INTERVISTA di Andrea Giostra.
«Palermo era ed è un grande esempio di fratellanza e di
integrazione … La fascinazione e la simbiosi con la città e la sua gente è
stata immediata e mi sono subito detto: voglio conoscere meglio la sua storia e
le sue tradizioni.»
Ciao Luca, benvenuto e grazie per aver
accettato il nostro invito.
Grazie Andrea, è sempre un onore essere intervistato da
un grande interprete della sicilianità come te.
Hai recentemente pubblicato con la prestigiosa casa
editrice romana Newton Compton il tuo ultimo romanzo ambientato nella
mia città, Palermo, dal titolo “L’amico speciale”, che prossimamente
presenterai a Palermo e in tutta Italia. Ci racconti come nasce questo progetto
editoriale?
Tutto nasce nel luglio del 2000, quando ero a Palermo per girare il mio primo documentario importante. Per tre
mesi ho vissuto in via Rosolino Pilo
racchiuso nel meraviglioso quadrato delimitato da via Ruggero Settimo, Via Roma,
Piazza Politeama e via Cavour. In quelle settimane ho scoperto
una città unica, sospesa tra il moderno e l’antico, una città che ti accoglie
solo se riesci ad amarla. Palermo era ed è un grande
esempio di fratellanza e di integrazione e infatti quel documentario ha vinto
numerosi premi internazionali proprio perché racconta un sistema di
integrazione moderno. La fascinazione e la simbiosi con la città e la sua gente è stata
immediata e mi sono subito detto: voglio conoscere meglio la sua storia e le
sue tradizioni. Il plot del
romanzo mi è stato subito chiaro così come era chiaro il fatto di voler parlare
della perdita dell’innocenza. La cosa difficile era farlo in una città che
conoscevo soltanto superficialmente ma per cui avevo avuto un vero colpo di
fulmine. Negli anni sono tornato centinaia di volte, spesso solo per
comprendere il tessuto sociale, studiarne il dialetto, conoscerne le tradizioni,
i miti, i riti e le idiosincrasie. “L’amico
speciale” rappresenta il mio lavoro della maturità perché è frutto
anche di uno studio antropologico, un pedinamento fatto sul campo. Sono andato
a scovare luoghi e personaggi, particolarità e bellezze uniche che ho cercato
di descrivere attraverso gli occhi dei miei protagonisti. Molti dei tipi
trattati sono diventati i miei “ragazzi di vita”, figli di una vita speciale, a
tratti durissima, a tratti magica e sospesa in un tempo indefinito in cui si
avverte una sorta di “rito di passaggio”. Ho riflettuto molto sulla strada da
seguire e L’amico speciale è
di sicuro figlio di molta letteratura italiana e che ho riletto in questi anni
da Verga a Pirandello, da Collodi a
De Amicis, da Carlo Levi a Pasolini,
da Natalia Ginzburg a Elsa Morante.
Come mai, da napoletano quale sei, hai ambientato questa
storia a Palermo?
In realtà sono salernitano, come
il grande Alfonso Gatto e sono un
po’ figlio di quel mondo. Sono convinto che la letteratura sia una missione, un
atto fatto di un amore che va declinato non solo per intrattenere ma
soprattutto per educare e far scoprire una realtà che il lettore potrà vivere
grazie al nostro “occhio”. Inserire queste storie in un contesto “unico” è
importantissimo e Palermo mi è sembrata subito una città unica per raccontare
questo reale. Io “ho fatto” il terremoto del 23 novembre 1980 ad Eboli
e Campagna ed è lì che ho iniziato a
distinguere il chiaro e lo scuro della vita. Quando perdi il tuo substrato
borghese, quando devi lasciare la tua casa, inizi a scoprire la “strada” che è
una metafora del Mondo. La perdita dell’innocenza è emersa nel mio Io a soli
cinque anni quando per mesi siamo stati costretti a vivere in aperta campagna e,
successivamente, a trasferisci dagli zii ad Ancona, decisamente un altro mondo. Conoscere territori diversi,
dialetti e persone non omologate al nostro stato sociale (i miei erano
professori di liceo), mi ha aiutato molto nello sviluppo delle mie storie e di
questa storia in particolare dove non mi hanno spaventato la ricerca, lo studio
e il tempo per poter raggiungere l’obiettivo “romanzo”. Salerno e Palermo sono città
superlative che, nell’immaginario collettivo, sono state sempre seconde ad
altre. Salerno e Palermo si somigliano tantissimo ed entrambe hanno sofferto la
popolarità e l’ingerenza napoletana. Sono città speciali dove ancora puoi
scovare la vera vita, non affettata e non esclusivamente turistica. Sono città
uniche perché fanno della diversità e dell’integrazione la loro cifra di
crescita. Napoli, invece, ha
un’identità precisa ed esclusiva a cui devi adattarti, Palermo e Salerno mi
sembrano più inclusive. Il capoluogo siciliano, però, mi è sembrato sin da
subito sospeso in un’epoca indefinita ed era quello che cercavo per raccontare L’amico speciale. Perché? Perché l’anima
palermitana è schiva, a tratti timida e allo stesso tempo, meno fracassona di
quella napoletana. Ha uno spirito fresco, ancora giovane e con una voglia matta
di far sentire a proprio agio lo straniero. È la caratteristica di tutte le città
che hanno sofferto tanto. Se alcuni luoghi ti spaventano allora non puoi
comprenderli appieno. Io sono arrivato a Palermo consapevole di voler
raccontare gli uomini e non i fatti di cronaca. Questo dovrebbe fare l’arte,
comprendere, andare oltre lo strato superficiale che vuole la Sicilia relegata
ad uno stereotipo. A Palermo ho incontrato persone meravigliose che mi hanno
sempre accolto e a cui spesso, io ho fatto notare cose che loro davano per
scontate o che non conoscevano affatto. In tempi non sospetti, giravamo alla
riscoperta di palazzi, cortili, corti, oratori per lasciarci affascinare da
figure uniche come le sculture e gli stucchi di quel genio di Giacomo Serpotta. Palermo era la città
della bellezza dimenticata perché insanguinata dai fatti di cronaca e coperta
da un velo di ignoranza dovuta ad un’assenza dello Stato. Ora le cose sono
cambiate perché il movimento culturale a Palermo e in Sicilia è grande e se si
analizzano le cose con il senno di poi lo si deve anche alla letteratura da Tomasi di Lampedusa a Sciascia, da Nino Martoglio a Verga a
Pirandello, da Goliarda Sapienza (da riscoprire) a Camilleri.
Cosa vuoi raccontare con questa storia? Qual è il
messaggio che vuoi che arrivi al lettore? Cosa troverà il lettore leggendo questo
romanzo?
I protagonisti sono alcuni ragazzi che la
società vuole schiacciare: Saro che sogna di diventare un carabiniere, Carmelo
un ragazzino affetto dalla sindrome di down e Caschello, un vivace zingarello.
Tre ragazzi “diversi” per la società in cui vivono che li vorrebbe omologare.
Tre personaggi che combattono per trovare un posto in questo micromondo, tre
figli che vorrei veder crescere con i propri sogni. Gli argomenti principali
del romanzo sono la scoperta della vita, la perdita dell’innocenza, la lotta
contro un mondo cannibale dove non tutti riescono a salvarsi. C’è molta
antropologia, c’è tanta psicologia e ci sono circa dodici anni di studio e di
pedinamento zavattiniano. Posso dire che il 60% di quello che si legge nel
libro è reale. Conoscere davvero molti dei tipi presenti nel libro mi ha
agevolato anche se ha portato a ripensamenti, dubbi, ritorni in città e lunghe
conversazioni sulla lingua, la cultura, i vizi e le virtù dei palermitani. Si
parla anche di magia perché c’è tanta antropologia religiosa che fa parte della
storia sociale, del folklore, del mito e del rituale del nostro Paese. Santi,
sante e la santuzza Rosalia, la fanno da padrone nel romanzo. Il libro è
dedicato a chi sa leggere, a chi ha cuore, a chi sa ascoltare, a chi sa
sognare, a chi sa amare.
Una domanda difficile Luca: Perché i nostri lettori
dovrebbero comprare il tuo libro? Prova a incuriosirli perché vadano in
libreria a comprarlo.
Per tornare ad essere bambini, ripensare ai nostri sogni, al grande e
immenso valore dell’amicizia. Leggere L’amico
speciale aiuterà tanti a sognare una società migliore, lo dobbiamo ai
nostri figli. Leggere L’amico speciale aiuterà il lettore a riscoprire
il proprio senso di libertà. Essere liberi è il bene più prezioso che spesso
gli adulti dimenticano.
Come è nato il tuo amore per Palermo? Ci racconti
questo colpo di fulmine?
Palermo, sin da subito, mi ha tolto il respiro
come in una sindrome di Stendhal e
ho sentito il desiderio di realizzare qualcosa di importante. Come nel quadro
di Guttuso “Vucciria”, Palermo è una città fatta di un realismo
sanguigno, odori, profumi, sapori, ha una carica erotica unica e ti trasmette
una grande gioia di vivere. La città ha talmente tante sfaccettature che se non
la racconti con il cuore, non riesci a descriverla bene.
La maggior parte degli autori ha un grande sogno,
quello che il suo romanzo diventi un film diretto da un grande regista. A
questo proposito, Stanley Kubrik, che era un
appassionato di romanzi e di storie dalle quali poter trarre un suo film, leggeva in modo quasi predatorio centinaia
di libri e perché un racconto lo colpisse diceva: «Le sensazioni date dalla storia la prima volta che la si legge sono il
parametro fondamentale in assoluto. (…) Quella impressione è la cosa più
preziosa che hai, non puoi più riaverla: è il parametro per qualsiasi giudizio
esprimi mentre vai più a fondo nel lavoro, perché quando realizzi un film si
tratta di entrare nei particolari sempre più minuziosamente, arrivando infine a
emozionarsi per dettagli come il suono di un passo nella colonna sonora mentre
fai il mix.» (tratto da “La guerra
del Vietnam di Kubrick”, di Francis Clines, pubblicato sul New York Times, 21 giugno 1987). Pensi che “L’amico
speciale” sia in grado di innescare nel lettore quelle
sensazioni di cui parla Kubrick?
E se sì, quali sono secondo te?
Mi sono sorpreso delle tante recensioni presenti sul web, quasi tutte
positive e delle sensazioni descritte dai lettori. Molti mi hanno emozionato e
mi hanno fatto rileggere la storia non solo pensando ad un film ma addirittura
pensando ad un futuro per questi protagonisti, in tanti me lo hanno chiesto
perché hanno provato una grande empatia leggendo L’amico speciale. Il
lettore si è riscoperto bambino ed ha apprezzato molto il passo realista del
romanzo.
«Non
mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li scrivo e
basta… i casi sono due: o funzionano o non funzionano. Non sono preoccupato
con: “Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una scarpa, questo è
un guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così.» (Ben Pleasants, The
Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free
Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.) Tu
cosa ne pensi in proposito? Cosa deve avere una storia per “funzionare” nel
lettore?
Deve essere una “materia” che faccia piangere, ridere,
sognare e vibrare prima lo scrittore. Non scrivo mai un libro senza
sorprendermi delle varie soluzioni che mi si presentano di volta in volta sulla
carta. Sono uno scrittore ma soprattutto un lettore. Non esistono solo buoni
scrittori, esistono soprattutto buoni libri e spesso queste opere nascono non
per mestiere ma per amore della letteratura. Così è nato L’amico speciale.
Secondo
te è più importante la scrittura (come è scritta) oppure la storia (cosa
racconta) perché abbia maggiore effetto ed efficacia narrativa nel lettore,
volendo rimanere nel concetto di Bukowski?
La storia è fondamentale, l’impatto narrativo è qualcosa che lega il
lettore alla pagina. Parlo però di quando lo scrittore sa anche scrivere. Oggi
leggo delle ottime storie scritte davvero malissimo e mi chiedo dove siano
finite le case editrici di una volta e dove siano finiti gli editor.
Per finire un’ultima domanda Luca.
Penso che la letteratura italiana degli ultimi 50 60 anni sia davvero in grande
decadenza e vesta i panni di una formidabile mediocrità. Le grandi case
editrici non rischiano e pubblicano esclusivamente “omogeneizzati” che
non si differenziano in niente da altre storie e da altri modi di scriverle di
altri autori del nostro tempo. Su questo sono d’accordo con Bukowski che in una
intervista del 1975 disse queste parole: «Quello
che sto cercando di dire e che la letteratura è stata un grande imbroglio … un
gioco scialbo, stupido e pretenzioso che mancava di umanesimo: Ci sono delle
eccezioni… ma sentivo che comunque era un imbroglio perpetuato nei secoli. Apri
un libro e ti addormentavi, pura noia studiata a tavolino: Sembrava un
maledetto imbroglio. Così ho pensato: chiudiamo e ripuliamo il verso - poter
stendere un verso semplice come fosse una corda di bucato, e a prenderci
emozioni – humor, felicità - senza ingombri: Il verso semplice, fluente, e al
tempo stesso sfruttare questo verso semplice per appenderci tutte queste cose -
le risate, le tragedie, il bus che passa con il rosso. Tutto. È l'abilità di
dire una cosa profonda in modo semplice: E hanno sempre fatto il contrario:
Hanno detto… che cosa? Non so cosa abbia detto: È stato molto scoraggiante:
Così ho provato - detto in questo modo suona molto sacro - ma ho provato a
portare alla luce quello che credevo sbagliato in questo gioco. E, cazzo, ho
avuto anche grandi aiuti – J. G. Salinger e tutta questa banda che siete con
noi intorno al tavolo stasera. Ok Questo è
più o meno tutto» (Ben
Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los
Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.) Tu cosa ne pensi delle parole di Buk? Qual è
lo stato di salute della letteratura contemporanea italiana? Ci sono secondo te
autori che andrebbero valorizzati e che invece rimangono conosciuti da pochi
perché le grandi case editrici non li considerano così come le grandi
distribuzioni?
Non sarei così drastico, ma di sicuro qualcosa è cambiato
diciamo almeno dal gruppo ’63 in poi, guarda caso costituitosi a Palermo. C’è
stata una vera grande rottura tra la letteratura popolare e questi autori che
rappresentavano un’idea elitaria e una provocazione nell’Italia degli anni ‘60.
Questa importante idea di neoavanguardia ha però portato negli anni ’80 al
fenomeno contrario, la letteratura è diventata materia per tutti, chiunque
poteva pubblicare un libro, anche chi non aveva mai scritto prima. Il libro da
strumento di cultura è diventato anche e soprattutto fenomeno di costume e mi
vengono in mente i libri di Marina Ripa
di Meana e il loro enorme successo. Il realismo ha lasciato spazio alle
storie di vita vissuta e le narrazioni sono diventate minimaliste o glamour o
troppo fantasiose. Negli anni ‘90 abbiamo avuto una vera degenerazione e i
successi per una letteratura mordi e fuggi, hanno ucciso i grandi autori. In
questo marasma sono nati la gioventù cannibale che ha prodotto Ammaniti, Brizzi … e i grandi autori di gialli che hanno, in parte, aggiornato
e superato le generazioni precedenti da Scerbanenco
a Renato Olivieri. Nella letteratura
degli ultimi anni, ovviamente, si sono stagliati i geni, quelli che rimarranno
sui libri di testo, Umberto Eco
(n.b. nato nel gruppo ’63), Andrea
Camilleri, Oriana Fallaci, Luciano De Crescenzo, scrittori che
hanno saputo creare, intrattenere e rompere gli schemi restando degli autori
italiani. Io amo però riguardare a quei piccoli grandi autori che hanno
descritto il nostro mondo facendolo crescere e regalando dignità alle nostre
piccole cose, alle nostre genti e visto che me ne dai l’occasione, io vorrei ricordare
di come sono pieni di “sensazioni” e di vita i libri di Grazia Deledda, Matilde Serao, Lucio Mastronardi, Ignazio Silone,
Giovannino Guareschi, Luciano Bianciardi, Carlo Cassola, Leonardo Sciascia, Giovanni
Arpino, Giulio Angioini, Antonio Tabucchi, e con questa idea di letteratura
nel cuore preferisco sempre l’ultimo romanzo del quasi centenario Raffaele La Capria che l’ultimo libro
di Federico Moccia, dicendo questa
cosa però, so di aver fatto pubblicità. Infine l’importante è leggere e credo
che da Alessandro Baricco a Massimo Carlotto, da Andrea De Carlo ad Erri De Luca, da Dacia
Maraini ad Elena Ferrante, da Andrea Giostra al compianto Andrea G. Pinkets, da Andrea Vitali a Sandrone Dazieri, da Sandro
Veronesi a Massimo Lugli a Valerio Massimo Manfredi ci sono autori
che sanno scrivere e raccontare storie per tutti i gusti. L’importante è avere
sempre un libro da leggere sul comodino in questo modo sarà più semplice
passare dalla Divina Commedia a L’amico Speciale. In fondo per
chi ha sete di lettura da Dante al
sottoscritto il passo è breve e, perdonatemi la battuta.
Luca Guardabascio
L’amico
speciale
Andrea
Giostra