Nell’ambito
di “Nel nome del popolo italiano”, mercoledì
6 settembre in seconda serata su
Rai1, andrà in onda, Marco Biagi. Prodotto
da Gloria Giorgianni. Regia di Gianfranco Giagni.
L’intento
del regista era quello di capire cosa c’era dietro il lavoro del Professore
Marco Biagi, le sue teorie e quanto fossero state applicate. La ricostruzione è
stata fatta attraverso un percorso nella città di Bologna ed attraverso
testimoni che lo avevano conosciuto realmente. Moltissimo materiale è stato
fornito dalla moglie.
Marco Biagi era un docente di diritto del Lavoro che nel 2001 divenne
consulente di Roberto Maroni, allora Ministro del Welfare. Gli era stata
affidata l’elaborazione della riforma del mercato del lavoro che rimase
incompiuta ma che porta il suo nome.
Nonostante ripetute minacce e l’assegnazione di una scorta che gli fu in
seguito tolta, la sera del 19 marzo 2002 mentre tornava in bicicletta dalla
stazione ferroviaria di Bologna fu ucciso sotto casa con sei colpi d’ama da
fuoco dalle Nuove Brigate Rosse.
Molte
delle sue idee anticipavano quello che è successo oggi. Biagi era quasi un
visionario intimista. Un Professore “duro ed antipatico” ma amabile nella vita
quotidiana, nella famiglia e soprattutto in quella che è stata la vita privata
di questo personaggio.
È Massimo
Poggio a raccontare Marco Biagi, attraverso gli occhi e le testimonianze di chi
lo ha conosciuto veramente. Ha trovato risposte anche dentro di sé, nel suo passato
da metalmeccanico, in cui era ancora possibile andare in pensione magari
facendo lo stesso lavoro di sempre. Oggi la pensione non è più immaginabile,
sono cambiate delle cose ed anche il mondo. Ha cercato di capire come fosse
allora il mondo del lavoro, rispetto a quello di oggi che è difficile,
complicato. Biagi era un visionario, aveva previsto tutto. Voleva fortemente
una grande mobilità per stare al passo con il mondo del lavoro, supportata da
una società che permettesse alle persone di vivere in quel modo. Purtroppo il
supporto non si è mai avuto.
Fattitaliani.it lo ha intervistato.
Niente
di più attuale, visto quello che sta succedendo nel mondo del lavoro? Esatto, è un personaggio ancora molto attuale. È stato un lavoro un
po’ per cercare di raccontare che cosa effettivamente abbia fatto questo
Signore che viene sempre identificato con il nome di una Legge che in realtà
non rispecchia nemmeno fino in fondo ciò che era il suo pensiero. Dopo la sua morte, l’hanno portata avanti
altri. Vero, ha fatto anche comodo
lasciare il nome di una persona che non può più replicare nulla. Oltre alla
parte tecnica che non è un contesto semplicissimo da spiegare e da capire,
abbiamo anche cercato di raccontare e ricercare il lato umano di questa
persona, cioè chi era al di là di quello che faceva con i figli, con la moglie,
con gli amici. Devo dire che è venuto fuori un bellissimo ritratto di questa
persona che purtroppo non c’è più e viene fuori dagli occhi delle persone che
lo hanno conosciuto che lo hanno incontrato o anche semplicemente hanno
studiato sulle sue carte, sui suoi lavori, sui suoi studi.
Tra i quattro personaggi che “Nel nome
del popolo italiano” racconterà, è senz’altro quello che i giovani ricordano di
più visto che è stato ucciso nel 2002. E’ un po’ identificato con la legge
che porta il suo nome ed identificato come qualcosa di negativo. Ciò che ho
scoperto e che non sapevo è che lui auspicava e riteneva necessario un mondo
del lavoro assolutamente flessibile e molto mobile. In realtà doveva essere
supportato da una società che mettesse in grado le persone di vivere in questo
modo. Quello che manca e che è mancato ed è il motivo per cui forse c’è del
risentimento un po’ a priori è che è rimasta solo la mobilità e che il sostegno
ad essa non c’è mai stato.
Il ciclo dei docu-film è “In nome del
popolo italiano”, siamo ancora Popolo o cosa? Mi auguro di sì, in un
momento storico difficile, molto complicato, molto delicato, ci sono molte
tensioni, molti stravolgimenti. E’ un momento in cui come Popolo dobbiamo
imparare a registrarci a questo nuovo momento storico.
Cos’hai portato di tuo nel personaggio?
Tutto me stesso. Quando ero molto giovane, facevo l’operaio metalmeccanico, era
la fine degli anni 80 quando era ancora possibile immaginarsi dopo anni ed anni
di lavoro, di andare in pensione. Con un posto fisso e magari con lo stesso
lavoro. Che cosa è cambiato da allora ad oggi? Come è cambiata la percezione di
chi quel periodo non l’ha mai vissuto?
Elisabetta Ruffolo