Chiara
Ricci, scrittrice e critica cinematografica, si racconta come
saggista ed esperta di settima arte. Intervista
di Andrea Giostra.
Ciao
Chiara, benvenuta e grazie per la tua disponibilità. Ai nostri
lettori che volessero conoscerti quale scrittrice, cosa
racconteresti?
Prima
di ogni altra cosa, Andrea tengo a salutare e a ringraziare te e
tutti i lettori dell’ospitalità e dell’accoglienza. Ho studiato
al Dams di Roma e nasco come critica e storica del Cinema. Tutto è
nato dalla mia profonda passione per una delle Attrici più
significative del secondo Novecento: Anna Magnani. A lei, infatti, ho
dedicato la prima parte dei miei studi e la mia Tesi di Laurea con
cui ho voluto renderle omaggio si è trasformata di lì a poco nel
libro “Anna Magnani. Vissi d’Arte Vissi d’Amore”. Un saggio
dove ho approfondito il rapporto dell’Attrice con il mondo del
Teatro. Devo ammettere che tutto è iniziato dai miei studi e non ho
più smesso di scrivere: ho raccontato di Alberto Lionello, Valeria
Moriconi, Monica Vitti, Elvira Notari (la prima regista italiana) e a
breve uscirà il mio ultimo lavoro dedicato a Lilla Brignone, una
colonna portante della storia del nostro Teatro.
Ci
parli del tuo ultimo libro, “Il
cinema in penombra di Elvira Notari”?
Qual è il tema dominante e quale il messaggio che vuoi lanciare ai
tuoi lettori con questo saggio?
“Il
cinema in penombra di Elvira Notari”
è un saggio nato dalla mia seconda Tesi di Laurea che ho voluto
dedicare alla prima regista donna italiana. È stato un viaggio
emozionante come studiosa, come storica, come donna, come
appassionata della Settima Arte. È stato un incontro tra donne
davvero molto importante che mi ha permesso di conoscere - almeno
in parte - le radici del nostro fare Cinema, delle sue difficoltà,
dei suoi mezzi, delle sue tematiche … E tutto visto con uno sguardo
di Donna. Non si tratta di un testo che inneggia al femminismo
incontrastato e incontrastabile. È la storia di una Donna che ha
contribuito a rendere grande il nostro Cinema, a crearlo senza mai
dimenticare di essere moglie e madre. E questo credo sia un messaggio
attualissimo. Così, il mio libro non vuol essere altro che tributo
alla mia materia di azione in quanto studiosa e la dimostrazione
provata che si può fare della propria vita ciò che si desidera
senza trascurare nulla.
Quando
hai pubblicato il tuo primo libro e di cosa parlava? E i successivi?
Come
ho accennato poco prima, il mio primo libro è stato pubblicato nel
2009 dalle Edizioni Sabinae ed era il mio studio dedicato ad Anna
Magnani e al “suo” Teatro. Dopo una pausa di qualche tempo ho
pubblicato: Signore & Signori… Alberto Lionello (2014), Valeria
Moriconi. Femmina e donna del Teatro italiano (2015), Monica Vitti.
Recitare è un gioco (2015, questi ultimi tre editi dalla Ag Book
Publishing), Il cinema in penombra di Elvira Notari (Lfa Publishing,
2016) e a breve - ancora una volta con le Edizioni Sabinae -
vedrà la luce il mio ultimo libro dedicato all’attrice di teatro
Lilla Brignone. A questi titoli, però, voglio aggiungere anche la
pubblicazione americana del mio saggio Napoli
Terra d’amore. The eye on the screen of Elvira Notari” in
“Italian Women Filmmakers and the Gendered Screen, edito da
Palgrave Macmillan (2013).
Come
definiresti il tuo stile letterario? C’è qualche scrittore,
italiano o straniero, al quale ti ispiri?
Non
ho mai voluto dare una definizione al mio stile letterario. Però,
essendo un’amante della lettura, quando scrivo mi pongo degli
obiettivi ponendomi - per quanto possibile - anche dalla parte
del Lettore. Con questo voglio dire che amo una scrittura semplice,
lineare, pulita e, soprattutto, portare e avvicinare la materia e il
soggetto di cui scrivo a chi di Cinema o di Teatro conosce poco. Il
mio obiettivo principale attraverso i miei libri non è quello di
dare nozioni fredde che, terminato il libro, restano fini a se
stesse. Il mio intento è quello di creare una curiosità nel mio
lettore per questo nei miei libri cerco di fare quanto più
collegamenti con l’ambiente circostante a quello di riferimento.
Quando riesco a far nascere nuove domande e quando ricevo lettere o
e-mail in cui mi si ringrazia di aver fatto scoprire una tal cosa o
di averla raccontata in modo semplice ma efficace… beh, lì trovo
la mia gioia più grande!
Amo
e ammiro molti scrittori. Non mi ispiro ad essi ma leggendoli cerco
di imparare e correggere i miei errori, cerco di capire cosa e come
posso migliorare. È difficile nominarli tutti ma tra questi vi sono
Sándor
Márai,
Luigi Pirandello, Jorge Amado, Javier Marías,
Alexander Dumas (padre), Bram Stoker, Nabokov… è grazie alle loro
letture che ho scoperto l’Arte di raccontare.
Quali
sono secondo te le caratteristiche, le qualità se vogliamo, il
talento, che deve possedere chi scrive per essere definito un vero
scrittore? E perché proprio quelle?
Secondo
il mio modesto parere gli scrittori vendono storie, siano esse
inventate o meno. Infatti, chi scrive ha la meravigliosa possibilità
di giocare con le parole e, allo stesso tempo, ha la grande
responsabilità di usarle e sceglierle al meglio. Per questo credo
che la migliore qualità di uno scrittore sia la semplicità nel
raccontare le proprie storie e i propri pensieri. Personalmente non
mi piacciono gli intellettualismi forzati e chi, a tutti costi, deve
assumere un atteggiamento spocchioso e snob. Sa di falso e questo,
sempre a mio parere, nella scrittura traspare. Per lo scrittore (di
qualsiasi genere e senza fare differenze tra noti ed emergenti) al
primo posto non deve esserci il suo ego ma il lettore: è lui che
deve portare nel suo mondo e farlo viaggiare nel modo più comodo e
confortevole possibile. Deve rispettarlo. Queste, secondo me, sono le
qualità di un valido scrittore: la sua onestà intellettuale, la sua
semplicità che non è sinonimo di pressapochismo né di banalità,
il saper raccontare anche qualcosa di intricato e contorto a
qualsiasi tipologia di lettore.
Parliamo di cinema
Chiara. Gilles Deleuze (1925-1995), nella seconda metà del secolo
scorso, teorizzò la funzione filosofica della settima arte che nel
Ventesimo e Ventunesimo secolo avrebbe dovuto avere l’arduo e
importantissimo compito di creare l’etica e la morale pubblica, un
po’ come avveniva nell’antica Grecia con la filosofia ritenuta da
Aristotele l’arte del pensiero per eccellenza che sintetizzava in
questa frase: «Chi
pensa sia necessario filosofare deve filosofare e chi pensa non si
debba filosofare deve filosofare per dimostrare che non si deve
filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di
qui, dando l'addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano
essere solo chiacchiere e vaniloqui».
Se partiamo da questa idea, secondo te oggi il cinema ha questa
funzione pubblica? Cosa pensi della prospettiva deleuziana, in un
certo qual modo recuperata da un altro filosofo e cinefilo francese
contemporaneo quale Ollivier Pourriol?
Credo
che la funzione filosofica della Settimana arte teorizzata da Deleuze
potesse esser valida solo per il preciso momento storico in cui è
stata postulata. Pensiamo solo al nostro Cinema della metà del
secolo scorso. Siamo negli anni del dopoguerra e di lì a poco
avremmo avuto il boom economico. C’era un’Italia da ricostruire e
un popolo che volevo tornare a sorridere e a ritrovare un po’ di
serenità. Tutto questo lo ritroviamo proiettato sui grandi schermi
dell’epoca. Pensiamo ai film del Neorealismo (Roma, città aperta,
Ladri di biciclette, Sotto il sole di Roma), del Neorealismo rosa
(Due soldi di speranza, Poveri ma belli, Pane amore e fantasia), alla
nascente commedia all’italiana con film quali I soliti ignoti,
Ladro lui Ladra lei partorendo dopo non molto La Dolce vita
felliniana e come life
style
del bel mondo. Voglio dire: in questo caso il cinema ha contribuito a
(ri)creare quella morale pubblica e credo l’abbia anche rafforzata.
Questo, però, è stato possibile perché c’era del materiale su
cui lavorare. Oggi mi sembra un tantino più complicato. Alcuni dei
prodotti cinematografici che si realizzano sembrano proprio non voler
creare un bel niente e i loro contenuti sembrano nulli. Possono far
ridere, piangere ma terminate le due ore di proiezione si pensa a
dove andare a mangiare e non al messaggio ricevuto o che si avrebbe
dovuto ricevere. Fortunatamente resiste un certo tipo di Cinema,
definito d’Autore… basti pensare a Roberto Andò, Marco Tullio
Giordana, Pupi Avati, Gianni Amelio, Mario Martone… in questi casi
il pensiero filosofico di Deleuze non è andato del tutto perduto.
Qual
è secondo te il ruolo che deve avere il critico cinematografico?
Oggi la sua figura è ancora così importante per il cinema nell’era
digitale e delle informazioni che volano velocissime sui social?
Dai
tempi dell’università anch’io mi dedico alla critica
cinematografica scrivendo per diversi siti compreso il mio
(www.riccichiara.com)
e devo ammettere che studiando e leggendo anche recensioni di film di
cinquanta, sessant’anni fa una mia idea me la sono fatta. Ho
toccato con mano la differenza tra la critica di ieri e di oggi.
Intanto, gli spazi. Cinquant’anni fa esistevano tante, diverse
riviste specializzate e le firme erano eccezionali: da Michelangelo
Antonioni a Guido Aristarco passando per Mino Argentieri a Gian Luigi
Rondi. Oggi è tutto molto più immediato, c’è lo spazio infinito
del web dove chiunque -per fortuna - può dire la sua. Il
problema è che magari si parla dell’ultimo film senza sapere chi
siano Vittorio De Sica, D. W. Griffith o Truffaut o Pasolini. E
questo è rischioso: si scrive di oggi senza avere concezione di cosa
è stato “ieri”. Così può accadere che si rovini il lavoro non
solo di una persona ma di tutta una équipe, una troupe. A mio
modesto parere non mi sembra corretto. Il critico credo debba sì
sottolineare i punti deboli e forti di un prodotto filmico ma non
deve mai distruggere il lavoro altrui. Credo si possa stroncare un
film anche senza marcare troppo la mano pur esponendo con fermezza le
proprie idee. Il critico deve aiutare il Cinema e chi lo crea non
colpirlo a tradimento.
Chi sono secondo te
i più bravi registi viventi nel panorama internazionale? E perché
secondo te sono i più bravi?
Come
per la letteratura, apprezzo molto registi che sappiano raccontare
attraverso le proprie immagini storie in tutta semplicità ma che,
allo stesso tempo, sappiano scavare e scendere a fondo dell’animo
umano. Tra i registi che più apprezzo vi sono: Alejandro Amenábar,
Terrence Malick, Roman
Polanski, David Lynch, David Cronenberg, Martin Scorsese, Marco
Tullio Giordana, Joon
Ho, Hayao Miyazaki, Oliver Stone, Lars Von Trier, Giuseppe Tornatore,
Marco Bellocchio… degli immensi “racconta storie”!
E i più bravi
sceneggiatori?
Tra
gli sceneggiatori viventi quelli che più apprezzo sono i fratelli
Cohen, Tom McCarthy, Susannah
Grant,
Woody Allen, David Seidler, Wes Anderson…
Come
è nata la tua passione per lo scrivere, e qual è il tuo proposito,
il tuo scopo nello scrivere i tuoi libri, i tuoi saggi?
Da
bambina volevo fare di me un’egittologa. Poi ho scoperto Anna
Magnani e tutto quello che volevo era dedicarle un mio libro. Da qui
la scelta dei miei studi, la realizzazione di un mio vasto archivio
personale dedicato all’attrice che oggi si è ampliato contenendo
anche altri Artisti, la realizzazione di mostre e conferenze in
Italia e all’estero… e dal 2009 non ho più smesso di scrivere…
saggi sul Cinema, il Teatro, testi teatrali… e presto vorrò
dedicarmi anche al racconto di finzione. Ci sono delle idee…
speriamo di riuscire a renderle reali! Il mio obiettivo è quello di
incuriosire e, se possibile, di avvicinare anche i più giovani alla
storia del Cinema e del Teatro. Per questo anche con la mia
Associazione culturale Piazza Navona vorrei creare incontri, lezioni,
corsi, percorsi… ne sarei molto felice.
Perché
secondo te oggi è importante scrivere, raccontare con la scrittura?
È
fondamentale! Nel mio campo in particolar modo perché scrivere è un
po’ come ricordare… e ci sono vite, storie, racconti che vanno
resi noti, scoperti, diffusi, fatti conoscere. Ed è un lavoro di
scoperta continuo, meraviglioso, emozionante! E non c’è mai fine!
Cosa
consiglieresti ad un giovane che volesse cimentarsi come scrittore,
narratore? Quali i tre consigli più importanti che daresti?
I
miei consigli vengono dalla mia esperienza personale. Possono
sembrare banali ma sono sinceri: 1) Non permettete a nessuno di dirvi
che state perdendo tempo. Se credete in quello che fate non vi
fermate. 2) Scrivete e soprattutto cancellate e ricominciate a
scrivere. 3) Fate leva sulle vostre forze e su quello che sapete di
essere. Le porte in faccia arriveranno e saranno tante. Andate
avanti. Tentate. Senza scorciatoie.
Quali
sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti? A cosa
stai lavorando? Dove potranno seguirti i tuoi lettori e i tuoi fan?
Come
già accennato mi sto preparando per l’uscita del mio ultimo libro
dedicato a Lilla Brignone. Inoltre, sto organizzando le attività
della mia Associazione culturale Piazza Navona e, se posso, ne
approfitto per dire a chi desideri intessere una collaborazione di
non esitare a contattarmi. Infine, sto lavorando alla mia rubrica
online “Piazza Navona. Incontri d’arte di Chiara Ricci” dove
raccolgo interviste esclusive ai massimi esponenti della Cultura
internazione (da John Densmore a Steve Hackett passando per Giovanna
Marini e Steve Berry) e molto altro… E mi sto occupando del Premio
Letterario Nazionale “EquiLibri” – per opere edite – indetto
dalla mia Associazione culturale con il Patrocinio del Comune di Cava
de’ Tirreni e del Consiglio Regionale della Campania. A ogni modo
chiunque volesse avere maggiori informazioni in merito alle mie
attività e al Premio può visitare il mio sito www.riccichiara.com
e scrivere a silerik@libero.it
o a piazzanavona2018@libero.it
Un’ultima
domanda Chiara. Immaginiamo che sei stata inviata in una scuola media
superiore a tenere una conferenza sulla scrittura e sul cinema, alla
quale partecipano tutti gli alunni di quella scuola. Lo scopo è
quello di interessare questi adolescenti alla lettura, alla scrittura
e alla settima arte. Cosa diresti loro per appassionarli all’arte
della scrittura e del cinema? E quali le tre cose più importanti che
secondo te andrebbero dette?
In
passato mi è capitato di incontrare ragazzi per delle conferenze e
parlar loro della Storia del Cinema. Un’esperienza meravigliosa. La
prima cosa da fare è non imporsi ai ragazzi in cattedra, non aver la
pretesa di insegnar loro qualcosa. Ma dar loro un input, lasciar loro
tanti, diversi messaggi da codificare e fare in modo scoprano ci sia
molto altro oltre quello che vedono e sentono ogni giorno. Non vorrei
convincere i ragazzi dell’acquisto di un prodotto ma far vedere
loro dell’esistenza di un “prodotto” e che lo hanno proprio tra
le loro mani. Devono solo scegliere cosa farne, cosa voler vedere,
ascoltare e da lì partire per creare di nuovo. Magari questi ragazzi
faranno tutt’altro nella loro vita: medici, avvocati, impiegati,
artigiani, commessi, notai… ma niente e nessuno deve impedir loro
di conoscere e scoprire la meraviglia che può creare la loro
fantasia, il loro estro, il loro talento. Un giorno parlai a una
classe di Anna Magnani. Tutti ascoltavano. Silenzio. Qualcuno
distratto altri attenti. Al termine dell’incontro si avvicinarono
alcuni ragazzi chiedendomi di suggerir loro dei film dell’attrice
da vedere. Ecco: questo è il mio obiettivo!
Le
tre cose che andrebbero dette credo siano queste: ascoltate;
ascoltatevi; osservate tutto quello c’è perché tutto può
diventare una gran bella storia.
Chiara
Ricci
Andrea
Giostra
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