Proscenio, Lorenzo Collalti a Fattitaliani: un testo prende le sembianze di chi lo interpreta. L'intervista

Con l'interpretazione di Grazia Capraro e Daniele Paoloni, torna in scena dal 2 al 7 novembre al Teatro Le Maschere di Roma, nell’ambito della Rassegna Nuova Drammaturgia - Incontri, BOLLE DI SAPONE, poetico spettacolo del giovane regista e autore Lorenzo Collalti, intervistato da Fattitaliani per la rubrica Proscenio.

"Bolle di sapone" in che cosa si contraddistingue rispetto ad altri suoi testi?
Rispetto agli altri testi io credo che con questo, la compagnia abbia trovato il coraggio di esporsi del tutto. Mentre nei testi precedenti c’erano sempre dei riferimenti, delle riscritture, delle citazioni, questo testo è nostro al cento per cento, senza il supporto di altri autori. Lo spettacolo prende come pretesto una trama semplicissima per presentare due personaggi apparentemente fuori dal comune. Apparentemente, sì perché poco alla volta, ci si rende conto che le loro manie ci appartengono, magari non tutte, ma alcune sicuramente. Pian piano lo spettatore viene portato all’interno della solitudine e dell’alienazione dei protagonisti che diventa il riflesso di una società sempre più efficiente e sempre meno umana; dove manie e nevrosi si contendono un bilancio esistenziale “claustrofobicamente" ironico. 
Quale linea di continuità, invece, porta avanti?
Bolle di sapone è anche un punto di arrivo del lavoro della nostra compagnia. Per lavoro non intendo i contenuti ma il processo che porta alla realizzazione di questi. In questo testo la drammaturgia, la recitazione e la regia credo abbiano trovato uno specifico equilibrio, frutto del lavoro portato avanti in questi anni. Con Bolle di sapone abbiamo ottenuto una nostra maturità. Più che un vero e proprio esperimento, io personalmente credo che questo nel nostro piccolo sia il raggiungimento di un linguaggio personale, un nostro modo di fare teatro.
Quando scrive un testo nuovo può capitare che i volti dei personaggi prendano man mano la fisionomia di attrici e attori precisi?
Nella scrittura spesso è importante immaginare degli attori, altrimenti rimangono dei personaggi astratti che fanno fatica a prendere vita. Quindi ho sempre dei riferimenti di base, ma poi durante le prove, quando dalla pagina si passa alla messinscena, tutto viene sempre rimesso in discussione. Credo che un testo debba sempre trasformarsi e prendere le sembianze di chi lo interpreta, non il contrario.  Quando lavoro penso sempre che sia il personaggio ad entrare nella carne di un attore e non un attore ad annichilirsi diventando un concetto su pagina. È difficile da spiegare perché è un qualcosa di molto pratico e non so se so spiegarlo meglio di così.
Per un autore teatrale qual è il più grande timore quando la regia è firmata da un'altra persona?
Non lo so, è una sensazione che non ho mai provato. Immagino che non sia proprio la paura, piuttosto è il dolore di realizzare un’opera imperfetta. Tutto può nascere da te ma poi non sarai tu a concludere. Il compimento della tua opera spetterà ad un altro. Un po’ come organizzare una festa e poi non andarci. Devi avere il coraggio di fare un passo indietro proprio sul più bello. E’ molto faticoso, ci vuole un grande carisma. Io non ce l’ho.
Quanto condivide questo aforisma "Il buon insegnamento è per un quarto preparazione e tre quarti teatro" di Galileo?
Non lo condivido, o meglio non credo che mi riguardi direttamente. Non ho nulla da insegnare. Ho semmai qualcosa da raccontare; ma di questo qualcosa non so spiegare praticamente niente. Per cui posso dire che sono per quattro quarti teatro.
Il suo aforisma preferito sul teatro... o uno suo personale...
Gabriele Linari, il mio primo insegnante mi diceva “Il teatro è l’unica forma d’arte che risente drammaticamente delle leggi di natura. Nasce, cresce e poi con la sua ultima replica muore”. 
L'ultimo spettacolo visto a teatro?
PENG, al Teatro Vascello regia di Giacomo Bisordi e l’ho trovato un gioiello, sotto molti punti di vista. Affronta una tematica che da tempo volevo affrontare ma non avevo idea di come fare. Giacomo ci è riuscito sorprendendomi di continuo con trovate sempre più coraggiose, centrate e pensate. Raramente esco così spiazzato, confuso e soddisfatto da teatro. Ho infranto la mia regola di non parlare mai dei colleghi, né in positivo, né in negativo ma ogni tanto un’eccezione per il merito va fatta. PENG è uno di questi casi.
Degli attori del passato chi vorrebbe come protagonisti ideali di un suo spettacolo? 
In linea con le parole di Linari che ho citato prima, io credo che il teatro sia presente. Credo sia qui ed ora. Anche portando in scena Eschilo, deve parlare di oggi, di questo momento. Altrimenti se ne può fare una lezione all’università, non serve uno spettacolo. E per parlare di questo momento e non di un altro, io, portandogli il massimo rispetto, non ho bisogno di attori del passato.
Il miglior testo teatrale in assoluto qual è per lei?
Non esiste. Il teatro ha parlato di qualsiasi argomento per secoli, in maniera sempre diversa, relativamente alla sua epoca. Chi sa rispondere a questa domanda penso abbia letto solo quel testo che premia; o ne abbia letti anche altri ma con poca attenzione.
La migliore critica che vorrebbe ricevere?
"Ho pianto, ho riso, ho mille pensieri e non ci sto capendo niente ma va bene, è una sensazione bellissima”.
La peggiore critica che non vorrebbe mai ricevere?
“Qual è il significato di questo spettacolo?".
Dopo la visione dello spettacolo, che cosa Le piacerebbe che il pubblico portasse con sé a casa?
Vorrei che il pubblico tornasse a casa con una piacevole confusione, attraversato da emozioni e pensieri in forte contraddizione tra loro. Un po’ come quando giochi a calcetto o qualcos’altro e pensi di non essere allenato, di non poterlo fare. Poi giochi, ti affatichi ma esulti, ti fai anche male magari. Alla fine tutto sommato pensi di aver sbagliato, era meglio starsene a casa e non fare niente. Però nonostante tutto stai bene perché hai retto, sei stanco ma c’eri anche tu, hai giocato; nonostante tutto hai giocato. Giovanni Zambito.


LO SPETTACOLO

Un racconto che con sensibilità si insinua nella profondità dell’animo alienato della società contemporanea. I protagonisti sono due personaggi timidi, ossessivamente timidi, che vivono le loro vite in maniera surreale, intrappolati in una visione fantasiosa del quotidiano. Quando uno scherzo del destino li mette in contatto, sono costretti a rivoluzionare la loro vita per ospitare l'altro, volenti o nolenti. L'incontro di queste due piccole solitudini in una periferia metropolitana è il cuore del racconto, di una storia semplice e comune.

Lorenzo Collati, dopo Nightmare N.7, Un Racconto d’inverno e Reparto Amleto, da vita, con Khora Teatro e la sua compagnia “L’Uomo di Fumo”, ad uno spettacolo che rivela una particolare attenzione alle parole e alla scrittura di un testo che va a ricreare sulla scena un affresco emotivo.

“Se vivi in un paese di quattromila abitanti conosci tutti, se abiti in una città di tre milioni di persone non conosci nessuno.”- annota Collalti. “È una riflessione paradossale ma descrive chiaramente la difficoltà di incontrarsi in una grande metropoli. La periferia è l'emblema di questa realtà, con centinaia di famiglie che vivono in pochi metri quadrati, a volte nello stesso palazzo, senza conoscersi affatto.

Migliaia di paure, gioie, angosce, emozioni diverse tra loro non si toccano per la parete divisoria di un appartamento; pochi centimetri di mattoni e cemento. Questa storia prende due di quegli universi per provare a metterli in contatto, mostrando tutte le loro fragilità.”

Fattitaliani

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