Una settimana è
passata, ma non si spegne ancora l’emozione d’una giornata
memorabile vissuta dall’Università di Teramo, dalla città e
dall’intera regione, in occasione del conferimento all’on. Elio
Di Rupo,
già Primo Ministro del Belgio ed ora sindaco di Mons, della Laurea
honoris causa in Scienze Politiche internazionali e delle
amministrazioni.
Un’emozione palpabile, nell’Aula magna
dell’ateneo, piena in ogni ordine di posti, sin dai primi momenti
dell’impeccabile cerimonia del 5 novembre 2015. Con un lunghissimo
applauso quando, dopo il rituale corteo accademico, Elio
Di Rupo
vi ha fatto ingresso da ultimo, accompagnato dal Preside della
Facoltà di Scienze Politiche Enrico
Del Colle.
La cerimonia, dopo una mirabile esecuzione dell’inno nazionale dei
Cameristi dell’Orchestra Sinfonica Abruzzese diretti da Ettore
Pellegrino, è stata aperta dal Rettore Luciano
D’Amico
con uno splendido intervento nel quale, tra l’altro, ha richiamato
ad esempio per i giovani l’esperienza di vita di Elio di Rupo. Ha
poi visto esporre dal Preside Enrico
Del Colle
la Laudatio dell’insignito e successivamente ha registrato gli
interventi del Sottosegretario all’Istruzione, Università e
Ricerca, Davide
Faraone,
del Presidente della Regione Abruzzo, Luciano
D’Alfonso,
del Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura,
Giovanni
Legnini.
E’ quindi seguita la Lectio doctoralis dell’on. Elio
Di Rupo.
Un’accurata e magistrale disamina dei problemi dell’Unione
Europea,
l’analisi delle cause e le terapie proposte per dare all’Europa
una prospettiva per il futuro, per poter meglio rispondere alle sfide
del secolo e alle speranze dei cittadini. Una Lectio di grande
respiro, pronunciata da una Personalità politica davvero prestigiosa
che rende onore all’Abruzzo e all’Italia, come figlio
dell’emigrazione abruzzese in Belgio. La cerimonia ha conosciuto la
massima intensità con la proclamazione e il conferimento, all’on.
Elio
Di Rupo
della Laurea honoris causa dalle mani del Rettore Luciano
D’Amico.
Nella serata precedente altra cerimonia d’accoglienza dell’on.
Elio Di Rupo nell’Aula consiliare del Comune, in un evento promosso
ed organizzato dall’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati (ANFE)
con la collaborazione della Municipalità. Clima intimo e di grande
cordialità, nel salutare l’arrivo nella casa comunale dell’on.
Di Rupo. Gli hanno porto il saluto il sindaco di Teramo, Maurizio
Brucchi,
il presidente dell’ANFE Abruzzo, Goffredo
Palmerini,
il Rettore dell’Università degli Studi, Luciano
D’Amico,
il direttore nazionale ANFE, Gaetano
Calà,
il quale ha sottolineato i rapporti d’amicizia dell’associazione
con l’uomo politico e di governo. Ha quindi consegnato all’on. Di
Rupo la scultura del 65° anniversario dell’ANFE, che egli non ebbe
possibilità di ricevere nel 2012 a Roma, presso la Camera dei
Deputati, nel corso della solenne celebrazione, impedito dagli
impegni di Primo Ministro del Belgio. Elio
Di Rupo,
con un toccante intervento che ha richiamato l’esperienza familiare
di emigrati abruzzesi e il suo orgoglio d’esserne figlio, ha
ringraziato per l’onore che l’ANFE e le istituzioni abruzzesi gli
hanno reso. Gaetano
Calà
ha quindi presentato, prima della proiezione, il documentario “Pane
e pregiudizio”
di Giovanna
Taviani,
un film sulla storia dell’emigrazione italiana, sulla vita
dell’ANFE e della sua fondatrice, la parlamentare costituente Maria
Federici
(L’Aquila, 19 settembre 1899 – L’Aquila, 28 luglio 1984), una
delle donne più significative dell’Italia democratica e
repubblicana che contribuì, nella Commissione dei 75, a scrivere la
bozza della nostra Costituzione poi approvata dall’Assemblea
costituente. Qui di seguito si propone il testo completo della Lectio
doctoralis dell’on. Elio Di Rupo, un intervento di straordinario
spessore politico.
Goffredo
Palmerini
(foto
e video della cerimonia di conferimento Laurea honoris causa all’on.
Elio Di Rupo – Università di Teramo)
***
Riconsiderare
l'avvenire dell'Unione Europea
Teramo,
5 novembre 2015
Cari
Studenti,
Magnifico
Rettore Luciano D’AMICO
Preside
della Facoltà di Scienze Politiche Enrico DEL COLLE
Vice-Presidente
del Consiglio Superiore della Magistratura Giovanni LEGNINI
Sottosegretario
di Stato all’Istruzione, all’Università e alla Ricerca Davide
FARAONE
Presidente
della Regione Abruzzo Luciano D’ALFONSO.
Cari
amici,
desidero
prima di tutto ringraziarvi per l'onore che mi fate oggi. Ringraziare
in particolare il Rettore Luciano D’Amico e il Rettore emerito
Mauro Mattioli che sono venuti in Belgio per invitarmi. Desidero
anche ringraziare tutta la comunità universitaria di Teramo di
valenza internazionale. Il vostro gesto riconosce il percorso di un
figlio di emigrati abruzzesi italiani in Belgio. In Italia le
condizioni sociali della mia famiglia erano molto modeste: povere,
per essere sincero. Mio padre è morto quando avevo un anno. Eppure,
grazie al sostegno di mia madre e del sistema sociale belga, ho
potuto studiare e laurearmi. Ho avuto la possibilità di svolgere un
ruolo significativo in Belgio, ossia quello di Primo Ministro. Il
riconoscimento di oggi lo dedico a mia madre e a tutti gli emigranti
italiani nel mondo.
Gentili
Signore e Signori,
ho
vissuto l'Europa dall'interno. Ho partecipato a oltre venti vertici
europei durante la crisi economica e finanziaria. Oggi vi presento
alcuni aspetti, frutto di mie riflessioni e speranze, sull'Unione
europea e sulla volontà di costruire un'Europa solidale e giusta. E’
chiaro che non riuscirò a poter parlare di tutto. Pertanto, a volte
risulterò troppo diretto. L'Unione europea non è mai stata così
tanto messa alla prova:
- la crisi finanziaria;
- la crisi dei migranti;
- i conflitti alle frontiere;
- un paese, la Gran Bretagna, che minaccia di uscire dall'Unione;
- altri, come la Grecia, che lottano per rimanerne membri;
- cittadini che mettono in dubbio il progetto europeo e non riescono più a identificarsi con esso.
Dalla
sua creazione, l'Europa ha vissuto molte crisi. Oggi, tuttavia, ci
troviamo di fronte a un fenomeno più preoccupante. Il futuro
dell'Unione europea è, a
tutti gli effetti, in
discussione. Eppure, nel nostro mondo globalizzato, un'Europa forte e
unita è assolutamente essenziale.
Per
i belgi, per gli italiani e per tutti gli europei.
La
crisi finanziaria ha generato una crisi economica e sociale senza
precedenti dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ma dobbiamo riconoscere
che l'Unione europea non è stata all'altezza degli avvenimenti.
Peggio ancora ha contribuito, attraverso scelte sbagliate, ad
aggravarne ulteriormente gli effetti. L'Unione ha attribuito la crisi
al debito pubblico degli Stati membri, piuttosto che alle istituzioni
finanziarie. La maggioranza politica, nell'ambito delle istituzioni
europee, ha potuto imporre la sua visione dell'economia. Le
istituzioni europee hanno adottato misure drastiche. Ogni Stato
membro della zona euro è stato vincolato a rispettarle.
L'Europa
ha imposto l'austerità. Con quali risultati? L'economista francese
Thomas Piketty ha dichiarato di recente:
«Se
guardiamo al 2008, il debito pubblico in Europa non era superiore a
quello degli Stati Uniti, né a quello giapponese. Ma se consideriamo
la situazione del 2015, il PIL degli Stati Uniti risulta ormai in
ripresa. Dal canto suo l'Europa, e in particolare la zona euro, non
ha ancora recuperato e il suo PIL è attestato a livello di quasi
dieci anni fa».
La
politica di austerità europea ha anche condotto all'instabilità
politica in molti paesi e a una crescente disuguaglianza. La crisi di
fiducia nei confronti dell'Unione europea non è mai stata così
pesante. E, a ogni elezione, populismi ed euroscetticismo guadagnano
terreno. L’esempio della Polonia è drammatico!
L'Europa
nasce originariamente soprattutto come progetto di pace. Ma è stata
costruita principalmente su una base di tipo economico. Al momento
della sua fondazione, le prospettive di crescita economica in qualche
modo garantivano prosperità, pace e democrazia. Dal 1957 il contesto
è cambiato radicalmente con le crisi economiche e sociali
successive. Oggi gli europei devono purtroppo fare i conti con una
crescita economica nulla o modesta. Nella zona euro l'Eurostat ha
recentemente previsto una crescita di appena 1,5% del PIL per l'anno
in corso.
Nonostante
crisi e cambiamenti, la natura dell'Unione europea è prima di tutto
economica e di bilancio. La preoccupazione europea deriva in
maggioranza dai settori economici, finanziari e commerciali, senza
dimenticare l'agricoltura. In questi contesti sinistra e destra,
progressisti e conservatori, si scontrano. Se devo attingere dalla
mia esperienza diretta, l'Europa è terribilmente dominata dalla
destra conservatrice. Il culto del mercato unico come motore di
crescita illimitata è onnipresente. È questa la visione,
caricaturale, di alcuni leader attuali. In seno al Consiglio europeo,
ad esempio, David Cameron, il primo ministro britannico, non parla
mai di Europa, ma solo di "mercato unico".
Tuttavia,
a livello formale, e in parte anche pratico, le finalità dell'Europa
non sono unicamente economiche. Essa mira anche alla coesione
sociale. Nelle conclusioni del vertice di Lisbona, la coesione
sociale è indicata come obiettivo della convergenza. Questa è
l'idea alla base della complementarietà tra economia e società. Ed
è un'idea che mi trova pienamente d'accordo. Un obiettivo lodevole
ma realizzato in misura troppo modesta, se non nulla. In ogni testo
che riporta le conclusioni del Consiglio europeo, la dimensione
sociale di qualsiasi ambito viene sistematicamente ridotta al minimo.
A volte perfino negata.
Per
la destra conservatrice, la soluzione ai problemi dell'Europa è da
sempre la stessa: rafforzare il mercato unico. Anche a rischio di
mettere in discussione i nostri modelli sociali. Con François
Hollande ed Enrico Letta, e dopo con Matteo Renzi, ho più volte
chiesto un ambizioso piano europeo di investimenti per contribuire a
rilanciare le nostre economie nazionali. Ho
anche lottato per una vera politica industriale europea. Ogni
volta la risposta della Commissione europea è stata la stessa:
«Prima di tutto consolidare
il mercato unico e rafforzare i vincoli di bilancio».
Con
l'insediamento della nuova Commissione europea, le cose potrebbero
cambiare. La Commissione europea, sotto la guida del suo nuovo
Presidente, potrebbe contribuire a una vera ripresa dell'economia
europea tra cui una politica di investimenti più ambiziosa. Sono
stati promessi 315 miliardi di euro di investimenti.
Al
momento, sono meno di 64 i miliardi mobilizzati dagli Stati membri e
dall'Unione europea.
Siamo
dunque distanti dal totale promesso. Ma, essenzialmente, il problema
ancora una volta è ideologico. Qualsiasi politica di stimolo
economico è considerata, dalla Commissione, un’intromissione
dell'autorità pubblica. In quanto tale, viene giudicata
intollerabile dai tecnocrati europei e dai leader di destra.
LA
LOTTA AL DUMPING SOCIALE
Un
aspetto evidente di questa ossessione per il mercato unico è la
politica europea sui lavoratori "distaccati". La sfida in
gioco è alta. A oggi quasi 11 milioni di europei vivono e lavorano
in un altro paese europeo e 1,3 milioni sono "distaccati"
in un altro Stato europeo da un'impresa che ha sede nel loro paese di
origine. Un operaio assunto nei paesi dell'Est può venire a lavorare
in Belgio o in Italia, senza però contribuire al sistema di
sicurezza sociale belga o italiano. Il risultato è un notevole
fenomeno di dumping sociale. I lavoratori non belgi o non italiani
risultano sfruttati. Le loro condizioni di lavoro violano
completamente i valori europei. Sono sottopagati. E le rispettive
imprese non versano i contributi sociali nel paese in cui lavorano.
Questo crea una distorsione della concorrenza che penalizza le altre
imprese, quelle che si rifiutano di ricorrere a un tale meccanismo.
Questo
crea anche un tasso di disoccupazione elevato a livello locale. I
lavoratori non nazionali vengono preferiti ai lavoratori nazionali,
considerati troppo costosi. Qualche anno fa mi sono opposto alla
cosiddetta direttiva "Bolkestein" sui servizi. Bolkestein
era il Presidente del partito liberale olandese diventato Commissario
nella Commissione europea. Questa direttiva ha aperto la strada al
dumping sociale e alla mercificazione di numerosi servizi di base.
Penso, ad
esempio, alla sanità. Questa direttiva ha anche messo gli Stati
membri uno contro l'altro, ponendoli in una condizione di
competizione costante fra di loro. Ora,
è ovvio, non sarà lo sfruttamento reciproco a migliorare le
condizioni di vita degli europei. Dobbiamo reagire. Dobbiamo arrivare
a garantire che la mobilità dei lavoratori in Europa non vada a
limitare i diritti sociali del paese in cui viene svolta l'attività
lavorativa. Ecco perché ho chiesto la revisione della direttiva sul
distacco dei lavoratori.
MIGRANTI
Veniamo
ora alla crisi dei migranti. A questo proposito, ci troviamo
chiaramente di fronte a un'Europa divisa. La settimana scorsa
Federica Mogherini ha detto:
«L’Unione
europea rischia la disintegrazione se non risponde collettivamente
alla crisi migratoria».
Abbiamo
assistito a comportamenti inaccettabili in seno all'Unione europea.
Penso in particolare all'azione del governo ungherese di Victor Orban
che permette alle sue forze pubbliche di sparare sui migranti. I
valori fondamentali dell’Europa vengono calpestati senza che venga
imposta alcuna sanzione! Nessuno dovrebbe dimenticare i valori che ci
uniscono e che sono riuniti nella Carta dei diritti fondamentali e
nella convenzione di Ginevra. La risposta a questa crisi deve essere
comune. E i paesi più esposti, come l’Italia, devono essere
aiutati.
USCIRE
DALL'AUSTERITÀ’
A
partire dal 2009 i leader europei, e in modo particolare la
cancelliera Merkel, hanno pensato di poter rafforzare l'Europa
unicamente tramite l'austerità. È diventata una specie di
ossessione. Le uniche politiche che vengono approvate prevedono il
risanamento dei budget degli Stati membri.
Cerchiamo
di essere chiari. Gli Stati devono compiere sforzi. Ma non possiamo
imporre ai nostri anziani e ai nostri figli sacrifici insostenibili.
Non possiamo imporre ai nostri anziani e ai nostri figli un generale
indebolimento dei sistemi di sicurezza sociale. Eppure, questa è
l'unica strada che viene percorsa dall'Unione europea. L'Europa è
ferma ai criteri di Maastricht, che risalgono a quasi un quarto di
secolo fa (1992). Ma l'attuale situazione economica e sociale è
diversa in modo essenziale. Molti economisti come Paul Krugman
suonano un campanello d'allarme.
Krugman
ha dichiarato: «La
spiegazione deriva in parte dal fatto che in Europa, troppe "persone
estremamente serie" si sono lasciate affascinare dal culto
dell'austerità, da questa convinzione che i deficit di bilancio, e
non la disoccupazione di massa, siano il pericolo più immediato, e
che sarà la riduzione dei deficit a risolvere, non si sa bene come,
un problema causato in prima istanza dagli eccessi del settore
privato».
LA
RICERCA DI NUOVE FLESSIBILITÀ
Gentili
Signore e Signori,
penso
che la direzione presa dall'Unione europea sia sbagliata. Penso che
dovremmo consentire agli Stati di recuperare un po' di spazio di
manovra. La loro missione non consiste nell'imporre sofferenza ai
cittadini. Tuttavia il trattato fiscale, denominato "fiscal
compact" in inglese, consente in teoria a un paese di disporre
di flessibilità di bilancio in caso di forza maggiore.
E
mi sembra che un periodo di 6 anni senza crescita economica reale
configuri decisamente un caso di forza maggiore. Eppure, le
istituzioni dell'Unione europea non sono disposte ad ammetterlo. E,
nel frattempo, a soffrire sono i cittadini europei. Perché la
flessibilità di bilancio permetterebbe agli Stati di liberare fondi
di emergenza in numerosi campi. Così sono favorevole all'idea -
sostenuta dall'Italia con Matteo RENZI, dall'Austria con Werner
FAYMANN e dalla Francia con François HOLLANDE - di non considerare
le spese assunte per l'accoglienza dei migranti nel calcolo dei
deficit pubblici. Jean-Claude JUNKER, il Presidente della Commissione
europea, si è dimostrato aperto a questa idea. Si vedrà. Desideravo
parlare della Grecia. Anche per questo paese, l'Unione Europea non
brilla per la sua immaginazione. La popolazione soffre terribilmente.
Ma prenderebbe troppo tempo svilupparne il tema.
Egregio
Rettore,
Gentili
Signore e Signori,
le
mie constatazioni sono forse dure; ma rimango un europeista convinto.
Io credo nell'Europa.
Ma
non nell'Europa com’è oggi!
Dobbiamo ripensare l'Europa. Ne va del futuro degli europei.
Se
vogliamo davvero rafforzare il progetto europeo, è urgente
trasformarlo in un'unione democratica. Un'unione in cui i cittadini
credano e dalla quale si sentano rappresentati.
Rafforzare
la dimensione democratica
dell'Unione economica e monetaria è essenziale. Ma pochi ne parlano
seriamente. Oggi siamo di fronte a una rottura della fiducia totale
tra gli europei e l'Europa. Abbiamo quindi bisogno di grandi
cambiamenti. L'Eurogruppo, ad esempio, è costituito dai 19 paesi che
utilizzano l'euro, ma è composto esclusivamente da 19 ministri delle
Finanze. Come tale, si colloca al di fuori di qualsiasi controllo
democratico e impone riforme che spesso sfociano in drammi sociali
per milioni di cittadini. Sarebbe logico che l'Eurogruppo rendesse
conto al Parlamento europeo e si riunisse regolarmente con i ministri
del lavoro e degli affari sociali, il cui parere risulterebbe molto
più utile. Nel corso di alcuni summit mi è capitato di avanzare
questa ipotesi. Alcuni miei colleghi, come il primo ministro
britannico, olandese, e gli altri liberali conservatori, si sono
detti fortemente contrari. Ai loro occhi si trattava di una sorta di
profanazione. Per non dire di una forma di maleducazione!
Nel
1957, eravamo 6 paesi. Poi siamo diventati 9, poi 10, 12 e infine 15.
Con la caduta del muro di Berlino e la scomparsa del blocco
orientale, non meno di 12 stati hanno aderito all'Unione europea.
Questo
processo è stato troppo rapido.
Dopo
sette ondate di adesioni, sono 28 oggi gli Stati membri dell'Unione
Europea. Non si tratta di mettere in discussione l'allargamento
dell'Unione. Quello che ci unisce è più importante di quello che ci
divide. E l’Unione europea è anche un processo di convergenza per
tutta l’Europa. Ma è chiaro che il processo decisionale è
diventato troppo complesso. Raggiungere il consenso a 28 è diventato
molto difficile: sulle questioni più delicate, addirittura
impossibile. Così operare sulla base del principio di unanimità non
è praticabile. Ma, purtroppo, questa unanimità è ancora necessaria
in materia fiscale. Eppure, la concorrenza fiscale tra gli stati
infuria in Europa !
Ho
trascorso giorni e notti al Consiglio europeo. Non
vi nascondo che esistono differenze profonde. Tra i paesi orientali e
occidentali. Tra stati "grandi" e stati "piccoli".
Tra paesi del Nord e del Sud. Per non parlare delle differenze
ideologiche. Chiaramente, è difficile andare oltre il minimo comune
denominatore. Tuttavia, l'Europa non progredirà basandosi sul minimo
comune denominatore. Guardiamo
a ciò che accade nel contesto del referendum condotto nel Regno
Unito. Quale sarebbe il
senso di un paese che, per rimanere nell'Unione, respinge qualsiasi
parte dei progressi compiuti a livello comunitario? Il governo
britannico vuole, apparentemente in nome della semplificazione
amministrativa, rimuovere gran parte delle protezioni ambientali
acquisite nel corso degli anni. Vuole rimuovere le misure di
protezione dei consumatori.
Vuole
quasi azzerare le misure nell'ambito sanitario. Nella prova di forza
che ha coinvolto il primo ministro britannico, mi chiedo se la
priorità per noi non dovesse essere quella di preservare i risultati
positivi ottenuti dall’Unione europea. Il Regno Unito ha più da
perdere lasciando l'Unione europea, che restandone membro! In questo
contesto, risulta molto difficile consolidare l'interesse generale
europeo.
Le
trattative sul bilancio europeo, alle quali ho partecipato, sono
indicative di questa debolezza dell'interesse generale europeo.
Subendo la pressione di alcuni Stati membri, il bilancio dell'UE è
limitato a poco meno di 150 miliardi di euro per anno. Questa cifra
equivale al bilancio medio di un paese come il Belgio, ma per una
popolazione di 500 milioni di europei. In Belgio, siamo 11 milioni di
persone.
In
una prospettiva a medio termine, mi chiedo se non bisogna avere
alcune priorità:
1)
L'incremento del bilancio dell'Unione europea mediante l'integrazione
di nuove risorse per affrontare le sfide che attendono l'Europa. La
tassa sulle transazioni finanziarie sarebbe una buona via. Penso
all'esempio lampante dei migranti - una situazione in cui mancano
palesemente fondi per trovare una soluzione - in particolare ai
confini della Siria, dell’Iraq o dell’Afghanistan e ai paesi di
accoglienza come l'Italia e la Grecia. Penso anche
all'intensificazione della ricerca scientifica delle Università
europee e alle moltiplicazioni delle borse - tipo l’Erasmus - per
facilitare una maggiore mobilità europea degli studenti.
2)
Con 28 Stati membri, andremo avanti solo a passi molto piccoli, l’ho
già detto, mentre il resto del mondo avanza ad ampie falcate. Io
sostengo un'Unione
europea concentrica.
Un numero ridotto di
Stati potrebbe crescere a un ritmo più elevato e, in un certo senso,
traccerebbe la
strada di un’Europa più integrata particolarmente sui piani
fiscale e sociale. Questo
nucleo potrebbe dotarsi delle risorse per agire concretamente. È
quello che avviene in caso di cooperazione rafforzata.
3)
Noi belgi e italiani, dipendiamo essenzialmente dalla zona euro. Il
denaro che abbiamo in tasca dipende anche dalla zona euro. La zona
euro (che conta 19 stati) deve assumere il controllo del proprio
destino: non può in alcun modo venire ostacolata da Stati che non
hanno l’euro come moneta. Penso ad esempio alla Banca Centrale
Europea. I suoi poteri non sono ancora paragonabili a quelli di paesi
come gli Stati Uniti o il Giappone. La Banca centrale europea deve
avere poteri di ultima istanza. Deve essere in grado, in particolare,
di battere moneta, come fanno le banche centrali dei paesi fuori zona
euro.
4)
La zona euro dovrebbe potersi affidare a un proprio Parlamento.
Questo potrebbe essere composto semplicemente da parlamentari
provenienti dai 19 paesi interessati.
5)
Delle proposte avanzate dalla Commissione per la zona euro si
occuperebbero i commissari dei 19 paesi che la compongono, e non dei
28 Stati membri.
6)
Il Presidente della Commissione europea dovrebbe essere eletto
direttamente dai cittadini europei. Alle elezioni europee, ogni 5
anni, le liste di ogni famiglia politica dei 28 Stati presenterebbero
un unico capofila. Il partito con il maggior numero di seggi al
Parlamento europeo vedrebbe il suo leader automaticamente nominato
come Presidente della Commissione.
Queste
riforme risponderebbero alla nuova realtà europea. I paesi che lo
desiderano, potrebbero agire rapidamente in termini di convergenza
delle politiche. Gli altri, nel frattempo, continuerebbero a
beneficiare del mercato unico e di altri progressi comunitari.
Gentili
Signore e Signori,
Cari
amici,
l'avete
ormai capito. Per me, l'Europa deve cambiare il proprio meccanismo di
funzionamento. Deve anche aprire il suo spirito. Noi tutti dobbiamo
sostenere l’idea dell'interesse del progetto europeo. E questo è
il ruolo dei partiti politici europei e dei partiti nazionali. È il
ruolo di noi tutti. L'università, luogo per eccellenza di
riflessione e di dibattito, può stimolare la nascita di nuove idee
per l'Europa.
Cari
amici,
alla
fine della guerra, i nostri genitori hanno realizzato un risultato
immenso. Mediante il progetto europeo, ci hanno lasciato in eredità
la pace. All'epoca i mezzi per farlo consistevano nell'unirsi intorno
a un progetto essenzialmente economico. Oggi, l'Europa è cresciuta.
Il mondo è profondamente cambiato. Noi sappiamo che nessuno Stato
europeo può affrontare il mondo da solo. La crisi dei migranti ne è
un esempio. L'Europa deve rafforzarsi. Deve sviluppare strumenti e
risorse che le consentano di far fronte alle proprie responsabilità.
Il progetto europeo ha assolutamente bisogno dell'adesione degli
europei. Bisogna dunque andare nella direzione di una vera
cittadinanza europea. L'Europa non è solo un mercato. Dev'essere
soprattutto un insieme di diritti per i cittadini, una filosofia
della vita… uno stato d'animo. Un connubio che protegga i cittadini
e garantisca loro un futuro migliore.
Il
progredire dell'edificio europeo è una responsabilità comune. È
responsabilità nostra, in particolare verso
di voi, verso gli studenti,
la gioventù europea. Questa gioventù, lo sappiamo, è assai
duramente colpita dalla disoccupazione. E, a volte, arriva a dubitare
del futuro. In un mondo in crisi, spetta anche all'Europa presentare
a questa gioventù soluzioni e speranze. Trasformiamo le difficoltà
attuali in opportunità per domani.
Cari
amici,
i
nostri destini sono legati. Questo è quello che ci ricordate voi
oggi. Offrendomi questo riconoscimento. Accogliendomi in mezzo a voi.
Consegnandomi questa Laurea che mi onora e onora il destino di una
famiglia di immigrati italiani in Belgio. Oggi, tra di voi, mi sento
al contempo belga, italiano ed europeo. Grazie di cuore per la vostra
fiducia e la vostra attenzione.
Elio
Di Rupo