Bruno Brundisini e il 2° libro "Il Vestito nuovo di Helene": una riflessione a 360 gradi sul male. L'intervista

Fattitaliani

Bruno Brundisini ha pubblicato "Il vestito nuovo di Helene" con Pav Edizioni nella collana Storie di vita. Il thriller, ambientato a Roma nel 1962, viene narrato in prima persona da Marta. L'autore ne parla a Fattitaliani. L'intervista.

Che cosa si devono aspettare o possono ritrovare i tuoi affezionati lettori in questo nuovo libro?
Nel mio precedente romanzo Il Chiodo nel Pupazzo tratto la tematica del male solo in alcune sue espressioni quali la presenza nelle istituzioni, anche in quelle a più alta valenza morale, quali la Chiesa e la Legge. In questo secondo libro, Il Vestito nuovo di Helene vi è una riflessione a 360 gradi sul male, in tutte le sue forme, a partire dall’Olocausto che ne ha rappresentato il più spinto e perverso modello di organizzazione, cementato in un struttura pseudoculturale. Poi il male per così dire individuale, quale l’omicidio, le accuse a chi non può difendersi. Il male come violenza contro la donna, sia nella sua espressione fisica (lo stupro), sia nella sua estrinsecazione psicologica (il ricatto, l’amore malato). Infine, il male sociale insito nei meccanismi perversi o arrugginiti di alcune istituzioni, nelle collusioni col potere, nella corruzione, nel pregiudizio. I miei romanzi partono da denunce di situazioni reali, trasfigurate in opera di fantasia che trasmettono emozioni e la suspense del thriller. Il romanzo, ambientato a Roma nel 1962, viene narrato in prima persona da Marta, la madre di Elisa, una ragazza con problemi psichiatrici, accusata ingiustamente dell’omicidio di una suora. La ragazza, con un provvedimento poco chiaro delle istituzioni, era stata sottratta alla madre e rinchiusa in un istituto di suore, ove poi è avvenuto il delitto. Personaggio chiave e dal forte impatto emotivo è Sonia, una polacca di origine ebraica che vive in una vecchia roulotte ai confini di una discarica. La donna, sopravvissuta al campo di sterminio di Birkenau, è convinta di vedere in Elisa la reincarnazione della sorella Helene, morta in quel lager nel 1943, che da allora chiede vendetta. Questa sua convinzione agirà in modo determinante sulla psicologia di Elisa e le permetterà di ritrovare se stessa e difendersi dalle accuse ingiuste. Altro personaggio chiave è Gerard Fischer, psichiatra austriaco, che vive da anni in Italia. Il romanzo, ricco di colpi di scena in una trama fortemente concatenata, ha un finale del tutto imprevedibile.

Rispetto all’intento e alla trama d’inizio, hai cambiato qualche elemento, scena, personaggio lungo la fase di scrittura?

Dovendo scrivere un thriller mi sono attenuto a una trama ben strutturata e ad una costruzione coerente del personaggio. Penso che solo in questo modo si rendono credibili i colpi di scena e le agnizioni. Cionondimeno, nel corso della stesura è avvenuta una rielaborazione e
arricchimento di alcune scene, poiché lo scrivere alimenta la fantasia e quest’ultima lo scrivere. Oggi uno scrittore che usi il computer ha un forte dinamismo narrativo, per cui non si può parlare di stesure in senso proprio. Penso, invece, ai romanzi dell’800, al lavoro manuale di scrittura e riscrittura che gli autori del passato dovevano effettuare, intingendo ogni volta il pennino nell’inchiostro. E poi cancellare e riscrivere. Una vera fatica e una grande genialità. Chi scrive oggi è molto facilitato. Col computer correggi continuamente, aggiungi e togli facilmente parole e frasi mentre scrivi. In pratica hai sempre davanti la bella copia. E poi, quando hai qualche dubbio, con i motori di ricerca vai facilmente in internet a verificare il significato di quella parola che magari usi sempre nella lingua parlata, ma vuoi inserire in maniera appropriata nel testo. Allo stesso modo verifichi la grafia corretta di termini stranieri, entrati ormai nell’uso della lingua italiana. Internet, inoltre, ti permette di documentarti in un attimo su qualsiasi riferimento storico o di costume o geografico che vuoi inserire nel testo. E ogni scrittore sa quanto sia importante documentarsi. sostituire una parola con un’altra.
Alla fine ho cercato di diventare io il lettore di me stesso, di spostarmi dall’altra parte del computer. Ho sempre avuto molto rispetto per il lettore, stabilendo con lui una complicità narrativa, in un rapporto paritario.

Personalmente che effetto fa su di te concepire e scrivere una nuova storia?
Nel concepire una storia, nel pensare la trama e i personaggi, provo una grandissima emozione, indescrivibile. Direi che  la maggior parte di un romanzo lo “scrivo” nella mente, lo arricchisco, lo intuisco nel pensiero, nella vita quotidiana. Nel corso della scrittura vedo nascere i personaggi, è come vedere nascere una nuova vita,prima a livello embrionale, potenziale, poi come vero e proprio essere dotato di una propria identità ed autonomia. Mi innamoro dei personaggi, di tutti a prescindere dai valori che ad essi conferisco, perché li sento vivere, appropriarsi del loro esserci.

Invece leggere i libri degli altri autori che cosa ti fa trovare?
Dipende dagli autori. 
Amo molto la letteratura russa del secolo scorso perché introspettiva. C’è la grande problematica del male, c’è l’angoscia morale come in Dostoevskij, c’è la ricerca di Dio, il tormento, i sentimenti forti. A prescindere da ciò, leggo comunque con interesse anche libri che non mi appassionano, perché cerco di imparare qualcosa da tutti gli autori.


C’è una scena, un momento del libro che ne può rappresentare appieno il significato?

Sono molteplici i passi significativi. Ma forse la scena che più coinvolge emotivamente e si8ntetizza il romanzo è quella riportata nel capitolo 26, la morte  di Sonia. Non credo di fare spoiler se la riporto. “La signora con la tuta verde esce dalla porta a vetri e ha una busta di velluto come quelle che usano i gioiellieri per avvolgere gli oggetti preziosi. La riconosco, è la busta che aveva con sé Sonia per conservare la treccia. La signora ci guarda e si dirige senza esitare verso di noi.

«L’aveva con sé. Mi ha detto di consegnarla alla sua sorellina. È per te!» Dice porgendola al Elisa.

Lei si mostra impaurita ed esita a prendere quel sacchetto.

«È tornata nell’abitacolo apposta per prenderla perché te l’aveva promesso» insiste, con tono invitevole la signora in verde.

«Per questo si è intossicata?» Chiedo con la voce rotta.

«Per questo è morta.»

Elisa afferra la busta e la stringe forte. Lei le poggia una mano sulla spalla in segno di consolazione.

«Sono i miei capelli!» Esclama con orgoglio.

«Non sono capelli» sussurra la signora con la voce leggera di una fata «non sono capelli» ripete scuotendo la testa «sono l’amore!»

«Sìììì.» Elisa le butta le braccia al collo e piange.

«Povera Sonia, povera amica mia! Hai superato indenne l’inferno di Auschwitz, hai domato le tigri e i cani ringhiosi, per poi venire a morire in un piccolo stupido incendio, per un assurdo gesto d’amore» commento io.

Giovanni Zambito.

Fattitaliani

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