di Andrea Giostra - Gino de Dominicis (Ancona, 1°
aprile 1947 - Roma, 29 novembre 1998) è stato uno degli artisti italiani più
interessanti e geniali del periodo che va dalla fine degli anni Sessanta fino
alla fine degli anni Novanta. Le sue opere sono state riconosciute da tutti i
critici come “fuori” dal suo tempo e come arte che hanno saputo “anticipare” il
futuro.
Di fatto è stato un artista visionario sempre alla ricerca del senso
della vita, dell’immortalità fisica in antitesi alla pulsione di morte
freudiana sublimata artisticamente con l’immoralità e l’invisibile. Temi questi
trattati in modo quasi ossessivo in tutte le sue opera d’arte visiva, ma anche
con degli scritti quali le “Lettera
sull'immortalità del corpo” del 1966.
de Dominicis non ha mai
voluto essere classificato all’interno di una scuola artistica o di una
corrente culturale del suo tempo, preferendo l’assoluta indipendenza
speculativa e intellettuale delle sue creazioni. Le sue opere hanno sempre
innescato scalpore e critiche feroci soprattutto da parte di alcuni
intellettuali a lui contemporanei, tra questi anche Pier Paolo Pasolini, ma
soprattutto da parte di ortodossi e conservatori critici d’arte del suo tempo
dei quali pensava «…che hanno dei
complessi di inferiorità rispetto agli artisti. Sono sempre invidiosi. È una
cosa che è sempre successa. C’è poco da fare.» Intervista a Canale 5 del 1994-95.
L'installazione che sollevò grande scandalo, e che al contempo lo rese
ancora più famoso in tutto il mondo, fu quella presentata alla Biennale di
Venezia del 1972: un giovane affetto da sindrome di Down, seduto davanti a un
cubo invisibile, che la stampa di allora non ebbe scrupoli a chiamare “Il
Mongoloide”; una palla nell'attimo immediatamente prima il suo rimbalzo; una
pietra in attesa di generare un moto molecolare che avrebbe dovuto causare un
movimento spontaneo della materia.
Lo scandalo e le voci della critica benpensante di allora furono tali
che dovette intervenire la magistratura che sequestrò la mostra e denunciò Gino
de Dominicis per sottrazione di incapace, “Il Mongoloide” Paolo Rosa. Per
questo motivo de Dominicis subì un successivo processo che lo vide però assolto.
Le arti visive furono la forma espressiva che predilesse da sempre
delle quali, rispetto alle altre forme d’arte, pensava che… «Le arti visive, la pittura, la scultura,
l’architettura, sono linguaggi immobili, muti e materiali. Quindi il rapporto
degli altri linguaggi con questo è difficile perché sono linguaggi molto
diversi tra loro. Per cui c’è questa tendenza… non si capisce… si può capire il
motivo perché probabilmente vogliono un po’ sentirsi tutti artisti, pittori,
non si sa perché… L’arte visiva è vivente… l’oggetto d’arte visiva. Per cui
paradossalmente non avrebbe bisogno neanche di essere visto. Mentre gli altri
linguaggi devono essere visti, o sentiti, o ascoltati per esistere. Un’altra
cosa nell’arte visiva caratteristica è che non si rivolge in particolare a
nessuno spettatore, non c’è una gerarchia di spettatori, ma sono tutti alla
stessa distanza dall’opera. Non ci sono gli esperti. Un giudizio di un bambino
vale quello di un cosiddetto esperto, per l’artista. Non c’è nessun
particolare… Anche perché non esistono gli esperti d’arte. Gli unici esperti,
veramente, sono gli artisti. Gli altri percepiscono l’arte, ma non posso essere
degli esperti altrimenti la farebbero, la saprebbero fare.» (ibidem).
E poi, a proposito di creazione e creatività, a proposito di esperti
d’arte e critici d’arte, sosteneva la tesi del grande equivoco che era stato
creato ad arte dai “non-artisti” che volevano sentirsi “artisti”… ovvero… «Poi c’è l’equivoco tra creazione e
creatività. L’artista è un creatore. E non è un creativo. Ci son persone
creative, simpaticissime anche, ma non è la stessa cosa. Comunque, questa cosa
qui dei creativi e degli artisti, nasce nella fine egli anni Sessanta dove
iniziano i galleristi ad essere creativi, poi arrivano i critici creativi, poi
arrivano i direttori dei musei creativi… E quindi è una escalation che poi crea
questi equivoci delle Biennali di Venezia che vengono fatte come se fosse
un’opera del direttore. Lui si sente artista e fa la sua mostra a tema,
invitando gli artisti a illustrare con le loro opere il suo tema, la sua
problematica. Questo mi sembra pazzesco.» (ibidem).
de Dominicis, attraverso la sua produzione artistica, scevra da
amplificazione mediatica e pubblicitaria (che ha sempre inesorabilmente
rifiutato), riesce a ritagliarsi una posizione culturale ed artistica di grande
prestigio ma al contempo di inscrutabile e carismatico mistero che lo rendono
uno dei personaggi dell’arte della seconda metà del secolo scorso più
accattivanti e richiesti dalle più prestigiose ed importanti gallerie del
mondo. La capacità evocativa e di suggestione speculativa e filosofica delle
sue opere, rimane intatta sino ai nostri tempi. E questa è certamente una
qualità proiettiva che solo i grandi artisti hanno saputo raggiungere con la
loro arte, tramandandola ai loro posteri.
Ebbene, tutto questo potrà essere vissuto fino al 26 agosto 2018 nella
mostra “GDD – GENIO DELLA DIMENSIONE” DI GINO DE DOMINICIS curata da Vittori
Sgarbi, e allestita a Palermo presso il Polo Museale regionale d’Arte Moderna e
Contemporanea diretto da Valeria Patrizia Li Vigni.
Gino de Dominicis | “GDD –
GENIO DELLA DIMENSIONE” DI GINO DE DOMINICIS
Inaugurazione: giovedì 13 giugno
2018, ore 19:00
Visitabile fino al 26 agosto
2018, ore 19:30
martedì, mercoledì, domenica | 10.00 – 19.30
giovedì, venerdì, sabato | 10.00 – 23.30
lunedì chiuso, eccetto i festivi.
Palazzo Belmonte Riso | Polo
Museale regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo
Corso Vittorio Emanuele n. 365 – 90134 Palermo
+39 091 587 717
Gino De Dominicis
Andrea Giostra
https://andreagiostrafilm.blogspot.it
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