno di chi per creare crede di doversi affidare a terzi. La sua competenza è certamente valida e distinta dal lavoro compiuto in studio dall’artista. Ho sempre stimato il lavoro degli artisti artigiani, la loro cura, l’attenzione, la pazienza... del resto quando questo tipo di lavoro viene percepito come ripetitivo significa che l’autore ha necessità di creare qualcosa di unico e nuovo che oltrepassi il prodotto artigianale. Forse a quel punto non si può negare all’artista creatore questo appellativo così impegnativo. Ma è un appellativo che bisogna difendere e onorare nel tempo, e che i creativi hanno il dovere di rispettare per la sua unicità.
Gli
autori e i libri che secondo te andrebbero letti assolutamente quali sono?
Consiglia ai nostri lettori almeno tre libri e tre autori
da leggere nei prossimi
mesi dicendoci il motivo
della tua scelta.
Questa è una domanda che rischia di ricevere una risposta poco
obiettiva e squilibrata. Innanzitutto mi ritengo ancora in forte debito con le letture
importanti, e poi scegliere così pochi autori diventa imbarazzante. Posso dirti di alcuni testi
in cui ho trovato e continuo a trovare risposte forti. Into the wild di Henry David Thoreau, per l’esempio
intriso di poesia sulle possibilità diverse di vivere, tutta la saga dei Malaussene di Daniel Pennac,
anche qui per le possibilità estreme di essere, Donne che corrono coi lupi
di Clarissa Pinkola Estes, una
specie di vademecum per la conoscenza di sé femminile, Il Corpo di Galimberti, che rivaluta la fisicità per lungo tempo
sottomessa alla spiritualità, Le braci di Sandor Marai, l’ultimo
che ho letto, per la sua narrazione
lenta e concisa di sentimenti fermi e universali. Sono letture molto diverse
tra loro, sia come genere che come
spessore. Ritengo comunque che ogni autore possa dirci delle cose basiche per la vita, sia attraverso un racconto
che un saggio. Dei testi nominati mi rimane una sensazione di conferma
e scoperta del vero.
Inoltre, amo molto leggere gli scritti degli artisti, da Jackson Pollock a Mark Rotchko, da Vincent Van Gogh a Gerard Richter. Trovo tra le loro righe molte risposte e dubbi continui sul processo pittorico, sono fondamentali spunti di formazione.
Ti
andrebbe di consigliare ai nostri lettori tre film da vedere assolutamente? E
perché secondo te proprio questi?
Questa risposta mantiene più o meno le stesse difficoltà della precedente. Con premesse simili ti dico quanto amo The eternal sunshine of the spotless mind, Melancholia, Respiro, C’era una volta in America, Amore Perros, 21 grammi e Babel di Inarritu, il recente Le sorelle Macaluso di Emma Dante ... e i film sulle vite di alcuni artisti, in particolare Pollock con Ed Harris o il favoloso Frida con Salma Hayek. Ciò che amo di alcuni film è la possibilità di osservare, percepire, sentire come vero ciò che donne e uomini vivono in situazioni estreme sul piano emotivo e pratico.
Ci parli dei tuoi imminenti impegni
professionali, dei tuoi lavori e delle tue opere in corso di realizzazione? A cosa
stai lavorando in questo
momento? In cosa sei impegnata?
Negli ultimi mesi ho lavorato ad un importante progetto espositivo per una importante fiera d’arte qui in Italia, che si terrà a breve, in primavera. Le tele più recenti sono incentrate sul tema dei boschi, delle strutture e delle atmosfere che traggo da certe inquadrature dello sguardo. Lavorare a diverse opere contemporaneamente crea una forma di connessione molto forte tra i pezzi, quasi come se il tutto fosse una opera unica. Allora mi rendo conto di quanto sia importante, di tanto in tanto, concentrarmi sul pezzo singolo per non privarlo della sua unicità e autonomia.
Una
domanda difficile: perché i nostri lettori dovrebbero comprare le tue opere? Prova a incuriosirli perché vadano nei portali online o vengano a trovarti nel tuo atelier di Zafferana Etnea per comprarne alcune.
Io sono felice se chi desidera un mio lavoro nel proprio spazio lo vuole perché condivide il linguaggio che utilizzo, perché spontaneamente riesce a leggerlo o perché ne resta incuriosito. Anni fa una persona cambiò idea su un lavoro iperrealista a favore di un mio pezzo, dicendomi che ciò che lo solleticava era la possibilità di continuare, più o meno per sempre, ad immaginare e a chiedersi cosa accadesse dentro quella tela.
Dove potranno
seguirti i nostri lettori?
Sul mio piccolo sito www.cettyprevitera.it, o
sulle mie pagine social, fb cettyprevitera.artista e instagram cettyprevitera. Ho piacere anche di segnalare
il video a questo link:
Per concludere questa chiacchierata, cosa vuoi dire alle persone
che leggeranno questa intervista?
Vorrei invitare tutti noi a riprendere i tempi lenti,
la pace e l’eternità dell’arte.
Cetty Previtera
https://www.cettyprevitera.it/
https://www.facebook.com/cettyprevitera.artista/
Andrea Giostra
https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/