Storie Bastarde tratto dal libro di Davide
Desario, debutta stasera al Teatro Pegaso di Ostia e rimarrà in scena fino al
24 febbraio. Con Fabio Avaro e la regia di Ariele Vincenti.
Disegno Luci e Supporto Tecnico: Maximiliano Lumachi. Foto di Fabrizio
D’Orazio. Grafica di Danilo Giovannelli.
Anni 70, Ostia estrema periferia di Roma, una
terra di nessuno dove nel 1975 venne massacrato e ucciso Pier Paolo Pasolini.
Le strade sono palestre di vita dove i ragazzini giocano e si formano in mezzo
alla malavita locale. C’è comunque il rispetto degli uni verso gli altri. Ci
sono i pestaggi tra i rossi e i neri, le sfide tra bande nemiche e poi overdose
di eroina che miete molte vittime. Quasi una lente d’ingrandimento sul mondo
che sta cambiando… L'intervista ad Ariele Vincenti.
Come avete adattato il libro al testo
teatrale?
Il libro che ho letto tutto d’un fiato perché la scrittura dell’Autore è molto accattivante, ha rappresentato una grande base di partenza e di ispirazione per la stesura della drammaturgia teatrale in quanto descrive con cognizione di causa, aneddoti, profumi e personaggi di un tempo che non c’è più. Abbiamo approfondito anche certi argomenti che nel libro erano solo accennati. Si parte da metà degli anni 70, dalla morte di Pasolini e si arriva fino ai primissimi anni novanta. Raccontiamo com’era la vita di strada di una volta, dal bambino che giocava a pallone al delinquente di professione che stava seduto al bar. Una vita più vera in cui tutti si sentivano un po’ protagonisti. Trattiamo anche la diffusione dell’eroina che in quegli anni era la droga più diffusa.
Ho letto che adesso sta
tornando…
Sì, però diciamo che in quegli
anni la respiravi proprio, la vedevi, i ragazzi che facevano uso di eroina li
incontravi per strada adesso non è proprio così. Era proprio una presenza fissa
come un nuvolone nero sull’ombra di questi ragazzini.
Io ho perso due amici di
comitiva per l’eroina…
Negli anni 80 ancora un po’ di
riflesso, c’era. Dell’eroina non se ne
parlava e non se ne parla neanche oggi di quanto abbia influito negativamente,
di quanto sia stato l’elemento che ha stroncato un paio di generazioni. Noi
affrontiamo sempre tutte le tematiche dello spettacolo in modo ironico, insomma
si ride molto ma c’è sempre uno spazio per la riflessione, per la denuncia e
per rispolverare storie dimenticate. Un teatro che ha necessità di esistere
quindi una storia che noi siamo in dovere di raccontare. Il protagonista è uno
scampato perché anche lui fino ai primi anni 90 sguazza in quel mondo ma avendo
una famiglia solida, in qualche modo riesce ad uscirne mentre altri suoi
compagni purtroppo non hanno avuto la stessa fortuna.
Quindi la famiglia ha influito molto proprio
perché è riuscita a captare il problema.
Raccontiamo anche i personaggi
di una volta, in cui ognuno si occupava solo del suo ruolo adesso tutti sono
esperti di tutto invece una volta il portiere pensava solo a fare il portiere,
c’era il vinaio. Raccontiamo un po’ l’Italia
che non c’è più, dei valori veri che sono quasi spariti!
Quanto influisce la terra da
cui veniamo su di noi, sulla nostra vita?
Su di noi influisce molto poi
dipende… c’è quello che del suo retaggio ne fa una forza e può ricavarne tutte
le cose positive e metterle a disposizione della sua vita e del suo lavoro
futuro! C’è anche chi fugge come se si vergognasse quindi la ripudia e poi ci
sono le persone che sono meno felici. Venire da certi ambienti secondo me,
essendone “scampati”, è una cosa positiva perché hai delle cose da raccontare,
hai dei messaggi, hai conosciuto un po’ tutti i mondi, quindi apprezzi anche
più quello che hai oggi.
Dai 70 ai 90 ad oggi cos’è
cambiato?
È cambiato che adesso ci sono
i PC, ci sono i telefonini e non si va più a cercare le persone in un
determinato posto che sai che le trovi lì, ma le chiami. Ci siamo un po’
impigriti sotto molti punti di vista e abbiamo tutto sotto al naso. Invece una
volta anche una piccola cosa era un traguardo raggiunto. Si viveva tutti
insieme, si socializzava di più, c’era uno scambio e c’era anche una educazione
diversa, il rispetto per le persone più grandi dalle quali avevi solo da
imparare! Adesso invece le persone più grandi non vengono ascoltati. Una volta secondo me, vivendo tutti insieme,
c’era anche una sorta di gerarchia e quindi si tendeva più ad ascoltare
piuttosto che a parlare. Abbiamo perso un po’ l’abilità di ascoltare.
Soprattutto si è perso il rapporto con i nonni e con gli anziani.
Naturalmente con i nuovi mezzi
di comunicazione anche i rapporti sono cambiati, non ci si vede più.
Non c’è un rapporto reale, non
ci si guarda più negli occhi, si fa tutto attraverso uno schermo e quindi
questo influisce poi su una serie di altre situazioni quotidiane, non ci si
saluta più per strada.
Di Pasolini che ricordi hai?
È chiaro che lui è una fonte
di ispirazione. Nello spettacolo è presente perché poi essendo ambientato ad Ostia,
la sua figura viene citata ed arieggia un po’ per tutto lo spettacolo.
Dopo Ostia che tappe avete? Vogliamo portarlo a Roma, in teatri più
grandi. Diciamo che la voce si è sparsa perché è uno spettacolo moderno, lo
portiamo in un linguaggio teatrale moderno, succedono mille cose diverse.
Abbiamo lavorato molto con Fabio e ci siamo trovati molto bene a lavorare
insieme, è stato uno scambio bello. Un attore di quasi 50 anni con la sua
esperienza che ti si affida totalmente, per me è stata una soddisfazione grande!
Elisabetta Ruffolo