L'attrice Margherita Mannino: Ho trasformato la mia passione preferita in un lavoro. L'intervista

Grandi consensi e numeri per la nuova fiction di Raiuno "Doc - Nelle tue Mani" con Luca Argentero protagonista. Incontriamo una delle interpreti, l'attrice Margherita Mannino, "ospite" dell'ottavo episodio. L'intervista.

Ciao Margherita, partiamo dalla tua esperienza in Doc - Nelle tue Mani. Come ti sei trovata?
Doc racconta una storia molte forte, soprattutto perché è ispirata alla vita del primario Pierdante Piccioni, che - esattamente come il personaggio di Andrea Fanti interpretato da Luca Argentero - ha perso 12 anni della sua memoria in seguito ad un incidente. Uno dei suoi punti di forza sta senz’altro nella freschezza del cast, composto da attori molto giovani. Sul set ho respirato un clima di familiarità. È una fiction che guarda più agli ambienti produttivi internazionali, di stampo americano. A causa del Coronavirus le riprese sono state interrotte, per cui la seconda tranche della stagione si potrà vedere soltanto ad autunno inoltrato. Io ho interpretato l’astronauta Matilde, guest star dell’ottavo episodio.
Con alcuni attori del cast avevi anche già lavorato, giusto?
Sì. Conosco da tanti anni Sara Lazzaro, che interpreta Agnese la moglie di Andrea Fanti. Abbiamo lavorato da poco al cortometraggio che si chiama L’Aurora, che è andato on line in première al Cortinametraggio. È arrivato da poco come lavoro. Nel cast c’è anche Francesco Wolf. Così come Sara, io sono di Padova ed anche Pierpaolo Spollon, che in DOC è lo specializzando Riccardo. Tutti e tre abbiamo fatto le stesse scuole medie. Per una serie è strano che ci siano tre attori padovani. Molto spesso c’è più romanità nei prodotti così. Invece in una serie come questa che va su Rai 1, dove interpreto un piccolo ruolo, ci sono tre attori di una piccola città di provincia, perché Padova non è enorme. Credo sia molto carino. Sono molto fiera di presentare così il mio territorio, che dispone di talenti, di teste e di attori, di persone che lavorano in quest’ambito e che hanno una formazione valida. Il cinema veneto comincia a tagliarsi questa fetta di riscontro.

Bene. Parlami meglio del cortometraggio L’Aurora

Lì ho interpretato la protagonista, che si chiama Aurora, come il titolo stesso del cortometraggio. È una storia che tratta il tema della violenza sulle donne in un modo diverso e delicato. Aurora è ombrosa, misteriosa, dura e non trasparente. È molto chiusa, fa fatica a fare uscire i sentimenti. Durante la narrazione si capirà il perché di tutto questo. Ha delle relazioni sbagliate, non riesce a trovare il suo posto. Trova se stessa in acqua, in apnea. Sarà è la sua amica, con cui va in apnea, capace di portarle un po’ di serenità. Francesco Wolf interpreta il ragazzo della porta accanto, il buono.
So anche di una tua tournèe che è stata interrotta a causa del Coronavirus
Sì, il 4 marzo io ero in scena a Vipiteno, in Trentino-Alto Adige, con Morte di un Commesso Viaggiatore insieme ad Alessandro Haber, Duccio Camerini e tanti altri attori. Siamo dovuti rientrare tutti nelle nostre case. A quest’ora dovevamo essere a Roma, all’Eliseo, o in Puglia. Speriamo di poter recuperare queste date, sperando ovviamente che da ottobre, o comunque in autunno, si possa proseguire. Speriamo che questo virus non torni così violentemente come adesso. Ci è piombato addosso come se fosse una cosa di un altro pianeta.

Come pensi che cambierà il mondo dell’arte dopo tutto questo?

Non voglio essere pessimista, mi auguro che ci possano essere delle spinte positive da parte di tutti, ma sono molto preoccupata perché siamo tutti consapevoli che la cultura e l’arte non vengono considerate come beni primari, anche se forse dovrebbero essere viste come tali. E quindi arriveranno in coda alla ripartenza del Paese. Se è così ci dobbiamo armare di grandi muscoli, mentali e fisici, perché non sarà facile. Sarà dura per tutti. Penso che la ripresa sarà lenta. Logisticamente, pensare che bisogna stare attenti agli assembramenti sfavorirà un teatro di 800 posti, dove le persone stanno vicine l’una all’altra. Quando potranno stare sedute così, significherà che tutto è a posto.

Anche per voi ci dovranno essere dei nuovi accorgimenti, anche a livello scenico…

Certo, ma magari chissà… potrà nascere un nuovo modo di fare Teatro. Sicuramente arriverà qualche idea da questo punto di vista. Come dire? “Di necessità virtù”. Tra l’altro, io ho dovuto interrompere anche un altro lavoro, soprattutto per le scuole. Ho fatto un monologo sulla storia della senatrice Liliana Segre, che ho portato in giro da novembre. È coinciso con il periodo in cui si sono accese le discussioni e le polemiche sulla sua persona. La tempistica è stata del tutto casuale; noi per raccontarla abbiamo preso i diritti dal romanzo che aveva scritto con la giornalista Daniela Palumbo. Quest’ultima ha anche fatto poi l’adattamento teatrale. Io poi mi sono preoccupata di portare in giro questo monologo: la storia di Liliana fin da bambina, passando per l’emanazione delle leggi razziali, l’ingresso nel campo di concentramento e l’uscita da lì. Sono legatissima a questo lavoro. I ragazzi delle scuole medie e superiori l’hanno accolto positivamente. Credo che, essendo un monologo, sarà più facile riprenderlo, spero di poterlo fare presto. Era in questo periodo il mio fiore all’occhiello. È un lavoro che nasce dalla mia idea, con il sostegno di alcune entità che mi sono vicino come la Milk di Francesco Wolf e la MPG, Cultura di Venezia del Teatro Groggia. È un lavoro molto importante per i tempi che corrono. Mi chiedo se dopo l’emergenza di Coronavirus, certe cose cambieranno, se magari chi passava tutto il tempo a mandare messaggi di odio a Liliana, che ha 90 anni ormai, abbia di meglio da fare; combattere per la salute invece di seminare odio. Speriamo che succeda almeno questo.

Uno spettacolo sulla storia di Liliana Segre ha senz’altro come obiettivo quello di diffondere dei messaggi importanti, a partire dalle scuole…

Esatto. È fondamentale. Il Teatro è un altro mezzo di insegnamento, non un diversivo e basta. Esistono dei modi per far sì che sia bello, fruibile e non noioso per i ragazzi, ma al tempo stesso dev’essere utile. Il lavoro su Liliana rientra in quella categoria che io chiamo teatro civile e sociale: ha una funzione educativa, informativa di base. Nel caso della Segre, magari qualcuno neanche sapeva chi fosse. Per quanto riguarda l’aspetto educativo, penso che resti di più in mente una storia di due ore raccontata in Teatro rispetto ad ore ed ore passate sui libri, telegiornali che passano e che non riescono a trasmetterti i giusti messaggi. A volte è molto meglio perdere due ore di lezione per guadagnare vita vera, per guadagnare in un altro modo. Gli insegnanti ovviamente sono necessari, ma questo tipo di teatro è molto utile, complementare.
Tra i tanti progetti saltati per il Covid19, so anche di un tuo film che sarebbe dovuto uscire a marzo…
Il film su Mario Mieli con la regia di Andrea Adriatico, tratto ovviamente dalla storia di un’attivista omosessuale che comunque è un baluardo del movimento italiano. È stato presentato al Festival del Cinema di Roma, con il supporto di Rai Cinema doveva andare nelle sale a marzo.
La tua esperienza più grande è stata il ruolo di protagonista del film Lovers con Primo Reggiani e Ivano Marescotti. Che tipo di esperienza è stata?
La più importante che ho fatto, a livello di impegno su un set e di riscontro. Avevo un ruolo grosso. La cosa bella di quel lavoro è stata quella di giocare con quattro ruoli diversi. Ognuno degli attori principali interpretava quattro ruoli diversi. C’erano quattro storie con quattro personaggi che poi, come un girotondo, si incastravano, si mescolavano. Io mi sono cimentata con quattro diverse Giulia: una femme fatale, una più naif, una più donna in carriera, l’ultima più ragazza della porta accanto. È stata un’occasione per poter giocare tantissimo, di poter dare spazio alla mia immaginazione. Ho avuto anche bisogno di supporto enorme da parte della troupe, a partire dal regista ma passando anche dai costumi, dal trucco e dal parrucco, elementi fondamentali per delineare i quattro personaggi che dovevo interpretare. Lì si era creato un bellissimo clima. Abbiamo girato tutto a Bologna, in un ambiente che io conosco bene. Una dimensione da cittadina piccola che ci ha permesso anche di vivere di più la città. È un bel ricordo di un lavoro stimolante, seppur faticoso.

Hai lavorato anche con Terence Hill, in Don Matteo. Un’icona del nostro spettacolo…

È veramente un’icona! Quando l’ho conosciuto sono rimasta affascinata dalla sua dolcezza, dalla sua timidezza, dalla sua grande calma e professionalità. Mi ricordo che l’ho guardato quando aveva indosso la sua solita tunica, col bomber e la bici. Vedevo che c’erano delle toppe sulla tunica e sul bomber. Allora gli ho chiesto perché gli indumenti fossero tutti rattoppati. E lui mi ha risposto facendomi presente che non aveva mai cambiato la veste poiché, dal suo punto di vista, i telespettatori se ne sarebbe certamente accorti. La produzione voleva cambiargliela, ma lui ogni anno si imponeva per mantenerla. È una fiction che ormai fa parte della nostra cultura, doppiata e distribuita in diversi paesi. Ormai Terence è Don Matteo, è stato in grado di creare una famiglia col pubblico. Con me è stato gentile, abbiamo girato qualche scena insieme.

Veniamo a te come attrice. Quando hai capito che la tua strada era quella della recitazione?
Ho una storia un po’ strana perché io ho cominciato, come molti miei colleghi, dalle scuole, frequentando i corsi di teatro della scuola. Ho fatto il liceo scientifico; il mio insegnante di teatro era Andrea Pennacchi, abbastanza conosciuto sia in Veneto che nel resto di Italia, anche per la partecipazione a Propaganda Live. Dopo le superiori, siccome ero una studentessa abbastanza ligia, mi sono iscritta a Giurisprudenza. Durante l’Università ho frequentato l’Accademia del Teatro Stabile del Veneto a Padova, ho cominciato a vedere che il diritto non mi soddisfaceva. Il Teatro mi veniva bene. È stata una cosa che è cresciuta piano piano. Finita la scuola, ho preso il mio zaino e la mia laurea, sono andata a vivere a Roma e da lì pian piano ho cominciato. Sono anche diventata avvocato, ho fatto quello che dovevo fare per finire il mio periodo, come direbbe Leopardi, di “studio matto e disperatissimo”, per chiudere un cerchio della mia vita a cui avevo dedicato tantissime energie. Ma ormai nel tempo la mia strada per la recitazione si era fatta da sola. Non ho mai deciso da piccola di fare l’attrice. Facevo tante cose, dagli sport alla musica, forse perché non sapevo bene come canalizzare le mie energie, cambiavo continuamente. Però mi piaceva studiare, imparare. Fin quando la mia energia ha trovato il suo canale per trovare una valvola di sfogo. Ho trasformato la mia passione preferita in un lavoro.
Li hai accennati, quindi approfondiamoli un po’… quali sono i tuoi passatempi?
Mantengo senz’altro le mie più care amicizie, quelle delle superiori e dell’università, di un mondo che non fa parte del teatro o del cinema. Diversamente da altri colleghi, o da amici, che hanno avuto una formazione più “classica”, che hanno seguito il percorso del teatro da sempre. Ho mantenuto un attaccamento a persone che fanno parte della mia adolescenza, di quello che è stato prima di incontrare il teatro. Quella parte di me che mi mantiene ancorata alla vita reale. Vedo che c’è una differenza tra chi fa il mio mestiere e un altro, che può essere un medico o un impiegato. Tra chi va in tournèe o chi magari vive nella stessa città e ha una sua certa routine. La vita dell’attore è difficile; è difficile soprattutto farsi capire all’esterno. A molti sembra una bella vita, perché magari sei sempre in giro, ma ci sono delle mancanze, ha i suoi pro e contro. Sono dunque molto grata a quella parte di me che rimane ancorata alle radici dove c’è la mia casa, dove c’è mia madre, dove ci sono le mie amiche. Quando posso cerco di tornare.  Le mie amiche hanno tanti figli, dunque faccio la zia dei loro bambini. Da un lato ho questo, dall’altro ammetto che mi piace molto viaggiare. Amo molto il mio lavoro quando mi consente di fare le tournèe, mi piace ritornare nei luoghi che conosco, così come andare in posti diversi perché adoro la natura. Ho bisogno di stare all’aria aperta, di camminare, di andare in montagna. Vedere luoghi diversi per scoprirli. Sono legata alla Sicilia, che è la terra di mio padre, e una parte della mia famiglia è lì. Vado lì da quando sono piccola. Ho una zia che vive nelle isole Eolie e anche là ho un pezzo della mia infanzia. Ho fatto tanti sport, ho studiato canto, da poco ho ripreso a suonare la chitarra. Mi piace variare. Da poco ho preso una cagnetta dal canile che è meravigliosa. 
Fattitaliani

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