Dopo la
trasferta nella Capitale al Teatro Kopò, Like con Stefano Santomauro che ne è
anche autore insieme a Francesco Niccolini per la regia di Daniela Morozzi.
Coproduzione VerbaManent/Pilar Ternera, si sposterà nella città natia del
comico, Livorno, il 17/18 novembre al Nuovo Teatro delle Commedie, per poi
spostarsi quasi in tutta Italia.
I Social
hanno sostituito la Piazza e possiamo dire che Stefano Santomauro, ha
sostituito il cantastorie perché appunto come si legge sulla sua Pagina FB “Racconto
storie. Chi le ascolta ride. A me sta bene”. Noi aggiungiamo che non solo
racconta bene le storie e la gente ride ma se si sofferma su cosa sta ridendo,
dopo la risata arriva la riflessione. Stefano Santomauro è straordinario come
sempre e riesce a coinvolgere ed a travolgere lo spettatore con offerte, giga, password,
sottolineando le nostre poche capacità di comunicazione, in un mondo sempre più
connesso e che si evolve in continuazione, mettendoci in grande difficoltà.
Cos’è
Like?
È un monologo interessantissimo dove insieme a
Francesco Niccolini, abbiamo analizzato com’è cambiata la comunicazione ai
tempi dei Social. Eravamo convinti di parlare soltanto dello smartphone e di
come questo piccolo strumento abbia modificato la vita di tutti i giorni ma ci siamo
resi conti che lo scenario era molto più ampio. Ne è venuto fuori uno
spettacolo straordinario. Con Roma siamo alla quarta replica e dovunque
andiamo, lo spettacolo fa veramente molto ridere. Fa ridere di cose
incredibilmente vere, di scenari quasi apocalittici. Nello spettacolo abbiamo
affrontato gli studi della Columbus University che affermano che noi arriviamo
a toccare il cellulare 400 volte al giorno. Fino al 2015 erano 150 volte al
giorno. Cresce in maniera esponenziale. Il fulcro dello spettacolo è che
viviamo in un mondo sempre più connesso, in realtà poi il finale è molto più
comune e solitario. È vero molto connessi ma anche molto soli. Lo spettacolo è
contagioso e diventa culturale. Ti fa ridere ma quando esci hai la radiografia
di quella che è la realtà. È la fascia tra gli undici e dodici anni che tocca
il cellulare 400 volte al giorno per un totale di sei ore. Si parla di Sindrome
di Capitan Uncino perché di una mano si usa solo il pollice.
A parte il gettarci nella solitudine,
quali sono gli altri effetti di questa nuova forma di comunicazione?
Fino a
venti anni fa sapevamo ciò che accadeva nel raggio di occhio ed udito. Oggi
sappiamo cosa succede oltreoceano ma non sappiamo se muore una nel nostro
palazzo e lo scopriamo dopo quindici giorni. È incredibile come le distanze si
sono accorciate ma ciò che ci è vicino è diventato immediatamente lontano. È
un’espressione algebrica che è completamente capovolta, come anche la difesa
dei nostri dati. C’è un capitolo sulle password che è molto divertente.
Dovunque siamo abbiamo bisogno di quest’armatura incredibile, abbiamo venti password a testa per
qualsiasi cosa e ci condiziona la vita in tutti i sensi. Un altro tema è il
Porno e quanto le immagini hot o i video ti sommergono, magari sei a tavola con
gli amici o a cena ed arriva un video porno. Le cose che abbiamo scritto, sono
completamente reali. È uno spettacolo in continua evoluzione. Ci sono alcuni
temi che sono esplosi, altri cambiano e quando avviene, immediatamente
modifichiamo ciò che abbiamo scritto.
Quanto ha rivoluzionato la nostra vita,
l’avvento dei Social?
Non è tutto sbagliato, ad esempi noi attori con il
lavoro siamo facilitati parecchio. Rispetto a prima, raggiungiamo una Platea
molto più grande. Il problema nasce quando il tempo che passiamo sui Social
diventa troppo. Una settimana fa, ho visto il video di un gondoliere che a
Venezia, trasportava venti giapponesi e tutti erano piegati sullo smartphone e
nessuno guardava le bellezze che erano intorno. C’è un dissociamento incredibile
e questa è una cosa assurda. Non è sbagliato usarlo ma è sbagliato se lo usi
quando non dovresti. Il comun
denominatore è essere connessi 24 h su 24. Molti si svegliano la notte per
controllare se sono arrivate le notifiche. Siamo riusciti a dare allo
spettacolo un taglio culturale. È un monologo educativo- comico. Nasce come
esperimento ma abbiamo deciso dopo questo, di farne altri due per trattare
altri temi.
Quanto è cambiato il rapporto di coppia
con l’avvento dello smartphone?
È trattato nell’ultimo capitolo di Like. I
Social hanno sostituito quella che una volta era la piazza, dove si condivideva
uno sguardo, una litigata, si commentava chi passava. Oggi non c’è più e tutto
avviene sui social ma non è la stessa cosa perché lì gli incontri hanno milioni
di sfumature e qualcosa ti sfugge. Porto sempre l’esempio di un messaggio su
whatsapp, un ti amo scritto è diverso da quello detto a voce. Il Social non può
essere la risposta a tutto. Spero che fra dieci anni ce ne renderemo conto, oggi
siamo tutti presi.
Lo spettacolo che pubblico ha?
È un
pubblico misto, a Roma c’è stato un bambino di dieci anni, il giorno del
debutto a Firenze, c’era una bambina di undici. È fantastico, riesco a farli
ridere e anche a farli riflettere su delle cose sulle quali loro non hanno
avuto modo di soffermarsi. Poi ci sono le Coppie che vengono da me a chiedere
consigli. Ho la fortuna di avere una Laurea in Scienze della Formazione ed ho
trovato la chiave di volta su quali spettacoli voglio fare, soprattutto quelli
che sfociano nel sociale, facendo ridere che è ciò che mi riesce ma facendo
anche pensare. Faccio ridere il pubblico per un’ora di fila, però poi si alza e
pensa a quello che ho detto. Dò delle informazioni però poi dissacro tutto,
sono molto cinico, cattivo su molti punti perché lo diventiamo quando siamo
nevrotici. Era il nostro obiettivo ma non pensavamo venisse così bene.
Elisabetta
Ruffolo (nella foto sotto con Stefano Santomauro)