di Mario Setta
Una parola che faccia da guida
per tutta la vita: reciprocità.
Quel che non desideri per te, non farlo agli altri.
Confucio (V sec. a.C.)
Confucio (V sec. a.C.)
Dalle vicende politiche di
questi ultimi tempi è evidenziato un indebolimento e addirittura un fallimento
dell’idea di globalizzazione. Tutto ciò che è successo nei tempi più recenti:
la politica di Trump, il
riassembrarsi delle piccole nazioni e piccoli governi, l’esito della Brexit,
con l’uscita della Gran Bretagna
dall’Unione Europea, pone un interrogativo nuovo, drammatico, che coinvolge
l’intera umanità. Il problema non è più quello di salvare l’Europa, ma di salvare il mondo. E la Brexit non è altro che il segno di un
malessere che condurrebbe le società a creare isole, mentre il pericolo sta nel
grande contenitore terrestre. Un pianeta in pericolo di estinzione. La fuga
verso i nazionalismi rappresenta un atto di debolezza e di autodistruzione.
D’altronde, come afferma Yuval Noah
Harari, “il nazionalismo non è una
componente naturale ed eterna della psiche umana e non ha radici nella biologia”.
La corsa attuale verso il cosiddetto “sovranismo”
non è altro che un ritorno al passato, chiudere gli occhi di fronte
all’universalità dei problemi. Ci si salva o ci si affonda tutti.
Ma ciò che si sta verificando
in questi giorni, in queste ore, a livello mondiale, di fronte al Covid19 presenta una novità assoluta ed
un atteggiamento da ultima chance, un crocevia tra vita e morte. Un virus,
scientificamente ancora sconosciuto e incontrollabile, diventa un mostro
fatale. Un fenomeno che colpisce tutta l’umanità, come la peste. Che contagia
ogni nazione, ogni uomo. La lotta contro il virus per la difesa della vita non
può che essere universale. La globalizzazione come via di salvezza
dell’umanità. Un metodo realistico, funzionale, nonostante le tante e gravi
forme antitetiche. Non è contrapponendosi che la si combatte o elimina, ma
accogliendola, incanalandola, regolamentandola. La logica della
contrapposizione, come in una specie di neo-luddismo, è già finita da molto
tempo, perché distruggere le macchine per bloccarne l’uso è una battaglia
persa. Il progresso è inarrestabile. Ma deve essere a servizio dell’uomo, di
ogni uomo. Non soltanto di pochi. Per di più già ricchi. Un vero progresso non
può essere se non per tutti.
Economisti come Amartya Sen e Joseph Stiglitz sostengono che la globalizzazione non è “né nuova,
né una follia… e né possiamo tornare indietro dalla globalizzazione che deve
andare avanti”.
“Abbiamo l’esigenza di un’etica globale, così come di dubbi globali” afferma Amartya Sen. E continua: “Adam Smith, spesso considerato il padre della scienza economica moderna, era molto preoccupato dell’abisso esistente fra i ricchi e i poveri”. Sen, economista indiano, in una delle sue opere più famose, dal titolo “Lo sviluppo è libertà”, sostiene che lo sviluppo non può che essere “un processo di espansione delle libertà reali godute dagli esseri umani” e che “lo sviluppo umano è, innanzitutto e soprattutto, un alleato dei poveri, non dei ricchi e degli opulenti”.
“Abbiamo l’esigenza di un’etica globale, così come di dubbi globali” afferma Amartya Sen. E continua: “Adam Smith, spesso considerato il padre della scienza economica moderna, era molto preoccupato dell’abisso esistente fra i ricchi e i poveri”. Sen, economista indiano, in una delle sue opere più famose, dal titolo “Lo sviluppo è libertà”, sostiene che lo sviluppo non può che essere “un processo di espansione delle libertà reali godute dagli esseri umani” e che “lo sviluppo umano è, innanzitutto e soprattutto, un alleato dei poveri, non dei ricchi e degli opulenti”.
Già nel secolo XIX Auguste Comte aveva approfondito la
tematica della solidarietà, affermando che consiste nella dipendenza reciproca
degli esseri e delle cose legati in modo tale che ciò che capita ad uno di loro
si ripercuote sugli altri. Comte sosteneva che “in ogni fenomeno sociale,
soprattutto moderno, i predecessori partecipano più dei contemporanei”. Come in
un orologio l’ago dei minuti trascina e conduce l’ago delle ore, in stretta
continuità. Comte affermava che
“ogni generazione deve rendere gratuitamente alla seguente ciò che essa stessa
ha gratuitamente ricevuto dalla precedente”. Di qui la solidarietà come dovere
morale di assistenza tra i membri di una stessa società, perché formano un solo
tutto. Oltre ad essere un concetto, la solidarietà è il fondamento di un dovere
ed è, e deve essere, un fatto.
Appare strano e piuttosto
deludente come la Chiesa Cattolica,
definitasi spesso “società perfetta”, non abbia tentato di realizzare un simile
progetto, liberato da ogni dogmatismo e fondato sul principio evangelico
“amatevi gli uni e gli altri”. Oggi, più di ieri, e in modo ultimativo, bisogna
chiedersi se sia ancora possibile pensare di sopravvivere umanamente in
un’isola, se l’isola è collocata su una sfera che traballa ogni istante e che
presenta situazioni sempre più terrificanti a causa di soprusi, vessazioni, violenze
di ogni genere da parte dei suoi abitanti, d’un cambiamento climatico che ne
coinvolge ogni angolo, d’una rincorsa vertiginosa allo sfruttamento delle
risorse.
Naomi Klein, nel libro “Una rivoluzione ci salverà, perché il capitalismo non è sostenibile”, presenta un’analisi accurata e precisa sullo stato della terra. Una diagnosi inquietante, ma profondamente vera. E non c’è bisogno del volto sorridente e preoccupato d’una bambina come Greta Thunberg, per cercare di correre ai ripari, quando la situazione sembra ormai irreparabile.
Ma l’attacco più diretto e puntuale contro le istituzioni del capitalismo internazionale, in particolare contro il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC/WTO) si ritrova in ogni pagina dell’opera di Stiglitz, dal titolo “La globalizzazione e i suoi oppositori”. Le sue affermazioni non si fondano su preconcetti, ma sono frutto di esperienze dirette, quale rappresentante ed esperto di diverse organizzazioni internazionali.
Stiglitz ricorda come uno dei grandi promotori del Fondo
Monetario Internazionale, l’economista inglese Keynes, era stato rappresentante alla Conferenza di pace di Parigi,
dopo la prima guerra mondiale, e si era opposto decisamente alle sanzioni
punitive contro la Germania. La sua
voce, allora, non fu ascoltata e il risultato fu la seconda guerra mondiale. Ma
dopo quest’ultima tragedia, alla conferenza di Bretton Woods, le idee di Keynes ebbero maggior successo. Nacque
così il Fondo Monetario Internazionale, con lo scopo di promuovere la
cooperazione monetaria. Purtroppo, negli ultimi anni, le linee di condotta e i
difetti di gestione sono andati peggiorando. “Il problema non è la
globalizzazione - rileva Stigliz - ma come è stata gestita. […] Molto spesso
queste istituzioni hanno affrontato la globalizzazione con una mentalità troppo
ristretta, ispirata a una visione particolare dell’economia e della società”. Tutto
il sistema di gestione della vita sulla terra è nelle mani di un’élite che guarda
ottusamente ai propri interessi economici e al proprio sciocco egoismo. Per la Klein la salvezza dell’umanità consiste
nella trasformazione dello stile di vita di ogni componente, rivolto al
benessere sia personale che generale.
Ralf Dahrendorf, ex-commissario europeo e uno dei maggiori osservatori critici della società moderna, ha cercato di riproporre, a livello teorico-politico, il progetto di Immanuel Kant, ritenendolo di grande attualità. Il filosofo tedesco in uno scritto del 1784, dal titolo “Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico”, prima ancora dell’opuscolo “Per la pace perpetua”, pubblicato nel 1795, esponeva le sue idee sul cosmopolitismo. Al di là, quindi, delle utopie ottimistiche (Platone, Moro, Marx) o pessimistiche (Orwell, Huxley), secondo Kant, bisogna cercare, realisticamente, di raggiungere qualche obiettivo positivo per il benessere dell’umanità. Obiettivo che consiste, innanzitutto, nella costruzione di una società cosmopolitica, fondata su una Costituzione Universale. Quindi né EU, né USA, né altre Unioni più o meno fittizie. Non Est od Ovest, Nord o Sud, ma il pianeta Terra. A livello giuridico l’ONU dovrebbe diventare un solo Stato, una sola Costituzione, una vera Unità Mondiale, di cui ogni terrestre sarebbe cittadino. Il mondo, casa comune.
Jacob Taubes, ebreo, ex-docente a Gerusalemme, ad Harvard e a Berlino, ha
sostenuto che la chiave d’una corretta visione politica mondiale si trovi nelle
lettere di San Paolo. “Nietzsche fu
il mio migliore maestro per Paolo” ha affermato Taubes (“La teologia politica
di San Paolo”). Quello stesso Nietzsche
che, in “Anticristo”, definisce Paolo “tipo opposto alla buona novella, il
genio in fatto di odio... un disangelista”. Ma nella “Seconda Lettera ai
Tessalonicesi” (2,6) Paolo lancia una parola, misteriosa e sconvolgente, dal
punto di vista politico: “katékon”, la forza frenante. Un
“qualcuno” o “qualcosa” che eviti all’umanità di precipitare nel caos.
Per Carl Schmitt, che fu presidente dell’associazione dei giuristi
tedeschi durante il regime nazista, processato e assolto dopo la caduta di
Hitler, il “katékon” è la forza della Legge. Schmitt e Taubes vedono nella
“Lettera ai Romani” di Paolo un attacco al Potere di Roma e ai suoi Cesari.
Solo la Legge può assumere un rilievo dominante, perché solo la Legge può
trattenere, frenare un Potere Assoluto. Sembra l’anticipo millenario delle
carte costituzionali: la “Magna Charta libertatum” (1215), la “Dichiarazione
dei diritti dell’uomo e del cittadino” (1789), l’ONU (1945). Massimo Cacciari, trattando di Schmitt,
si sofferma sul tema del “katékon”, ritenendo che “Il potere che frena” (Adelphi, 2013) può
sempre trovare un compromesso mentre, a suo parere, i due poteri politico e
religioso sono sempre con-fliggenti anche se inseparabili, ricorrendo perfino
alla frase “Il papa deve smetterla di fare il katékon”.
È stato Jack Goody, docente a Cambridge, ex prigioniero di guerra in
Italia, che ha girato il mondo in qualità di antropologo e storico di fama,
autore di numerose opere tradotte in varie lingue, a pubblicare un libro dal
titolo volutamente polemico e intrigante, “The
Theft of History” (Il furto della storia), cioè l’appropriazione della
storia compiuta dall’Occidente. L’autore sferra poi una critica serrata nei
confronti dell’analisi storica di Marx
e di Max Weber sul capitalismo e nei
confronti di intellettuali come Joseph
Needham, Norbert Elias e Fernand Braudel. Riconosce la serietà e
la profondità delle loro opere, ma ne contesta la visione eurocentrica. Il
“furto della storia” si è verificato anche per valori universali come
l’umanesimo, la democrazia e l’individualismo. Sottolinea: “I parallelismi tra
la cultura cinese e l’umanesimo del nostro Rinascimento sono sbalorditivi”.
Anche “l’amore romantico” è stato rubato alle altre culture, perché l’Europa ne
ha rivendicato l’esclusiva. Probabilmente “il Cantico dei Cantici” della Bibbia
ebraica potrebbe aver avuto l’ispirazione dalla letteratura sanscrita, in cui
si evidenziano tracce di amore romantico. In alcune espressioni della cultura
islamica, l’amore è visto separato dalla religione tanto da incontrare detti
come questo: “Non sono né cristiano, né ebreo, né musulmano… l’amore è la mia
religione”. Secondo Goody l’Occidente
ha rubato il Cristianesimo, messaggio d’amore rivolto a tutta l’umanità,
facendone proprietà privata delle chiese.
Come si può notare da queste
brevi note, il libro di Jack Goody
innesca una serie di riflessioni, autocritiche, valutazioni, che inducono a
ri-leggere e ri-scrivere la storia con nuovi e più validi strumenti di analisi,
basando la ricerca sulla connessione tra particolare e generale, microstoria e
macrostoria, storia d’un popolo e storia dell’Umanità. In ultima analisi,
sempre più storia a livello mondiale e non storia da dimenticare o,
addirittura, da sopprimere. Anche Marc
Bloch sosteneva che l’oggetto della storia è «“l’uomo”, o meglio “gli
uomini” e più precisamente “gli uomini nel tempo”» (Jacques Le Goff, prefazione a Marc Bloch, “Apologia della storia”).
Come ricorda Yuval Noah Harari nel suo ultimo libro:
“21 Lezioni per il XXI secolo”, anche
Mark Zuckeberg, il 16 febbraio 2017,
ha lanciato un manifesto sulla necessità di costruire una comunità globale,
ricorrendo all’uso di Facebook, con
oltre due miliardi di utenti. Ma se la filosofia aziendale di Facebook è quella
di stimolare la gente a passare sempre più tempo online, rischia di deformare
intelligenze e coscienze. Mentre sarebbe opportuno incoraggiare le persone a
connettersi quando necessario e per un tempo limitato alle reali esigenze.
Uomini e macchine non possono non essere strettamente collegati, perché non si
potrebbe sopravvivere se non connessi alla rete. L’uomo, quindi, dovrà
appellarsi all’intelligenza in quanto capacità di risolvere i problemi e alla
coscienza in quanto capacità di provare sentimenti.