E’
certo che un grazie va riconosciuto alle associazioni di certe località e alle
pubbliche istituzioni che le sponsorizzano e sostengono, le quali si fanno
promotrici della divulgazione e preservazione dei rispettivi ‘costumi’ locali, tradizionali o meno.
Ed è suggestivo e perfino pittoresco ammirare
le loro apparizioni pubbliche, tutti
belli uguali ed eleganti e multicolori.
E lo stesso avviene quando sono presenti gruppi folkloristici di altre regioni
o perfino nazioni: tutti uguali e armoniosi nelle vestiture.
Ed
è in questo momento che si impone, storicamente e folkloricamente, una
osservazione delicata. Si noti che tutti o la massima parte dei gruppi che vediamo
evolvere in pubblico raffigurano gli
abiti indossati dalla classe medio-alta di ogni località cioè quelli indossati
dagli artigiani e dalle donne di paese, casalinghe o lavoratrici, non dunque le
classi basse o quelle nobili dell’epoca che
conformazioni differenti presenterebbero. E quindi è gradevole alla vista
vederli sfilare o esibirsi tutti uguali e rifiniti: raffrontarli e confrontarli
coi documenti antichi -e questi in generale possono essere solo i quadri dei
pittori quando se ne occupano- allora si
scoprirebbe sicuramente che tale uniformità è in verità alquanto inusitata e
perfino arbitraria, sempre ammesso che i quadri citati si riferiscano a quegli abiti particolari o a quelle località pertinenti: in effetti non
esistono nell’arte pittorica, come regola, salvo qualche eccezione, quadri che
illustrano anche la esatta tipologia dell’abito di una località oppure opere
pittoriche che si riferiscano a località
precise e quindi agli abiti indossati. Di conseguenza gli attuali gruppi folkloristici
in realtà sono svincolati da regole e da limitazioni documentarie: di norma evidenziano quale riferimento
storico ‘mia nonna’ o una loro tradizione orale o vecchie fotografie: anche in questo caso la uniformità e
livellamento degli abiti sono fuori del reale. Vincolati e impegnati sono al
contrario quei gruppi che ripropongono o conservano abiti e costumi
tradizionali ancora vivi e validi
quali quello scozzese, il tirolese, il brettone, il bavarese, l’olandese e
qualche altro in quanto la tradizione viva e operante li guida e anche li
obbliga.
Eppure
la storia dell’arte e non solamente la storia dell’arte, conserva gelosamente la
memoria di un abito che esula da quanto sopra e che, malauguratamente, pur non
essendo indossato e quindi tenuto vivo nella quotidianità dalla gente del luogo come quelli più sopra ricordati,
scozzese, tirolese, ecc., è al contrario il
più documentato ed illustrato e più conosciuto e ammirato poiché presente
in quasi tutti i musei e pinacoteche del pianeta, come nessun altro: alludiamo
al costume che indossavano in verità gli
ultimi della società dell’epoca e cioè i braccianti agricoli, i
giornalieri, i manovali della terra, in certi luoghi sperduti della Ciociaria:
e diciamo ‘costume’ anche se in
realtà si trattava solo di veri e propri ‘stracci
colorati’, confezionati in casa con i materiali a portata di mano e poi tinti con le erbe e sostanze pure in
giro: si parlerà di ‘costume’ nel
corso del tempo, a seguito dei rapporti maturati con gli artisti stranieri a
Roma. Perciò assistere oggi alle evoluzioni gradevolissime degli eleganti e
tutti uguali paludamenti dei gruppi folkloristici suddetti che si propongono di
mettere in pubblico il ‘costume
ciociaro’ è storicamente motivo a dir poco di disagio: il povero bracciante e
manovale della fine del 1700 emigrato per miseria e fame nelle Paludi Pontine,
a Roma città o al di là delle Alpi, non indossava certamente l’elegante
vestitura e i colori pastello delle stoffe oggi comunemente esibita: è
imbarazzante a dir poco costatare in che modo sono rese le cioce da certi
gruppi realizzate con dei materiali che nulla e niente hanno a che vedere con
la pelle di maiale o di asino o di bue impiegata a suo tempo, con delle
conformazioni assurde quali certi becchi alle estremità e certe allacciature attorno alla gamba a dir
poco irrituali, senza parlare della ragazza in costume col rossetto sulle
labbra o che indossa gli occhiali da
sole: le donne di qualche gruppo
portano
perfino scarpe normali, forse a dimostrare e a confermare che in verità non si
propongono di illustrare il costume
originario del bracciante cioè il ‘costume ciociaro’ bensì quello di altre
classi sociali, come detto più sopra: allora si impieghi un’altra dizione, che
possibilmente escluda quella di costume e
cioè abito:
di Atina, abito di Veroli o di Alatri, abito di Arpino ma non, ripeto, costume
anche perché tale termine nella dottrina del folklore ha un significato
differente e tanto meno ‘costume ciociaro’. Qualche altro
gruppo, pur connotando l’assurdità iniziale degli abiti tutti uguali, in verità si sforza di
rispettare in qualche modo e almeno per gli abiti femminili, la documentazione
pittorica facendo indossare alle donne, le
collane di corallo, gli orecchini e perfino i mutandoni (dubito che potessero
permetterseli! le povere ciociare!), a parte il rossetto!
Michele
Santulli