Riccardo Centola a Fattitaliani: scrivere per il teatro è faticoso ma terapeutico. L'intervista

Sabato 21 settembre al Barnum Seminteatro, ore 21 “SCRITTURARTI IN SCENA”. Testi di Fabrizio Belli, Riccardo Centola ed Elisabetta Ruffolo.

Riccardo Centola si è laureato presso l’Università Roma Tre, in Regia e studi storico teorico critici su cinema e audiovisivi. Lavora in Rai come Assistente alla Regia in trasmissioni d’informazione e attualità. 
Mio compagno di corso presso il Barnum Seminteatro credo mi abbia “sopportato” per tutta la durata delle lezioni. 
Scherzo… in realtà mi ha supportato non solo perché mi spingeva a non mollare e devo dire che c’è riuscito ma non ho mollato perché ero affascinata  dai suoi testi.

Sentirete senz’altro parlare a lungo di lui perché ha stoffa da vendere…
Come nasce l’idea di seguire un corso di scrittura teatrale?

Il mio approccio alla drammaturgia è sempre stato indirizzato ad un esito audiovisivo. I miei studi mi hanno portato a soffermarmi sul cinema documentario, quindi su una forma di scrittura inevitabilmente partecipativa e aperta, dipendente dalle situazioni e dalle persone che si sceglie di coinvolgere. Adesso, anche per ragioni professionali, desidero imparare a padroneggiare una forma di drammaturgia classica, anche per affrancarmi da ciò che la realtà ha da offrire. La scrittura teatrale mi sembra aprire la possibilità di utilizzare l’insieme delle proprie esperienze come pezzi di un puzzle di cui si scopre solo progressivamente il disegno. È un esercizio faticoso e a tratti scoraggiante, ma credo che abbia delle proprietà terapeutiche.
Alla prima lezione eri più curioso o spaventato?
Né curioso, né spaventato. Ho scelto di cominciare un corso non tanto perché mi aspettassi di acquisire delle nozioni: per quelle esistono ottimi manuali. Per me il corso è stato una maniera di sabotare il mio senso di insicurezza e inadeguatezza: una sorta di coscienza nera che inibisce e scoraggia ogni spirito di iniziativa con fantasmi di discredito e imbarazzo per la propria supposta incompetenza e totale mancanza di talento. Credo che confrontarsi con gli altri in un ambiente dove ci si sente protetti e guidati sia la maniera più congeniale di zittire la paura diffusa di mostrare la propria interiorità ad un pubblico anonimo.
Cosa ti ha spinto ad andare avanti?
Mi ha fatto andare avanti la soddisfazione di aver acquisito un metodo di lavoro, sostenuta anche dall’osservazione di piccoli progressi nella fluidità con cui affrontavo le varie fasi:dalla stesura dei soggetti allo sviluppo. In particolare ho scoperto un naturale senso di divertimento nell’invenzione dei dialoghi. E poi ultimo, ma non meno importante, la simpatia della mia compagna di corso!
Cosa porti in scena? 
Tra i lavori svolti durante il corso sono stati selezionati due testi. Uno s’intitola Vecchio Frac ispirato dall’omonima canzone di Domenico Modugno. In questo corto teatrale ho provato a immaginare cosa può essere successo all’ora di chiusura in quell’ultimo caffe di cui si spegne l’insegna a mezzanotte. Nel secondo testo, Avanzi, lascio la corda drammatica per confrontarmi con toni più grotteschi e un finale a sorpresa.

Cosa ti aspetti dal pubblico in sala? 
In realtà non avendo curato io la messa in scena non ho idea di quale sarà l’effetto sul pubblico, io stesso sono curioso di scoprire la mia reazione. Ovviamente l’unica speranza è che non resti impassibile.

Da spettatore che voto ti daresti? 
Potrò darmelo solo dopo aver assistito allo spettacolo.

Elisabetta Ruffolo
Fattitaliani

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