Ciao Paolo
Massimo, benvenuto e grazie per aver accettato il nostro invito. Ci parli del
tuo nuovo romanzo, “Un cespuglio di spine”? Come
nasce, qual è il messaggio che vuoi che arrivi al lettore, quale la storia che
ci racconti senza ovviamente fare spoiler?
Il romanzo nasce come sfida letteraria. Sono sempre
stato appassionato di storie poliziesche, non di tutte, ma soprattutto,
confesso, del Maigret di Simenon (evidentemente inarrivabile nella costruzione
di atmosfere e della voglia umana di capire prima che di risolvere) e del Nero
Wolfe di Rex Stout (quasi maniacale nella razionalizzazione dell’indagine). Per
non parlare del Marlowe di Raymond Chandler, tanto affascinante nel suscitare
il piacere della lettura, quanto inimitabile per essere sfacciatamente californiano.
Sull’onda di queste suggestioni letterarie, nel
romanzo Un cespuglio di spine sono stato preso - e il novello
investigatore avvocato Lucci lo è stato con me - dal desiderio di inventare e
poi risolvere un mistero: il presumibile omicidio dell’avvocato Gabriele Vardi.
Vardi viene trovato morto nella saletta avvocati del
TAR di Perugia. Chi l’ha ucciso? E come? Preso atto che, almeno apparentemente,
sul corpo non vi sono tracce di violenza e che tante considerazioni mediche
fanno escludere la morte naturale?
Come in ogni giallo che si rispetti, chi investiga si
avvale di una spalla, una figura che da sempre è risultata essenziale nelle
pieghe narrative dei meccanismi d’indagine: basta pensare al mitico Watson o
all’ineffabile Goodwin o al sempre disponibile Lucas. Spalle sì letterarie, ma
anche inevitabilmente realistiche nello sviluppo delle storie. Una spalla, nel
mio romanzo che, nel progredire della storia, ironicamente e lucidamente
diventa ispiratrice ma anche vittima della determinata motivazione alla verità
dell’esplorante e solo a volte dubbioso avvocato Lucci.
Qual è il messaggio? Nella scrittura di un romanzo
giallo (o polar o noir che dir si voglia) non finisce mai, malgrado il déja
vu, la possibilità di affascinare o, almeno, incuriosire il lettore. Che ci
si possa riuscire, poi, è un’altra storia. Dipende dalla capacità di chi scrive
di portare alla luce quella sorta di continuo
negoziato a distanza, per cui la definizione di ciò che è poliziesco o non lo è,
si può modificare nel corso della scrittura.
Sempre pagando un pedaggio: in un romanzo “giallo” la ricerca di una verità oggettiva confliggerà sempre con la falsificazione letteraria della stessa.
Questa
volta hai scritto un romanzo giallo. Come mai hai deciso di lavorare a questo
progetto che si discosta dai tuoi precedenti romanzi?
Era giunto il momento di disattendere l’ormai
stagionato neo della narrazione introspettiva del protagonista che, quasi atto
liberatorio, poteva finalmente svestirsi di una maschera: quella di esprimere
il pensiero dello scrittore, del quale, troppo spesso, aveva finito per
rappresentare un datato alter ego. In altri termini dovevo superare l’ambigua
aporia tra extradiegesi e intradiegesi stilistica e narrativa. Risultato: una
scelta di extradiegesi onnisciente e totalizzante, solo tesa al meccanismo
della soluzione del mistero.
Certo, il protagonista-investigatore avvocato
Alessandro Lucci rappresenta, piò o meno esplicitamente – né poteva essere
diversamente -, una proiezione del mio Io scrittore, nel momento stesso
che dichiaro sfacciatamente il ludico desiderio di calarmi in una vita
sconosciuta. In questo realizzando letterariamente il sogno Faulkneriano di
ogni romanziere: poter essere anche altro da sé.
Una modalità di cui si può ritrovare il filo
conduttore anche negli altri miei romanzi, ma che qui viene scarnificata e
semplificata grazie alla scelta necessaria di focalizzare lo scritto
principalmente sull’aspetto investigativo e molto poco su quello della
descrizione caratteriale.
I personaggi di altri miei romanzi (Jacob Rohault,
Glauco Brà, Eulogio Roè per citarne solo alcuni) sono esseri umani sino
all’esasperazione nel loro confidare nel cogito cartesiano, Alessandro Lucci
non ne ha bisogno: vive nella certezza se non del risultato, sicuramente in
quella dell’impegno.
«Sotto la chiave
che potremmo dire di “coscienza”, ce n'è un'altra, a spiegare il successo e la
diffusione del “Giallo”; una chiave freudiana: il giuoco dei divieti, delle
infrazioni di essi; della profanazione e della ricostituzione dei tabù; delle
ambivalenze, insomma: per cui il lettore di “Gialli” si trova a parteggiare, in
egual misura, per il colpevole non ancora individuato o per l'investigatore che
accanitamente lo persegue; sicché la soluzione di quel cruciverba narrativo che
è il romanzo poliziesco coincide nel lettore con l'insoddisfazione, sempre.» (Leonardo Sciascia, Le chiavi del “Giallo”,
in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 14 aprile 1962, p. 3). Sono parola di
Leonardo Sciascia che fu un grandissimo lettore di Gialli e di romanzi
polizieschi. Tu cosa ne pensi delle parole di Sciascia. Nella prospettiva del
tuo romanzo, cosa lo accomuna all’analisi del grande scrittor siciliano?
Credo che Sciascia abbia ben spiegato i rimandi, come
anche le motivazioni psicologiche del successo del “Giallo” ma, almeno per quel
che riguarda il mio modo di affrontare questa scrittura, la sua è una visione
romantica tesa a permettere la gratificazione del lettore.
Nel cespuglio di spine, si evidenzia la congruenza con
una moderna visione pessimistica della realtà poliziesca: il colpevole non
ammette il proprio pentimento, forse spera solo nelle attenuanti generiche,
conservando il diritto di non rispondere. Allora, Alessandro Lucci, e io con
lui, non riconosciamo i valori umani, per quanto modesti, dei presunti colpevoli.
Essi restano cinicamente legati a un “se tanto mi dà tanto” in fondo solo
consumistico. In altri termini non riusciremo mai a parteggiare per loro.
Una modalità in linea con le distopie brutali che
caratterizzano la nostra società.
Sono “colpevoli” diseducativamente moderni, che non hanno
coscienza del dettato kantiano che spinge a considerare l’umanità sempre come
fine e mai come mezzo: nel Cespuglio di spine, per chi uccide l’assassinio è un
mezzo per raggiungere un risultato al di là della morale. Un modo che rende
impossibile per chi investiga mostrare una qualche solidarietà e comprensione
per il colpevole. Al più, riesce a provare pena o compassione, oltre che a credere
in una giustizia giusta.
Tutto questo rende l’avvocato Lucci un puro di spirito
e i colpevoli solo meritevoli al più di un purgatorio dantesco. In fondo la
filosofia della fratellanza è morta: amaramente, e in attesa di un recupero di umanità,
il mondo si mostra manicheo. Unica salvezza al cinismo imperante è
l’atteggiamento ragionevole dell’avvocato Lucci, che non assomiglia al Maigret
di Simenon, piuttosto al Marlowe del Grande sonno: un hard boiled da sconfitta dell’uomo.
«Il giallo consiste nell’uso di mezzi di terrore e di pietà senza precauzione. E quella che Alain – filosofo francese il cui vero nome era Émile-Auguste Chartier (1868-1951) vissuto nella prima metà del Novecento - chiama precauzione sarebbe per l’appunto la disciplina, la misura, la forza dell’arte. Sicché, in definitiva, il più grande romanzo poliziesco che sia mai stato scritto resta I fratelli Karamazov di Dostoevskij.» (Leonardo Sciascia, Una storia del “Giallo”, in “Lavoro”, X, 20, 19 maggio 1957, p. 14, nella rubrica “Sottobosco letterario”). Cos’è il Giallo per te leggendo queste parole di Sciascia?
Non si può che
essere d’accordo con Leonardo Sciascia nel ritenere che il più grande romanzo
poliziesco mai scritto sia I fratelli Karamazov. Romanzo complesso che racconta di un dramma morale
familiare, in cui non tutti i figli beneficiano della stessa attenzione dei genitori,
in cui si viene abbandonati da piccoli e si è costretti a un’amara esistenza: l’eterna
lotta tra il dubbio e la ragione, e quindi tra il bene e il male.
Evidentemente
sarebbe uno stupido atto di presunzione paragonare il mio cespuglio di spine a I
Fratelli Karamazov. Sarebbe la storia di una tragedia epocale
dell’esistenza contro la banalità quotidiana di un’inchiesta giudiziaria. Posso
dire solo che da parte mia non c’è stata “remora” nella scelta di mostrare
l’intrigo poliziesco senza ricorrere al terrore. Troppo diversi sono i nostri
tempi e il nostro ambiente rispetto a quelli della Russia di fine Ottocento.
Nel cespuglio di spine, per mascherare il delitto ci sono solo la menzogna e la
finzione, che sanno di intrigo delittuoso e non di paura: l’avvocato Lucci
aggiunge umanità, rigore e disciplina nell’atteggiamento indagatore.
Dunque per me
cos’è il giallo oggi? Sinteticamente, la descrizione di un crimine, nell'indagare
il quale è essenziale, prima di usare il fiuto, individuare razionalmente i
fatti o, almeno, i due o tre fatti certi: quelli utili per formulare delle
ipotesi. Dopo, non resta che andare avanti per piccoli passi, recuperando
mestiere, esperienza e un minimo di immaginazione. Quello che molti chiamano
fiuto spesso è solo il caso.
Chi sono i destinatari che hai
immaginato mentre lo scrivevi?
Onestamente, i lettori armati di curiosità e pazienza.
Una domanda difficile Paolo Massimo: perché i nostri lettori dovrebbero
comprare “Un cespuglio di spine”? Prova a incuriosirli perché vadano in
libreria o nei portali online per acquistarlo.
Credo che il primo impatto sul probabile acquirente sia
determinato dalla copertina. Ritengo che costituisca un elemento che può far
presa. Passo successivo è la lettura della quarta di copertina: “Seduto in
modo scomposto su una sedia accostata al tavolo della saletta avvocati del
Tribunale Amministrativo di Perugia, l’avvocato Vardi era evidentemente morto,
probabilmente per omicidio.”
Nella congerie delle tante ipotesi adombrate e proposte, che ruolo
gioca nel delitto la cioccolata, emblema di una città che da essa ha ricavato
fama e ricchezza?
L’Avvocato Alessandro Lucci desidera saperne di più e inizierà dunque a gettare luce sulle ombre del caso. Incontrerà personaggi delle forze dell’ordine spesso restii a fornire una collaborazione fattiva; gli arriveranno lettere anonime di minaccia; conoscerà Elisa Vardi, sorella del defunto, donna elegante, raffinata e sensuale, più interessata alla seduzione che al desiderio di una rapida conclusione delle indagini. Sono tutti elementi che possono creare curiosità e interesse.
C’è qualcuno che vuoi ringraziare che ti ha aiutato a realizzare questa opera letteraria?
La Casa Editrice CTL di Livorno che ha realizzato con passione e professionalità il volume.
Il professor Luciano Lani, chimico di chiara fama che mi ha edotto sui veleni.
L’avvocato Carlo Rossi, del foro di Pescara, che mi ha istruito su certe modalità e concetti giuridici come “domiciliatario”, “segreto istruttorio”, “costituzione di parte civile”, oltre a fornirmi degli spunti per parlare delle modalità con cui si svolgono gli interrogatori e tanto altro.
Ma vorrei ringraziare soprattutto il Professor Umberto Parisi e l’artista Miriam Prato che furono i primi a visionare la bozza del romanzo e che, con un editing attento, furono prodighi di osservazioni, in primo luogo finalizzate a rendere coerente il racconto nella logica del "giallo”. Un particolare grazie all’artista Miriam Prato che con generosa passione ha magistralmente illustrato la copertina del romanzo con il suo splendido dipinto L’Istrice.
Nella tua attività letteraria hai pubblicato altri libri e
romanzi. Ci racconti quali sono, di cosa trattano e quale l’ispirazione che li
ha generati?
In questi ultimi anni ho scritto e mi sono stati pubblicati sei
romanzi e svariati racconti. Ne cito solo alcuni:
Con gli occhi di Arianna: la storia della presa di coscienza di una donna
che si cerca e si rivela a sé stessa non tanto attraverso la rivisitazione dei
propri ricordi quanto, e soprattutto, attraverso le immagini, frammentate e
parziali, che le sono rimaste impresse negli occhi. Scritto come omaggio alla donna.
Jacob Rohault I giorni di Venezia: romanzo con riferimenti storici ma anche pretesto per parlare dei miei topos
letterari: Parigi, Venezia, Bologna. Una storia che esplora anche i risvolti
sentimentali che condizionano il comportamento degli uomini: la dolcezza e i
drammi dell'amore.
L’intruso nelle vecchie stanze: la scoperta di antichi documenti in una
vecchia casa abbandonata accende la curiosità del protagonista, inducendolo a
scrivere una storia che si sviluppa tra la ricerca di una verità oggettiva e la
falsificazione letteraria della stessa.
Il venditore
di pensieri altrui: Un romanzo che ha
trovatolo l’ispirazione per essere scritto in almeno tre elementi.
Il primo: un banchetto situato
all’interno di un bar in Place della Bastille a Parigi, dove un cosiddetto
“nouveau philosophe” (evidentemente non dei più noti), vendeva informazioni e
consigli ispirati a filosofi antichi e moderni. Qualcuno si sedeva davanti a
lui che, al modico prezzo di tre franchi o di un bicchiere di vino o di birra,
spiegava sinteticamente il pensiero di Aristotele, di Kant, di Sartre e così
via.
Il secondo: il desiderio di rivisitare
quella specie di icona letteraria che è costituita dall’ambiente del bar. E in
Romagna è una vecchia tradizione. La gente si incontra, parla, ironizza,
discute di calcio e politica. Lo schema narrativo in questo caso è
rappresentato dalle battute e dalle chiacchiere che, spesso, sono appunto non-sense
da bar.
Il terzo: la voglia di raccontare dell’amicizia, senza cadere nei patetici luoghi comuni della nostalgia. Come anche degli amori che vanno e vengono e che il protagonista vive quasi avendone una strana paura: che possano diventare troppo importanti e profondi. Infine, il desiderio di raccontare delle strade, dei marciapiedi e dei porticati dove camminare osservando e riflettendo più o meno seriamente sull’esistenza.
Quali sono i tuoi prossimi
progetti e i tuoi prossimi appuntamenti che vuoi condividere con i nostri
lettori?
Un nuovo giallo: La trama sarà ancora un’indagine di Alessandro Lucci all’interno di un
Teatro, questa volta alla scoperta di un delitto commesso molti anni prima. Un crimine
di cui in paese si era sempre parlato con mille sospetti, senza che mai si
potesse scoprire la verità.
Panfilo Rainaldi, la vita di un uomo di montagna che, per una serie di casi strani della vita si trova a fare il marinaio. Troverà la morte per un’epidemia di Beri-Beri su una nave durante la guerra di Libia all’inizio del 900.
Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi
dire a chi leggerà questa intervista?
Dire del mio credo “letterario” che - si tratti di
scrivere un romanzo sentimentale, storico o, semplicemente un giallo - è sempre in linea con
l'affermazione che la letteratura sia soprattutto "relazione".
Da un
punto di vista, diciamo così, metaletterario una proposta di scrittura, che sia
di poesia o di prosa è certamente, come affermava J.P. Sartre, “lo spazio in
cui autore e lettore dialogano a partire dalle proprie concrete esistenze ed
esperienze di vita”.
Ritengo che l'opera
letteraria, in definitiva, sia soprattutto parola, ma anche stile e linguaggio.
Cioè, nella mia visione del significato dello scrivere, penso che le parole
utilizzate debbano essere proposte in una forma linguistica dotata di una
propria logica ed impostazione intrinseche, che sono diverse dalla ricerca del sentimento immediato.
In questo rifuggendo dall’adozione dell’abusato ricorso alla mestizia romanticheggiante: sorta di astuzia letteraria tesa a mimetizzare l’enfasi scrittoria.
Paolo Massimo Rossi
https://www.facebook.com/paolomassimo.rossi
Il
libro:
Paolo
Massimo Rossi, “Un cespuglio di spine”, CTL ed., Livorno, 2021
https://www.ctleditorelivorno.it
Andrea Giostra
https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/