L’AQUILA - Nel pomeriggio di domenica 28 luglio 2019, nella splendida
cornice naturale di S. Pietro della Jenca, nel quadro di quella bella ricorrente
iniziativa estiva del Giardino
Letterario voluta dall’Associazione
San Pietro della Jenca e dal suo ‘demiurgo’ Pasquale Corriere - la felice,
simpatica e grecizzante definizione è di Enrico
Cavalli, uno dei due protagonisti, come vedremo, della interessante
serata, a suggerire l’immagine del Gran Sasso come novello Olimpo e della Jenca come moderna residenza delle
muse - si sarebbe dovuto svolgere un piccolo convegno sul libro scritto a
quattro mani da Dante Capaldi
e Enrico
Cavalli dedicato ai novant’anni del calcio aquilano.
Motivi legati all’inclemenza del tempo hanno costretto gli
organizzatori a dirottare la riunione nel salotto buono dell’Hotel Fiordigigli,
a Fonte
Cerreto. E si è trattato ugualmente di una bella serata tra amici e
tifosi dello sport cittadino, tutti molto attenti alla presentazione competente
ed appassionata fatta dai due autori del saggio, amabilmente sollecitati da Augusto Ciciotti, garbato
conduttore dell’incontro.
Il primo a prendere la parola è stato Dante Capaldi,
storico giornalista aquilano di razza, maestro di generazioni di giornalisti
sportivi, nonché insegnante e dirigente scolastico. Tra i suoi innumerevoli
meriti va annoverato quello di essere stato, nel capoluogo abruzzese, tra i
fondatori e poi direttore della prima televisione locale. Il suo intervento è
stato ricco di aneddoti legati alla memoria della quasi secolare avventura
calcistica aquilana, raccontati con tale colorita dovizia di particolari e
tanto commossa partecipazione, da rendere tifoso della squadra aquilana di
calcio anche chi, come lo scrivente, sino ad allora si era sentito indifferente
alle sorti sportive della propria città. Capaldi ha rievocato anche l’epica
promozione in serie B della squadra rosso-blu ottenuta giocando a Genova nel
1934 (chi l’avrebbe mai detto!) contro la Doria, il vecchio nome della
Sampdoria, la gloriosa formazione genovese.
L’insigne giornalista, per dare un’idea della situazione del calcio
aquilano degli ultimi anni, ha evocato l’immagine quanto mai felice di un
uccello che da molto tempo vola con i piombi nelle ali. I piombi, come ha
spiegato subito dopo, altro non sono che le innumerevoli difficoltà che la
società sportiva incontra per tornare, se non proprio ai fasti del passato,
quanto meno ad una condizione degna di una città capoluogo di regione. Si
tratta quindi di porre in essere un progetto cui tutti i soggetti,
istituzionali e non, devono cooperare, avendo a cuore le sole sorti della
squadra rosso-blu e venendo incontro alle aspettative e allo spirito degli
autentici tifosi. Capaldi ha voluto coinvolgere nel suo appassionato discorso
in primo luogo l’Amministrazione municipale e la persona stessa del Sindaco (di
cui ha rievocato i tempi di una sua feconda e leale collaborazione in campo
scolastico), sindaco di una città per quale la rinascita calcistica potrà
essere la metafora e il volano di una più generale rinascita, sociale ed
economica.
Enrico Cavalli, professore aquilano e
studioso tra i più qualificati della storia del capoluogo abruzzese, e,
segnatamente, della sua vicenda sportiva, riprendendo e sviluppando il tema per
così dire etico-identitario evocato da Capaldi e facendone la principale chiave
di lettura del libro, nel suo intervento lo ha sapientemente coniugato con un
aspetto ad esso intimamente connesso, quello tecnico-organizzativo.
Tutto parte, ad avviso dello storico, da una crisi identitaria del
calcio aquilano. Fino a quando questa popolare disciplina è stata, nel
capoluogo abruzzese, l’espressione di una collettività che si percepiva come
tale e che partecipava convintamente alle sorti dell’undici rosso-blu, la
squadra ha mietuto successi (la militanza in seconda serie ne è testimonianza),
analogamente, del resto, a quanto è avvenuto con gli scudetti del rugby e con i
buoni risultati ottenuti nel tennis, nel pattinaggio e nel nuoto. Quando invece
il calcio aquilano si è consegnato al “mecenatismo” del politicante di turno o
dell’imprenditore in cerca di visibilità, quando cioè si è affidato a quelle
che Enrico
Cavalli ha definito, leopardianamente, «le magnifiche sorti e
progressive», sono cominciati i disastri: i tre fallimenti in venticinque anni
ne sarebbero la dimostrazione.
Dallo scorso anno, inoltre, è in vigore nella Federazione Italiana del
Gioco Calcio una sorta di fair play finanziario
(Uefa) che obbliga i club a
non spendere oltre l’ammontare degli incassi, ciò che comporta di fare
affidamento sulle proprie gambe e di non poter più attingere all’infinito al
portafoglio del proprietario. C’è poi da aggiungere – ha incalzato
puntigliosamente Cavalli ricorrendo alla semplice scienza ragionieristica –
che le somme di denaro che il proprietario del club versa per comprare i giocatori
finiscono per figurare in bilancio nella parte debitoria: vale a dire che il club diviene debitore nei confronti
del suo proprietario. Da qui il fallimento societario, specie se il
proprietario omette di pagare i giocatori, i fornitori, e quant’altro. Dopo
aver denunciato con forza che non è più tempo dell’uomo solo al comando (pars destruens), lo studioso
aquilano ha esposto le sue proposte (pars
costruens).
La società calcistica che Cavalli intravede per l’avvenire
è una realtà a carattere piramidale, vale a dire con un vertice
imprenditoriale, che si avvalga di sponsorizzazioni anche a carattere etico, e
una base (è questo il carattere che dovrebbe segnare la vera svolta del calcio
aquilano) che attraverso un azionariato diffuso realizzi nei fatti la proprietà
della A.S. L’Aquila da parte dei tifosi, che saranno in questo modo chiamati a
dare un supporto etico, formando le nuove leve ed educando praticanti e tifosi
alla conoscenza di una storia calcistica che il libro cerca di descrivere, in
una miscela di passione e competenza.
Una svolta, questa in atto grazie al Supporter’s Trust Laquilame’ (presente
all’iniziativa), che è nuova ma che sa molto di antico, giacché riecheggia in
qualche modo le vecchie sottoscrizioni della A.S.
L’Aquila in auge dagli anni ’30 agli anni ‘60. La scommessa che Cavalli
propone è dunque una proprietà dei tifosi che, riscattando decenni di inerzia e
di ritardi anche nella comprensione delle dinamiche dello sport in questi anni,
evochi all’interesse per le sorti della squadra calcistica cittadina, oltre
alle giovani generazioni, anche una certa borghesia intellettuale aquilana che
finora è stata ai bordi del campo e che è chiamata a salire – perché no? –
sugli spalti.
Del resto, chi ha detto che alta cultura e sport non sono compatibili?
Dell’antico filosofo greco Talete (quello
dell’acqua…) si racconta che aveva spesso la testa tra le nuvole (come tutti i
filosofi…), tranne quando stava nello stadio a tifare per la squadra di
atletica della sua Mileto. Il libro “90
anni e più di Calcio aquilano”
di Dante Capaldi e Enrico Cavalli, Editore
APE, ambisce a segnare un crocevia nella storia calcistica del
capoluogo abruzzese: un salto di qualità in vista dei cento anni della società,
nel segno di un...ritorno al futuro.