LA RISCOPERTA DI MARIO TOBINO, IL FIGLIO DEL FARMACISTA, AD OPERA DELLA VALLECCHI

di Lucia Russo - Tornato in libreria dopo quasi ottant’anni il libro dell’esordio narrativo di Mario Tobino (1910-1991), poeta, scrittore e psichiatra, premio Strega con Il clandestino nel 1962 e premio Campiello nel 1938 con Per le antiche scaleNella nuova veste grafica che la prestigiosa casa editrice Vallecchi Firenze ha dato al testo già pubblicato nel 1963, Il figlio del farmacista si pregia altresì dell’introduzione del critico e storico della letteratura Giulio Ferroni.  

Un romanzo di formazione sulla duplice vocazione che l’autore seguì tutta la vita: medicina e scrittura. È il romanzo in cui Mario Tobino ha narrato la sua vita da giovane che aiuta il padre nella farmacia di Viareggio mentre studia Medicina all’Università di Bologna, e che poi sarà per tanti anni direttore di un ospedale psichiatrico dalla cui stanze scriverà le opere successive.  Opere tutte dalla forte connotazione psicologica e sociale. 

Un romanzo breve (98 p.) d’impronta fortemente autobiografica. L’autore ripercorre ricordi d’infanzia e dell’adolescenza, l’amore struggente per la poesia («È la poesia un male peggiore del cancro, peggio della tisi, che almeno di queste malattie si muore, mentre invece della poesia si soffre soltanto») fino alla scelta dell’ospedale psichiatrico come luogo di partecipe dedizione alle sofferenze dei malati di mente.

Narrato in prima persona da un soggetto indeterminato, veniamo a leggere di fatti, incontri, riflessioni e passioni del figlio del farmacista, protagonista del romanzo che la voce narrante talmente bene conosce, interpella e descrive, da farci quasi sovrapporre alle ultime pagine soggetto e oggetto della storia. E se la voce narrante è sempre pregna di spirito poetico, pronta a vedere bellezza e luminosità attorno a sé, non sempre lo è quella del figlio del farmacista, come ogni giovane, combattuto tra stati d’animo contrapposti.

Libera e moderna l’architettura della trama, specie per gli anni in cui fu scritto, dal 1938 al 1940, con la prima uscita del volume nel 1942. Dodici capitoli leggibili anche come racconti a sé, dalla presentazione del protagonista ventiduenne in farmacia alla sua scelta di lavorare in manicomio intorno ai trent’anni, senza la traccia di una concatenazione dinamica di fatti scatenanti eccetto per quell’agognata poesia che in un luogo isolato e ameno qual è il nosocomio non potrà che raggiungere il figlio del farmacista, che l’invoca.

In ogni parte del romanzo l’amore per la vita e per la poesia trova voce in una prosa lirica. La poesia è qui strumento della scrittura di Tobino, ma è anche tema, aspirazione, atmosfera del romanzo senza appesantire la prosa o rallentare il ritmo della narrazione, al contrario veloce e fluido, forse ancora di più in quest’ultima versione della casa editrice Vallecchi, per la scelta grafica di segnare dialoghi e pensieri secondo le norme redazionali più moderne.

L’amore del figlio del farmacista è diretto anche alla vita in toto e all’Italia di cui decanta la varietà dei suoi tanti bei luoghi, primi tra tutti quelli della Toscana, regione rievocata in più scorci (oltre alla sua amata e natìa Viareggio) come nell’uso di alcuni termini. Per le tante località italiane citate c’è quasi un richiamo a godersele in un anelito di libertà di certo molto sentito da Mario Tobino, lui che fu attivo anche nella Resistenza contro il nazifascismo.


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