In occasione della Giornata della Memoria un'orchestra italiana, la Pavel Zalud, fa rivivere in concerto 13 strumenti utilizzati dagli ebrei prigionieri al tempo della Shoah nel ghetto di Terezin, vicino Praga. Qui si componeva e si eseguiva musica non solo perché c'erano professionisti, ma anche per compiacere la finzione propagandistica del nazismo. Lo racconta lo scrittore ed ebraista, Matteo Corradini, che ha rinvenuto gli strumenti della fabbrica Pavel Zalud e ha fondato l'Orchestra che ne porta il nome. L'Intervista è di Gabriella Ceraso:
R. – La fabbrica si trovava già a Terezin, cittadina fortificata, che era stata scelta dai nazisti proprio per questo motivo, per essere trasformata in un ghetto e tecnicamente in un campo di transito da dove partivano i treni verso i campi di sterminio veri e propri. I nazisti in un primo momento non requisiscono l’intero ghetto, ma soltanto una parte. La fabbrica Zalud rimane al di fuori. A un certo punto, i nazisti decidono di trasformare il ghetto in qualcos’altro, in modo che tutto il ghetto sembrasse più bello di quanto non fosse. In questa operazione di abbellimento – agghiacciante – la musica aveva un ruolo fondamentale: gli ebrei furono costretti a suonare. E quali strumenti suonarono? Suonarono, anche, gli strumenti che i nazisti avevano sequestrato alla fabbrica di Pavel Zalud.
D. – Il primo strumento che lei ha rinvenuto è un clarinetto e ha pensato che “quel” clarinetto dovesse tornare a vivere facendo risentire la propria voce. Perché?
R. – Io credo che gli oggetti "parlino", in qualche modo. Dobbiamo essere pronti ad ascoltare. Ahimé, per motivi anagrafici tanti testimoni ci stanno lasciando e ormai pochissime persone possono raccontare quello che è accaduto perché lo hanno visto. Allora, gli oggetti ci raccontano una parte del passato e gli strumenti musicali sono oggetti naturalmente particolari e unici, che non possono essere messi in una teca, anche se forse lo meriterebbero. Però, il loro vero ruolo è quello di suonare. Suonare le musiche del ghetto con quegli strumenti significa in qualche modo riprodurre la stessa musica con le stesse sonorità, oggi. E questo è un esperimento per certi versi affascinante, per altri commovente.
D. – Anche nel repertorio che proponete in concerto c’è una storia particolare, da ricordare, vero?
R. – Il repertorio è tutto a firma di Ilse Weber, un’ebrea boema di lingua tedesca che era stata deportata a Terezin insieme al figlio più piccolo e al marito. Erano stati divisi: lei finisce in infermeria, perché aveva qualche conoscenza nel settore, e si mette a curare i bambini. Lei però sapeva anche suonare la chitarra e quindi per questi bambini compose musiche. Se ne sono salvate 13: otto di queste sono state trasformate da musiche per chitarra e voce a musiche per orchestra. Sono musiche struggenti, perché spesso raccontano una mezza verità, proprio perché dovevano essere cantate ai bambini. Sono, a volte, musiche di speranza, quando certamente la speranza in Ilse Weber stava sicuramente scemando.
D. – I concerti in programma sono il 30 e il 31 gennaio, a Piacenza e ad Arezzo. Avete in programma di ampliare l’orchestra e dunque ci sono speranze di trovare altri strumenti?
R. – Le speranze di trovare altri strumenti sono molto buone. Per le altre date, ci stiamo muovendo. Abbiamo ricevuto molto interessamento. Di sicuro, l’idea è di ampliare anche il repertorio: un po’ per volta, vorremmo suonare il più possibile tanta musica proveniente proprio dal ghetto di Terezin. Gabriella Ceraso, Radio Vaticana, Radiogiornale del 29 gennaio 2016.