“Diario di bordo: Qui base lunare Alpha, situazione generale a 2230 giorni dall’abbandono della Terra.
Registrazione della dottoressa Helen Russell.
Due giorni fa abbiamo preso contatto con un pianeta di tipo
terrestre nel nostro quadrato occidentale. I primi rapporti indicano possibilità di insediamento. La nostra
unità di rilevazione sta conducendo un severo controllo prima di dare il via all’insediamento. Fino a quando
non saranno completati tutti i test, il Capitano Koenig ha imposto una quarantena sul cibo, l’acqua e i
minerali. Il pianeta sembra disabitato, sebbene l’unità di rilevazione abbia scoperta una misteriosa …. “.
Ogni puntata della serie televisiva “Spazio 1999”, iniziava con la registrazione del diario di bordo, da parte
del comandante o di altro ufficiale della base lunare Alpha. Quanto scritto prima fa parte di un episodio
della seconda stagione (https://www.youtube.com/watch?v=xwganUZioA8).
La serie fu creata da Gerry e Sylvia Anderson. La prima puntata fu mandata in onda in Gran Bretagna nel
1975 ed un anno dopo in Italia. Sono state 48 le puntate, l’ultima trasmessa dal secondo canale RAI il 9
gennaio 1977.
All’interno di un cratere lunare viene realizzata una base scientifica a cui viene messo a capo il comandante
John Robert Koenig (Martin Landau), un astrofisico americano che prende il posto del sovietico Gorski, il
precedente comandante, ritenuto inaffidabile.
All’inizio degli anni settanta, quando è stata programmata la serie televisiva, l’idea di una storia ambientata
su una base lunare nel 1999 (un anno prima del 2000) appariva credibile, dato che la Nasa aveva mandato
diversi astronauti sul nostro satellite naturale dal luglio 1969 al dicembre 1972.
Il comandante sta preparando una spedizione spaziale quando il deposito di scorie nucleari, situato sulla
superficie lunare a distanza dalla base, genera una gigantesca esplosione il 13 settembre 1999.
Un’esplosione talmente potente da sbalzare fuori la Luna dalla sua orbita intorno alla Terra!
I circa trecento membri della base lunare si ritrovano così a vagabondare nello spazio.
Nei vari episodi i terrestri incontrano diversi alieni e affrontano avventure su pianeti sconosciuti o
all’interno della loro stessa base. Non tutti gli alieni e le bizzarre creature che incontrano sono ostili: a volte
danno loro una mano, ma più spesso sono pericolosi e creano non pochi problemi.
(https://www.giornalepop.it/la-prima-serie-di-spazio-1999/).
Nel 1999 fu girato un piccolo episodio conclusivo della durata di poco più di 6 minuti, nel quale l’ultimo
Capitano, di nome Sandra, si congedava prima di abbandonare definitivamente la base. Nel suo messaggio
ricorda che “Siamo tutti alieni” e termina con “a voi abitanti della Terra noi diciamo addio. Vi chiediamo
soltanto una cosa: non dimenticateci!”. L’episodio è stato realizzato come extra per la collezione in DVD.
“Spazio 1999” era un telefilm profondamente umano e chi come me è nato negli anni 60, aspettava con
ansia “settimanale”, il nuovo episodio. La dottoressa Russell (interpretata da Barbara Rain) dirigeva il
centro medico della Base. Da lei e dal dottor Robert Mathias (Anthon Phillips) dipendevano la salute e la
forma degli alphani. Figlia del medico che inventò la cura per il cancro, conservava nel suo studio una copia
del microscopio di Marie Curie.
Fra i personaggi da me preferiti, probabilmente anche per l’omonimia, c’era il comandante dei piloti delle
“Aquile”, di nome Alan Carter (l’attore Nick Tate). Le Aquile erano le navicelle che gli alphani utilizzavano
per scendere sui pianeti e per difendere la base lunare.
Nel piccolo episodio del 1999 l’attrice si emoziona e non direi per pura posa cinematografica. Sembra quasi
che voglia salutare gli attori e quindi i personaggi che non c’erano più.
Il mio pensiero da dodicenne viveva quel futuro divenuto “presente”. Si mescolavano le epoche. Avevo
assistito in diretta a quel “piccolo passo per l’uomo ed a quel grande balzo per l’umanità”
(https://www.youtube.com/watch?v=VvMJMCvU8Ps). I miei mi avevano fatto restare alzato dopo
Carosello, per vedere il LEM (modulo di escursione lunare), allunare nel Mare della Tranquillità, al’incirca
alle ore 22.16 del 20 luglio 1967. Ricordo la diretta televisiva di Tito Stagno, che oltretutto mio padre mi
aveva presentato una domenica in spiaggia a Fregene. Rammento che Stagno camminando sulla battigia,
ogni tanto faceva una capriola per aria poi riprendeva il suo percorso: un vero eroe, anche ginnico, per un
bambino come me. Dalla base americana di Houston si ascoltavano le testimonianze del corrispondente
Ruggero Orlando, splendida presenza del giornalismo di quel tempo. Ebbi la fortuna in seguito di incontrare
anche lui nella sede del mensile “Shalom”, dove fui praticamente costretto ad imitarlo, salutandolo con la
mano come faceva lui in televisione, ed esclamando “qui Nuova York, vi parla Ruggero Orlando” con forte
erre moscia (https://www.youtube.com/watch?v=KAe9DklGhgc).
Parlavo ieri con mio zio Roberto, che a fine maggio compirà 90 anni e che è l’ultimo rappresentante
consanguineo delle generazioni antecedenti la mia. “Quando finì la seconda guerra mondiale – mi ha detto
– dovemmo ricominciare tutti da capo. Al nostro arrivo a Roma, vivevamo tua madre, tua nonna ed io, in
una piccola stanza in affitto … “. La bella telefonata mi ha confermato i timori quotidiani per la “ripresa”
dopo il Coronavirus: la cosiddetta “fase 2”.
Molti della mia generazione, me compreso, hanno avuto la fortuna di nascere nell’epoca nella quale chi era
sopravvissuto – i nostri genitori – era riuscito rimboccandosi seriamente le maniche, a ricrearsi la vita ed
addirittura a riuscire a mettere da parte il frutto del faticoso impegno. Ci hanno permesso di studiare e di
amare quel che loro ci hanno dato ed il mondo che avevano aiutato a ripristinare. Siamo cresciuti in quella
che sembrava un’era nuova, post bellica, apparentemente lontana dalle sofferenze. Ci hanno insegnato ad
amare la vita e ad alcuni è stato anche trasmesso il rispetto per il prossimo e per la natura. Abbiamo avuto
in dono la fantasia e lo sviluppo scientifico, intellettuale, culturale e di un’informazione veloce. Siamo
riusciti a seguire i veloci passi dell’evoluzione tecnologica.
Parte dei nostri figli ed i nostri nipoti, specialmente chi è nato a ridosso del cambio di millennio e negli anni
successivi, fanno invece parte di una generazione che definirei prefabbricata. Agiscono in gruppo, quasi
come degli ovini e solo pochi di loro riescono ad estrarsi ed astrarsi dalla moltitudine. Si tratta di una
grossa fetta della popolazione (minore in Italia perché paese con esigui incentivi alla natalità) appiccicata
all’informatica. Chi non vive di cellularizzazione sembra un nuovo Robinson Crusoe (ai giovani consiglio di
guardare su Internet questo personaggio letterario). Si campa in contatto costante con l’apparecchio che è
diventato purtroppo la mente opaca di molti. La fantasia sembra essersi assopita e ci si incontra per
“scriversi a quattr’occhi”. Belli i tempi lontani nei quali si andava da amici per trascorrere delle ore felici,
magari assieme a qualcuno provvisto di chitarra od altro strumento, per intonare tutti assieme un brano
della hit di allora.
Non è certamente mia intenzione deridere o giudicare l’intera galassia dei giovanissimi né i loro genitori
che solo in pochi casi sono riusciti abilmente ad intervenire, impedendoli il contagio da una società malata.
Ben altra cosa questo Coronavirus. I giorni passano tutto sommato con disinvoltura, fra telegiornali e
trasmissioni monotematiche o residui mediocri riproposti da quasi tutte le emittenti. Questa guerra per ora
contro l’ignoto, questa interminabile battaglia anche contro le persone care per paura di contaminazione,
rischia di trascinarci in una sorta di non ritorno. Fa breccia nei pensieri il fattore economico: chi ha uno
stipendio rischia ben poco, ma chi lavora autonomamente dovrà riprendere da dove ha interrotto, con le
consegne in arrivo che giungeranno senza che quelle in uscita ripartano come prima. I liberi professionisti
forse avranno un sussidio statale per il tempo passato a casa, mentre coloro che vivono di ritenuta
d’acconto dovranno recuperare da ben prima il blocco imposto, dovendo ritrovare le persone con le quali
avevano intrapreso degli accordi, cercando di sfruttare i propositi venuti in mente durante l’isolamento.
Un futuro quanto incerto aspetta gran parte di noi che dovremo, forse finalmente, renderci conto di quanto
avevamo causato negli ultimi decenni, approfittando solo dei beni che questa balorda epoca ci aveva
“suggerito” di acquisire: per lo più agiatezze non necessarie ma alle quali ci eravamo abituati, creando
enormi, anzi infinite carovane di spazzatura, dai materiali in plastica, all’uso indiscriminato di agenti
inquinanti.
Non potremo più lamentarci per il colore dei fiumi, per l’estinzione di molte specie animali, per l’affiorare di
un’isolotto di terra in Antartide, per lo scioglimento dei ghiacciai, per i violenti cambiamenti di clima.
Abbiamo sacrificato le mezze stagioni, abbiamo distrutto parte dell’apparato respiratorio terrestre quali
l’Amazzonia, abbiamo fatto sì che bruciasse l’Australia. Le nostre estati sono caldissime, mentre altrove
piove come mai. I tifoni sono più frequenti e la loro forza incommensurabile, mentre alcuni terremoti
devastanti spaccano il pianeta.
“Spazio 1999” sembrava un futuro da vivere solo nei telefilm. Non immaginavo certo che a 35 anni avrei
visto la Luna iniziare un pellegrinaggio al di fuori da quella normale orbita che da sempre affascina l’essere
umano, crea le maree ed i sogni di molti di noi.
Ora quell’anno è stato superato da infinite lune piene e da cieli notturni illuminati esclusivamente
dall’uomo. Per la negativa velocità del nostro “andare avanti”, abbiamo varcato a ritroso fior di parassiti, il
colera di Napoli, la Spagnola d’inizio secolo scorso, le calamità racchiuse nei libri di storia.
Trascorriamo le giornate riflettendo e sperando, non soltanto di superare questo contagio, ma di riuscire a
guadagnare nuovamente l’onore di poter lavorare, guadagnare la propria indipendenza, il non dover
approfittare da assistenza esterna. Tentiamo di utilizzare la nuova tecnologia per i fini del quotidiano,
insegnando ed imparando on-line, trasmettendo le nostre verità. Molti si lasciano inghiottire da questa
informazione e vivono alla ricerca di una presa elettrica per “ricaricarsi”, per non rimanere un solo attimo al
di fuori da questa epoca che è diventata brutalmente e storicamente la nostra. “Quando il gatto non c’è i
topi ballano” e molti animali stanno tornando ad impadronirsi delle nostre città, ossia dei loro antichi
luoghi, come fossero quelle presenze aliene sparse nell’universo nella serie televisiva degli anni 70.
Riusciamo perfino a sorprenderci quando un anatra si adagia sulle acque di una fontana nel pieno centro
della Capitale. La polizia scorta un istrice, i porti si riempiono di delfini, mamma volpe porta i suoi piccoli a
visitare Milano.
Noi dove accompagneremo i nostri figli? Ad una fiera informatica o a comprare qualcosa di superfluo ed
inutilmente di marca? Auguriamoci che quando vorranno comunicare dei sentimenti on-line, riusciranno a
scriverlo in modo comprensibile ed esaustivo e che i loro sguardi sappiano distrarsi da un apparecchio, per
vedere che fuori c’è un mondo, si vecchio milioni di anni, ma ancora capace di stupire. Auguriamoci che
loro sappiano ancora cosa sono i sentimenti. Noi tutti dobbiamo imparare nuovamente ad essere felici e
continuare a desiderare quel che abbiamo, ma soprattutto riuscire a capire come salvaguardarlo.
Abitanti della Terra: non dimenticatela più e rispettatela, altrimenti per quale motivo noi che abitiamo sulla
luna, vorremmo tornare ad abitarla?
Alan Davìd Baumann