Proscenio, Letizia Russo a Fattitaliani: il miglior testo teatrale? la vita stessa. L'intervista

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Con Elisa Di Eusanio e Andrea Lolli, va in scena  dal 10 al 13 e dal 18 al 20 marzo presso Altrove Teatro Studio di Roma, lo spettacolo Neve di Carta, con la regia di Elisa di Eusanio e Daniele Muratore, liberamente ispirato al libro di Annacarla Valeriano Ammalò di testa - storie dal manicomio di Teramo, che raccoglie le vicende assurde e storie atroci, soprattutto di donne internate per futili motivi, irrequietezze o esuberanze caratteriali e lasciate impazzire in manicomio. L'autrice Letizia Russo è ospite della rubrica Proscenio: l'intervista di Fattitaliani.
In che cosa "Neve di carta" si contraddistingue rispetto ad altri suoi testi?

E' un testo in cui ho cercato di creare una struttura di racconto in cui il tempo e il suo scorrere, il passato e il presente si confondessero, spezzando l'idea del continuum e dell'illusione che l'esistenza sia una sequenza di accadimenti che tende al futuro. Gemma e Bernardino, i due protagonisti, viaggiano, in due modi molto diversi, nel passato, pensando di trovare il futuro. Ciò che trovano è il tempo sospeso delle cose non fatte, si incontrano solo dove il tempo non esiste più. 
Quale linea di continuità, invece, porta avanti (se c'è)? 
La ricerca di una lingua poetica e al tempo stesso teatrale è certamente una linea di continuità con altri miei testi. In questo caso, ho cercato una lingua non solo concreta, ma il più possibile vicina a un italiano arcaico e contadino. 
Che posto hanno occupato i miti nella sua formazione?
I miti hanno avuto e hanno un ruolo molto importante nel mio immaginario. I meccanismi umani che raccontano, i personaggi stessi che fanno vivere e agire nel mondo, sono preziosi. Perché traducono la complessità del reale senza giudizio.
Com'è avvenuto il suo primo approccio al teatro? Racconti...
E' avvenuto per caso, quando ero all'ultimo anno di liceo. Avevo letto da poco i Dialoghi con Leucò di Pavese e, per partecipare a un concorso dedicato alle scuole superiori di tutta Italia, scrissi un dialogo che in qualche modo cercava di ricreare il cortocircuito del libro di Pavese, accostando due figure dell'immaginario collettivo ma molto lontane tra loro. Da lì non ho più smesso. Non avevo mai scritto prima, neanche i diari dell'adolescenza. Ma ero una spettatrice: mia madre amava molto il teatro e quand'ero molto giovane mi portava con sé. Grazie a lei ad esempio ho visto Carmelo Bene sul palco, quando avevo neanche quindici anni. L'ho sognato per tre notti. 
Quando si scrive un testo nuovo può capitare che i volti dei personaggi prendano man mano la fisionomia di attrici e attori precisi?
Conoscere gli attori che interpreteranno i miei testi è fondamentale per me. Quando non è possibile, cerco comunque di avere accanto a me, nella fantasia, attori e attrici che conosco e che in qualche modo sono vicini ai personaggi che scrivo. E' uno strumento semplice ma per me molto importante, perché mi permette di non dimenticare che la parola, a teatro, è morta se non contempla già nella sua creazione il corpo dell'attore. 
È successo anche che un incontro casuale abbia messo in moto l'ispirazione e la scrittura?
Sì. A volte si tratta di un incontro reale, fortuito, a volte di un incontro di natura diversa, magari con dinamiche e relazioni quotidiane, che però improvvisamente assumono una luce nuova. 
Per un autore teatrale qual è il più grande timore quando la regia è firmata da un'altra persona, in questo caso altre due persone?
Che la regia lavori "contro" il testo, cioè che lo usi a uno scopo ad esempio estetico, come pretesto per esprimere una cosiddetta visione. O che fraintenda completamente il senso del testo, e le sue stratificazioni. Ma è un rischio che va percorso. Credo nel teatro come arte collettiva, in cui tutti creano, dal proprio punto di vista, un'unica storia.
D'accordo con la seguente affermazione: "L'atto d'amore che si compie in teatro fra scena e pubblico non sopporta contraccettivi" di Mario Scaccia?
Sì, sono d'accordo. Purché non si trasformi in una violenza, o in un sequestro di persona...
Il suo aforisma preferito sul teatro... o uno suo personale...
Non amo molto gli aforismi, perché mi sembrano sempre troppo definitivi. Ma sono d'accordo con Eduardo, quando diceva che per fare teatro la fantasia è più importante della tecnica. 
L'ultimo spettacolo visto a teatro ? 
Ho visto Le sedie di Ionesco, diretto da Valerio Binasco, con Federica Fracassi e Michele Di Mauro. Una grandissima prova d'attori. 
Degli attori del passato chi vorrebbe come protagonisti ideali di un suo spettacolo? 
Non ci ho mai pensato, e rischierei di essere frettolosa nella risposta. So che, al di là ovviamente dei miei testi, sarebbe bellissimo per me vedere dal vivo e conoscere Ettore Petrolini.
Il miglior testo teatrale in assoluto qual è per lei?
La vita stessa, con tutte le sue sgrammaticature, le sue tragedie, la sua gioia.
La migliore critica che vorrebbe ricevere? e la peggiore che non vorrebbe mai ricevere?
Non posso svelarle, per scaramanzia...
Dopo la visione dello spettacolo, che cosa Le piacerebbe che il pubblico portasse con sé a casa?
Vorrei che portasse a casa la sensazione di aver visto degli esseri umani, nella loro complessità.
C'è un passaggio, una scena che potrebbe sintetizzare in sé l'essenza e il significato di "Neve di carta"? 
L'essenza di Neve di Carta, ma non il significato nel senso stretto del termine, per me è nei dettagli. Nelle piccole cose, nei personaggi, che attraverso gli occhi di Gemma e Bernardino compongono un piccolo mondo, e lo restituiscono alla memoria strappandolo al buio della storia. Giovanni Zambito.
LO SPETTACOLO

Neve di Carta è una struggente ballata scritta in versi da Letizia Russo tra due contadini abruzzesi del ‘900 che evoca il mito di Orfeo ed Euridice: Gemma e Bernardino si amano e si sposano.  Gemma, però, è sterile e una ragazza troppo esuberante e vitale per la madre di Bernardino che convince questo suo figlio troppo debole e insicuro a rinchiuderla in manicomio. Gemma trascorrerà dieci anni nelle mura manicomiali a scrivere lettere al suo amato che non arriva mai.  Un giorno, però, Bernardino deciderà di intraprendere un viaggio nell'aspro Abruzzo per andare a riprendere la sua amata. Neve di Carta è una storia poetica e drammatica che fa luce su un sistema sociale fondato sull'esclusione e la paura del diverso.

 

Dal 10 marzo sarà possibile accedere alla mostra I fiori del male, a cura di Annacarla Valeriano Costantino Di Sante: i materiali documentari al centro del percorso espositivo attingono in larga parte all’archivio storico del manicomio Sant’Antonio Abate di Teramo. Sono figlie, madri, mogli, spose, amanti; sono donne vissute durante gli anni del regime fascista. Ai volti delle ricoverate sono affiancati diari, lettere, relazioni mediche che raccontano la femminilità a partire dalla descrizione di corpi inceppati e restituiscono l’insieme di pregiudizi che hanno alimentato storicamente la devianza femminile.

 

Sia io sia Annacarla siamo abruzzesi, teramane per l’esattezza, e proprio a Teramo c'è stato uno dei manicomi più grandi e attivi dell'Italia meridionale custode di storie le più assurde e atroci. Attraverso un meticoloso percorso di ricerca Annacarla ha rilevato centinaia di lettere scritte a mano dagli internati, più materiale storico e fotografico. L'aspetto che più mi ha colpito è quello relativo alle donne che venivano internate a cavallo delle due guerre mondiali per futili motivi o irrequietezze ed esuberanze caratteriali e venivano abbandonate e lasciate impazzire o morire in manicomio.

 

Da teramana questa storia mi ha profondamente toccata e ho voluto trasformarla in atto teatrale cercando di allontanarmi dallo stereotipo degli spettacoli sul manicomio. Ho affidato quindi la drammaturgia inedita a Letizia Russo, a mio avviso una delle drammaturghe più sensibili e interessanti del nostro panorama teatrale e le musiche al musicista dj teramano Stefano De Angelis che ha sapientemente fuso sonorità elettroniche a sapori popolari.

 

Note di regia di Elisa Di Eusanio (co-regista con Daniele Muratore)

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