Brit rock all'ennesima potenza per i The D, il giovane quartetto campano che debutta con United States Of Mind, undici irresistibili pezzi tra elettrizzanti scariche rock e melodie a presa rapida.
Quattro facce, quattro giocatori per quattro pseudonimi. The Dabbler, aspirante doppiatore di cartoni animati destinato al microfono, chitarra e synth; The Danger, il cui pseudonimo è una garanzia, e le sue chitarre lo sanno bene; The Damned, il bassista che gode del principio di indeterminazione di Heisenberg: non saprete mai dov'è in un momento preciso, avrete solo la certezza che esiste; The Dario, polistrumentista reduce da diversi progetti e relegato, ingiustamente, dietro una batteria. Nati ad Avellino nel 2010 con un film e una lettera in mente, ovvero la D di Jack Black in Tenacius D And The Pick Of Destiny, i The D debuttano dal vivo nel 2011, nel 2012 pubblicano il primo singolo The Book of Guinness, nel 2013 il primo EP Alf (distr. (R)esisto). Il 25 novembre 2015 arriva l’atteso album d’esordio United States Of Mind, distribuito da Audioglobe, presente sulle principali piattaforme digitali, con streaming in anteprima su Rockerilla.
USM nasce grazie al sostegno dei raisers in una fruttuosa campagna di crowdfunding. Il frizzante brit rock di USM ha trovato forma durante un lungo ritiro in campagna insieme al produttore Federico Carillo.
United
States of Mind,
primo album dei The D: un disco nato “dal basso”, visto che avete
avuto il sostegno di numerosi raisers di MusicRaiser.
Sì,
l’apporto dei risers è stato fondamentale, sia da un punto di
vista pratico (non staremo qui a parlare di quanto sia costoso
produrre un disco), sia da un punto di vista affettivo. Rendersi
conto di quante persone avessero voglia di contribuire alla nascita
ed alla crescita di questo progetto è stata una spinta fortissima.
Nel
2013 pubblicavate Alf:
che differenze ci sono tra il primo Ep e United
States of Mind?
Beh,
Alf
era nato quasi come un gioco, durante l’estate, c’erano dei brani
pronti e già rodati dal vivo ed il tempo per provare a buttarli su
disco. Il lavoro del nostro amico Andrea Fiordalisi (il tizio
saltellante sulla copertina) alla consolle ha fatto il resto, cinque
tracce che delineavano la sagoma della band, sia da un punto di vista
sonoro che di scrittura. United
States of Mind
invece ci ha letteralmente impegnati anima e corpo per più di un
anno. C’erano dei brani già pronti e delle idee che hanno
assorbito tempo per essere strutturate, ci siamo allontanati dalla
scena live per lavorare esclusivamente alla realizzazione di quello
che per noi è il primo album di lunga durata.
Le
differenze sono tante, diverso è l’approccio alla scrittura ed
all’arrangiamento di un LP rispetto ad un EP, c’è stato bisogno
di lavorare alla coerenza e completezza della tracklist,
all’omogeneizzazione di brani apparentemente molto distanti tra
loro. È stato come costruire il Millennium Falcon con le Lego,
abbiamo dovuto assemblare “il più veloce pezzo di ferraglia di
tutta la galassia” mattoncino per mattoncino.
I pezzi di USM sono scritti dal gruppo o c’è qualche penna prevalente nei The D?
Le linee musicali, per gran parte dell’album, vengono dalle mani e dal cuore di Dario, poi vengono elaborate dalla band. Ognuno aggiunge tracce del proprio DNA al brano fino a renderlo un brano di The D. I testi li scrive Giuseppe per l’esigenza di adattare la ritmica alla musica (e viceversa) e poi buttare tutto in un microfono. Scrive per assecondare le proprie corde vocali e la necessità di spostare pensieri e ricordi dal cervello alla carta e, successivamente, su disco. È diverso il rapporto che riesco ad avere con chi ho di fronte nei live, se quello che canto proviene dalla mia testa. Il rapporto diventa più confidenziale, più intimo.
Siete
stati molto attenti alla lavorazione in studio, come testimoniato
dalle polaroid diffuse via Facebook nei giorni precedenti all’uscita
del disco. Con il produttore vi siete anche tolti qualche sfizio
sonoro…
Per
noi è stata un’esplorazione continua, abbiamo sperimentato tanto,
abbiamo registrato una traccia di chitarra attraverso un mattone,
reso partecipe un albero delle sessioni di incisione della batteria,
utilizzato un giubbotto come shaker e giocato con l’olofonia.
Lavorare con il producer Federico Carillo è stato estremamente
interessante e stimolante, molti brani sono rinati grazie a questa
collaborazione. L’ingresso del synth ci ha aperto mille altre
strade sonore, arricchendo e completando il sound della band che
resta, comunque, fedele a quanto già espresso in Alf.
Non
vi risparmiate quando si tratta di dichiarare il vostro amore per il
rock britannico: quali sono i nomi dei gruppi o degli artisti grazie
ai quali sono nati i The D?
Innanzitutto
Beatles e Rolling Stones. E non chiedeteci da che parte stiamo,
sarebbe come chiedere ad un bambino se vuole più bene a mamma o a
papà. Altre band che hanno avuto un impatto forte sulla nostra
crescita sono gli Arctic Monkeys, the Fratellis, Franz Ferdinand,
Oasis, Kasabian, Libertines e, volendo uscire dalla Gran Bretagna,
gli Strokes, the Killers, gli Interpol. Ma anche band molto lontane
dal nostro sound come i Led Zeppelin, gli Who, i Pixies, i Sonics, i
Queens of the Stone Age, i Guns ‘n’ Roses. Insomma, siamo in
quattro, e ognuno di noi vi terrebbe almeno 24 ore a parlare delle
proprie influenze musicali e dei propri gusti. God Save the Queen!
La
scelta dell’inglese è dovuta all’adorazione per quel tipo di
suono o c’è una motivazione “ideologica”?
Più
che ideologica la scelta è stata stilistica, miravamo ad un sound
abbastanza distante canoni della tipica band indipendente italiana,
di conseguenza la scelta della lingua è stata naturale. Giuseppe,
poi, afferma di non saper cantare in italiano. Abbiamo semplicemente
fatto due più due.
Quali
sono i temi salienti delle vostre canzoni?
Bella
domanda. Ogni nostro brano è narrativa, racconto, esperienza. Nessun
brano è nato per necessità, tutto nasce per desiderio. Ogni brano
può essere ricondotto a momenti di vita, adeguatamente romanzati e
“universalizzati”. Un momento per tutti i momenti. Lunga vita
alla narrativa, non è detto che un racconto non possa parlare di
sentimenti universali. C’è l’amore, c’è l’odio, le
delusioni, le disillusioni, le prospettive, i desideri, i sogni più
reconditi.
Da
Great Britain all’Italia: vi riconoscete nel panorama rock
indipendente italiano o vi considerate altra cosa?
Il
panorama indipendente italiano è florido, molto florido, e chi dice
il contrario è perché non ha il polso della situazione. La stessa
Avellino, che può apparire come una realtà infinitamente piccola,
riesce a tirare fuori ottimi prodotti che potrebbero conquistare
tranquillamente sbocchi sul mercato europeo. Chiunque viva il momento
attuale del nostro Paese, per forza di cose, sarà accomunato da
determinati sentimenti e intenti. Ci saranno sicuramente mille modi
diversi di comunicare, ma crediamo che, in ogni caso, il rock
indipendente italiano abbia un forte filo conduttore comune.
Torniamo
alla produzione di USM, avvenuta con una sorta di “azionariato
popolare” via MusicRaiser. Pensate che il crowdfunding sia
inflazionato o è ancora uno strumento utile per chi opera in regime
indipendente?
A
noi è stato molto utile. La nostra esperienza ci ha mostrato che non
è affatto inflazionato, anzi la nostra impressione è che sia
sottovalutato e spesso frainteso. Non possiamo nascondere che non è
stato semplice dare una risposta a tutti quelli che ci hanno chiesto
il perché di questa scelta. L’impressione è che si sia ancora
molto legati al concetto di “acquisto” e di “merce”. Non è
stato semplice spiegare che non si stava chiedendo di “comprare”
un disco ma di realizzarlo insieme. Alla fine questa idea è passata
e, fortunatamente, abbiamo ricevuto una risposta al di fuori delle
nostre aspettative.
Dall’Italia
all’Irpinia: alcuni di voi hanno avuto un’esperienza interessante
nel collettivo Mic.Rec., che a suo modo rappresentò un modo di fare
e gestire musica nuovo nell’ambiente locale e regionale. Com’è
il polso della situazione musicale irpina?
La
condivisione della musica, ad ogni livello, è cambiata tanto. Sono
cambiati tanto i canali di diffusione ed i metodi. Oggi come oggi
appare obsoleto immaginare un fenomeno musicale “regionalizzato”.
La musica viaggia più velocemente di qualsiasi altra forma d’arte
ormai. Dopo aver ascoltato un nostro brano tratto da Alf,
trasmesso da una radio di Los Angeles, possiamo dire che ormai sia
difficile confinare geograficamente un progetto musicale. Avellino è
viva e vegeta, e sfidiamo chiunque a dire il contrario. Certo, non ci
saranno tantissimi club in cui ascoltare musica live, ma ogni anno
fioriscono nuovi progetti e vengono fuori nuovi dischi. Basti pensare
ad i nostri amici Red Shelter, Gli Umani, the Exploders Duo. Gente
che sa cosa fare con un palco e con un pubblico.
Il
12 dicembre salirete sul palco del Black House Blues per presentare
il disco: che differenze ci sono tra i The D in studio e dal vivo?
Le
differenze sono tante. In primis il numero dei componenti. In studio
siamo stati in 4, dal vivo ci sono loro. Il pubblico, il nostro
pubblico, la curva D, i cori, i coriandoli, il pogo, il sudore, la
tachicardia, le sbavature, le urla, il rock & roll. L’approccio
è diverso. In studio devi dare tutto te stesso per ottenere un
prodotto che enfatizzi al meglio la tua identità di band, il tuo
suono, le tue idee. Dal vivo c’è il faccia a faccia, ci si guarda,
ci si sorride, si suda insieme e ci si diverte. In studio si pomicia
con educazione, dal vivo si fa l’amore.
The Dabbler (aka Giuseppe Matarazzo) - vocals, guitars, synth
The Danger (aka Ciriaco Aufiero) – guitars, backing vocals
The Damned (aka Vincenzo Golia D'Augè) – bass, backing vocals
The Dario (aka Dario Botta) – drums, acoustic guitar, backing vocals
USM Tour 2015-16:
25 novembre 2015: presentazione on air Radio Città BN
12 dicembre 2015: Black House Blues - Avellino
15 gennaio 2016: Joker 2.0 - Polla (SA)
(altre date in arrivo)
Here Come The D:
The D Soundcloud:
Synpress44 Ufficio stampa: