a cura di Andrea Giostra - Nel quarto capitolo de “La luce negli occhi”… Haria narra di
sua madre e delle capacità di lei di leggere il futuro… e del destino impietoso
che l’attendeva prima di salvare la figlia…
4° capitolo
IV
999 d.C.
Confusione e Angoscia affollano Anzol. Il caos improvvisa labirintiche
visioni negli occhi della gente; esaltati veggenti irretiscono ciechi, storpi e
vagabondi con infuocati anatemi, cupi religiosi ammoniscono i fedeli con gli
sproloqui di un’oscura profezia e pentimento, penitenza, punizione sono le
parole che le loro bocche vomitano con incessante frenesia dall’alba di questo
giorno definitivo: mille e non più mille è il dilagante coro che
corteggia il disastro e gli infonde incontrastato potere.
Io, Haria, giovane figlia di un’epoca non mia, rido di
ciò, poiché la mia vita non dipende dal capriccio di un dio, ma dall’agilità
delle mie gambe.
E corro verso il bosco.
Mia madre leggeva il destino negli occhi della gente. Con me sulle sue
spalle arrivò al villaggio una notte di bufera e
cercò un tetto: chi la vide varcare la soglia della locanda che, sul ponte,
assorbiva il buio e il frastornante scrosciare del Ceno, fu impressionato dai
suoi occhi d’ebano e dal suo sguardo penetrante. Mia madre trovò posto nell’inquieta
penombra, in un angolo vuoto, e ordinò un ot. Gli uomini si voltarono a guardarla e
guardarono me rannicchiata ai suoi piedi. Bevve d’un fiato l’acquavite di pruno
selvatico e ne chiese ancora. L’oste versò l’ot con mano esitante; gli
occhi di mia madre entrarono nei suoi ed egli si ritrasse confuso e diverso.
Mia madre non era donna di villaggio, era una drusca.
Il giorno dopo mi portò sulle Rocce Spaccate, cercò e trovò una piccola dimora
abbandonata, costruita da antiche mani drusche con pietra nera. Da quel luogo
nascosto e mutevole prese a leggere i destini negli occhi della gente che
saliva lassù con l’ansia di sapere e il timore di conoscere. Rispondeva la
verità mia madre, non ciò che la gente avrebbe voluto ascoltare, e per questo
era temuta.
Quando la prima onda della fine imminente dell’umanità sconvolse Anzol mia
madre fu sospettata di essere una strega. Ai due veggenti che con cipiglio e
sarcasmo sfidarono la sua conoscenza disse la verità: non sarebbero tornati
vivi al villaggio. Guardò nell’intensa luce verde dei miei occhi, sorrise e guardò i due allontanarsi giù per il sentiero incassato fra
le rocce eterne.
Un branco di lupi sbranò la loro arroganza e fece a
pezzi il loro odio. Al villaggio la notizia sconvolse gli occhi piegati della
gente e acuì la rabbia impotente dei membri del Consiglio, ma nessuno fece
niente per contrastare mia madre; la dimenticarono, e lei mi insegnò il suo
potere.
La seconda onda infranse ogni resistenza, rese pàniche
e vane speranze ed esistenze, e in una giostra di lugubri clamori e dedalici
silenzi gli anzolani si prepararono alla fine del mondo.
Mia madre scrutava la neve scendere senza sosta,
quell’inverno infinito; percepiva qualcosa che toccava il suo destino. Per la
prima volta si guardò allo specchio e indagò a lungo nei propri occhi, poi li
volse con scatto di fiera ed entrò nei miei. Il mondo si fermò.
Consiglieri, veggenti e soldati arrivarono di notte;
l’ululato di un lupo svegliò mia madre dal suo sonno magico. Si precipitò al
mio giaciglio, mi svegliò, mi fece indossare una folta pelliccia, mi diede del
cibo e il lungo coltello di mio padre e mi disse di correre via, di non
voltarmi indietro, qualunque cosa fosse accaduta. Di non tornare.
E corsi nel fitto del bosco.
Non fuggì mia madre, attese che Stupidità e Crudeltà
aprissero la porta della dimora.
Quella notte sognai che una torcia
illuminava i suoi occhi. Rideva mia madre, rideva dei soldati che distoglievano
gli occhi, e l’eco del suo potere fluiva nel bosco, lo attraversava, invadeva
il logoro villaggio, lo attraversava e continuava il suo cammino per un mondo
che non aveva più niente da dire a se stesso.
Mia madre fu bruciata in piazza come strega e schiava
di un demone. Legata a un secco palo di faggio guardò la cima innevata del Rago
lontano e possente e sorrise. Un istante prima che il fuoco dell’odio e del
disprezzo divampasse e la prendesse lei cercò nella folla e mi vide: per
l’ultima volta i suoi occhi entrarono nei miei, poi si abbandonò alle fiamme
senza un lamento. Era una drusca.
Non tornai sulle Rocce Spaccate, né presi la via delle
foreste del nord estremo, come ogni donna drusca avrebbe fatto al mio posto, ma
obbedii all’ultimo, tacito comando di mia madre: restare fra la gente e
vendicare la sua morte.
Crebbi fra i vagabondi, fui ragazza di bettole e
tuguri - dove il terrore della fine era un’eco spezzata - fra danze sfrenate e
fiumi di ot, e attesi il mio
momento.
La terza e grande onda portò i pellegrini, affamati di conforto e avidi di
salvezza; mi unii ai loro sguardi prostrati e li risollevai con un nuovo credo:
la vita per la vita. La luce verde nei miei
occhi fu la loro guida oltre l’oscurità di un mondo prono sul senso del peccato
e drogato di morte; vita, vita, vita fu il nostro grido unanime. Armai di
coraggio la mia gente e la resi risoluta a rincorrere il bene più prezioso. Il
Consiglio insorse, i soldati opposero un’insicura resistenza; gli anzolani,
storditi e confusi, finirono per passare dalla nostra parte e una notte
circondata dall’ululato dei lupi tutti i membri del Consiglio furono presi,
derisi e immolati alla vita sul rogo. I veggenti fuggirono, i soldati si
dileguarono. Mia madre era vendicata, io mi allontanai.
La quarta onda vomitò su Anzol ogni sorta di
fuggiaschi: tagliagole, mercenari, vagabondi, asceti, predicatori, gente
smarrita; tutti riuniti sotto una bandiera: la fuga per la fuga. Anzol
si spaccò in due, vivere e fuggire si scontrarono e si annientarono.
Ritta sul picco più alto delle Rocce Spaccate vidi
Silenzio distendere il suo manto sugli uomini e farne schiavi. Anzol l’ultimo
confine non aveva più voce.
Un giorno spento il Signore di Bard, il Giovane, entrò
nel villaggio seguito dai suoi cani affamati, da un manipolo di fanti e
cavalieri incupiti e da uno strascico di consiglieri stralunati. La poca gente
rimasta ad Anzol chinò la testa e il Signore di Bard impose le sue regole.
Si riparlò di penitenza, peccato,
punizione in un crescente deliquio, si rispolverò la fine del mondo e Anzol
riaccolse veggenti e religiosi con il loro strascico di ciechi, storpi, fedeli
e patiti. Si parlò di demoni e di una giovane drusca dagli occhi infiammati di
luce verde. Uomo debole e meschino il Giovane lasciò fare ai consiglieri.
Con la tenacia degli oppressori oppressi da
un’ossessione hanno fiutato il mio odore fra la gente. In un tugurio alle porte
di Selvòla mi hanno circondata, sette rachitici soldati e due consiglieri. Si
sono fatti avanti smaneggiando alabarde e blaterando accuse. Il mio coltello
drusco si è aperto un varco nella latrina del tugurio e la notte magica e
stellata ha sorriso alla mia fuga.
Madre, vivrò per ridere di quegli stolti e per
ricordare la fine del mondo, che non ci fu.
E corro verso il bosco.
In copertina, Danilo Battaglia, “Girotondo” (2015), 100x130 cm.,
Tecnica mista su cartone.
Per leggere i precedenti capitoli, clicca qui:
Note dell’editore:
«Haria vive ritirata sull'appennino ligure-emiliano, e comunica
con il mondo esterno mediante i suoi libri, in cui dispensa la conoscenza di
cui è portatrice. Ove giovani donne, in secoli diversi, in fuga dal proprio
tempo, in fuga per la consapevolezza e la libertà. Nove vite, una vita, e una
luce negli occhi che le guida e le accomuna. Nove donne oltre il varco
sull'ignoto, per un magico, solidale destino.»
“La luce negli occhi”, Haria, Collana
Letteratura di Confine, Proprietà letteraria riservata, © RUPE MUTEVOLE, prima
edizione 2004, ristampe 2009-2012-2018.
Cristina del Torchio
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Danilo Battaglia
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Andrea Giostra