di Goffredo Palmerini - L’AQUILA - Non si era ancora attenuata
l’eco compiaciuta per il suo ultimo romanzo, gratificato da diversi premi
letterari e da vasti consensi tra i lettori, che già Francesco Testa ci intriga e sorprende con una nuova avventura
letteraria, “La bambola col tuppo” (Graus Edizioni, Napoli, 2020).
Si tratta
di un romanzo con una struttura narrativa dalle tinte dapprima delicate, ma che
man mano si drammatizza in vicende di sempre più forte impatto emotivo, spinte
talvolta in sospensioni thriller e noir. Non una storia, ma una densa congerie
di più storie che si concatenano, dove l’elemento psicologico e il retroterra
umano del protagonista e degli altri personaggi tratteggiano e motivano
l’asprezza degli accadimenti. La narrazione si avvale d’una scrittura di rango elevato,
qual è quella dell’autore, coinvolge e attrae con una sequenza di vicende ricche
di colpi di scena, tali talvolta da far trattenere il fiato.
Non c’è alcun dubbio. Francesco Testa sa usare con rara
perizia gli elementi psicologici che muovono il comportamento umano, specie
quando s’immerge nel fango delle traviazioni più squallide e malsane. “La bambola col tuppo” rappresenta uno
spaccato di vita vissuta di cui restituisce la profondità attraverso una prosa
che non ha paura d’indignare o di sconvolgere, ma che, al tempo stesso, aborre
ogni facile sensazionalismo. E’ un romanzo che riesce a raggiungere la perfetta
fusione di forma e contenuto, trasmettendo messaggi eternamente validi.
Gli eventi s’alternano a riflessioni
profonde, che spaziano dalla condizione dei diseredati all'insicurezza, dalla
meschinità dell'uomo alla sua capacità di mettersi in discussione, dalla sua hybris al senso dell'amore e della vita,
dalle vicende private a quelle della collettività. Sarà però meglio immergersi
nella lettura del romanzo, nei meandri d’una storia forte di pathos e di situazioni
imprevedibili, per assaporarne talvolta controverse emozioni.
Eccone della storia alcuni brevi tratti.
Ignazio Alfonso de Dura, significativo uomo dell’antica aristocrazia
partenopea, in seguito a un'esperienza quasi mistica decide di mettere la
propria ricchezza al servizio del bene comune. Il suo felice matrimonio con
Beatrice è turbato dall'assenza di figli. A cambiare le cose l'incontro quasi
casuale con Gennarino, un ragazzino orfano cresciuto da un lontano cugino della
madre. I coniugi de Dura si affezionano al ragazzo, gracile e snello, si legano
a lui fin quando non l’adotteranno, appena raggiunta la maggiore età, facendone
il loro unico erede.
La vita, caratterizzata da un affetto familiare
intenso, è però funestata da una serie di eventi spiacevoli: la rivelazione di
elementi d’un passato ignoto e spaventoso, la malattia di Ignazio Alfonso prima
e poi quella di Beatrice. Un susseguirsi di drammi che influiranno sullo
sviluppo e sulla psiche di Gennarino. Il ragazzo, divenuto uomo, è intanto alla
ricerca del suo posto nel mondo, diviso tra volontà di rivalsa verso le persone
che egli ritiene immeritevoli di perdono e desiderio d’affermarsi, laureandosi
in psicologia e percorrendo il cammino della professione. Un percorso che lo
condurrà a lavorare in contesti diversissimi, ma assai formativi sul piano
umano e professionale.
Attraverso l'esperienza nella
famigerata Clinica della Morte, struttura fittizia che ricalca però realtà
concrete spesso dimenticate, Gennarino si trova a mettere in dubbio la propria vocazione
professionale, confrontandosi con persone ormai fuori di senno e abbandonate a
se stesse. Lo tormenta inoltre l'ossessione di mettere al mondo un erede, per
garantire continuità al suo casato. Non si fa scrupoli, quindi, di mettere
incinte donne inconsapevoli, come la badante di sua madre, pagata per avere
rapporti sessuali.
L'insieme di ansie, sensi di colpa e
stress trasformano Gennarino in un vero e proprio lupo mannaro che ogni notte
ulula la propria disperazione alla luna e al vicinato, correndo nudo e privo di
raziocino nel giardino della sua villa. A salvarlo sarà un'infermiera, Luisa,
donna più grande di lui e sua prima fidanzata, capace di curare le sue afflizioni
e fornirgli un'occasione di riscatto, con un nuovo lavoro in un’esclusiva
clinica della città.
L'amore per Luisa è la prima emozione
sana che Gennarino prova, dopo un lungo periodo di tenebre. Tuttavia non basta
a guarirlo dalle sue fissazioni, specie quando i due non riusciranno ad avere
un figlio. Gennarino perderà la testa per una sua collega, donna dal passato
traumatico e misterioso, apparentemente incapace di ricambiare appieno i suoi
sentimenti. La sensualità quasi animalesca della donna, alternata a clausure
monastiche, trasformerà l'infatuazione di Gennarino in un amore senza limiti,
cieco a ogni stortura, tanto da portarlo ad una nuova perdizione.
La morte della madre in circostanze
sospette, la conseguente indagine dei carabinieri al comando d’un luogotenente
d'altri tempi, dotato di un finissimo intuito, dà una nuova scossa a Gennarino,
portandolo a rimettere in discussione tutte le scelte prese. La conclusione
delle sue vicende sarà emblematica: né lieto fine né tragedia, ma una vita con una
prospettiva più cupa e malinconica, anche se più reale. La vita di Gennarino,
le cui meschinità e gesti nobili si mischiano di continuo in un'individualità
estremamente sfaccettata, è talvolta solida come una roccia ma al tempo stesso
fragile come un vaso, con conseguenze poco immaginabili.
Francesco
Testa, in questa nuova opera, rivela peraltro il desiderio d’innovare,
di non ricalcare stereotipati sentieri narrativi che indulgano in un genere
letterario confinato. L’autore si distacca da un qualunque genere, mettendo in
campo una creatività che reinventa ed amalgama situazioni e tematiche, le più
variegate, dal rosa al giallo al noir. Si trovano così brandelli di dramma
romantico e di tragedia familiare, di critica sociale con le crude descrizioni nella
Clinica della Morte, di thriller psicologico con l'incursione nell'interiorità
dei personaggi, di giallo poliziesco con le indagini e i metodi eterodossi del
luogotenente Canepa, infine di romanzo di formazione con la difficile ma costante
crescita della personalità del protagonista. “La bambola col tuppo” è dunque
un romanzo da leggere. Di certo scuote e non lascia indifferenti sulla frastagliata
e tormentata diversità delle vicende umane.
***
Francesco Testa è nato ad Udine, vive e
lavora a Napoli. Psicologo e psicoterapeuta, è laureato in Economia aziendale e
in Sociologia con lode, H.C. di Doctor of Health Management Engeneering presso
la Constantinian University (State di Rhode Island, USA). Top manager di primari
gruppi industriali e Direttore Generale di aziende sanitarie e ospedaliere.
Presidente dell’Azienda Soggiorno e Turismo di Paestum. Giornalista pubblicista
e Revisore legale. Docente di Economia sanitaria. Insignito delle onorificenze
dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana (OMRI), di Cavaliere,
Commendatore e Grand’Ufficiale. Per il suo impegno sociale a favore delle
persone sofferenti o svantaggiate è stato anche insignito, dalla Città del
Vaticano, delle onorificenze di Cavaliere e Commendatore dell’Ordine Equestre
del Santo Sepolcro di Gerusalemme. È accademico effettivo dell’Accademia
Teatina per le Scienze e Academicum Ordinarium Nobilis Sanctae Theodorae
Imperatris (USA). Tra le sue pubblicazioni si citano Qualità in Sanità – Strumenti
e strategie di sistema (Edizioni G. Laterza, Bari, 2001); Controllo
e programmazione delle aziende sanitarie (Edizioni G. Laterza, Bari,
2001); L’ignorante è schiavo (Graus, Napoli 2010). Nel 2015
inizia una intensa e proficua collaborazione con Giulia Fera, che porta alla
pubblicazione dei romanzi Il canto nel vento. Un sentiero di crescita (Graus,
Napoli, 2015), Aironi di carta (Graus, 2017), Veleni
& Verità (Graus, 2018), Indelebile
come un tatuaggio (Graus, 2019), La
bambola con il tuppo (Graus, 2020).