di
Goffredo Palmerini - L’AQUILA - Il
prossimo 3 ottobre ricorreranno 79 anni dal disastro ferroviario di
Contigliano,
paese a una decina di chilometri da Rieti.
Diversamente dalla
retorica del regime fascista, per la quale i treni erano sempre in
orario e le ferrovie funzionavano alla perfezione, in quella
disgraziata mattina di sabato 3
ottobre 1936,
alle 9:44, la “littorina” proveniente dalla stazione di Aquila
e diretta a Terni
si
scontrò frontalmente, sull’unico binario di marcia, col treno
postale proveniente dal capoluogo umbro. Una tragedia. 8 i morti e
quasi tutti i passeggeri della littorina, una trentina, gravemente
feriti. Su quel treno per Terni viaggiava la squadra di calcio A.S.
Aquila,
allora militante nel campionato nazionale cadetto, che si stava
recando a Verona
per la partita dell’indomani. Coinvolti nel disastro 15 giocatori
(Sain, Viganò, La Roma, Testoni, Rossi, Martini, Moretti, Corsarini,
Angiolini, Battioni, Bon, Rossini, Gravisi, Pastorelli, Lessi),
l’allenatore, il massaggiatore e due dirigenti accompagnatori
dell’A.S. Aquila. Nel terribile scontro tra i due convogli perse la
vita l’allenatore rossoblù Attilio
Buratti,
mentre Marino
Bon
- attaccante, tre campionati in serie B con i colori dell’Aquila,
61 partite giocate e 18 reti segnate -, persi i sensi nel violento
impatto, fu dichiarato in un primo momento deceduto e accantonato tra
i morti. Fu salvato dall’avvocato Gino Colella. Ricoverato in
ospedale, Bon riuscì a riprendersi dal grave trauma.
Tutti gli atleti
riportarono pesanti conseguenze fisiche e la gran parte di loro non
fu più in condizione di giocare. Per fortuita contingenza, si
salvarono solo due giocatori squalificati rimasti a casa e il
portiere Stornelli che, svegliatosi in ritardo, non era riuscito a
prendere il treno. La Federazione Italiana Gioco Calcio, davanti ad
una tragedia così grave per l’A.S.
Aquila,
propose alla società la salvezza d’ufficio, pur senza disputare le
rimanenti partite del campionato cadetto, nel quale la squadra dal
1934 per tre anni aveva militato, unica in Abruzzo ad aver raggiunto
un tale risultato. Ma il presidente della società Giovanni
Centi Colella
rifiutò, continuando il campionato con prestiti gratuiti di
giocatori da altre squadre, con le riserve e tesserando nuovi
calciatori. La squadra fu affidata all’allenatore ungherese Andras
Kuttik.
Non si riuscì, tuttavia, ad evitare la retrocessione. Da allora mai
più la squadra di calcio dell’Aquila è riuscita a raggiungere
quei risultati e a militare nella serie cadetta. Facendo le dovute
proporzioni, per l’A.S.
Aquila,
nata nel 1927, l’incidente di Contigliano risultò essere come la
tragedia di Superga per il grande Torino.
Allenata da
Barbieri, l’A.S. Aquila era stata promossa in serie B nel
campionato 1933-34, battendo per 3 a 1 l’Andrea Doria di Genova
(attuale Sampdoria) in un’epica finale. Questa la formazione che
portò la squadra alla vittoria: Sain, Mattei, La Roma, Giannini,
Testoni, Rossi, Piacentini, Corsanini, Battioni, Bon, Budini. Nel
campionato successivo 1935-36, guidata dall’allenatore ungherese
Hort, Aquila
degli Abruzzi
(ancora non si chiamava L’Aquila) ebbe la più bella squadra di
calcio della sua storia, con Sain, Mattei, La Roma, Testoni, Rossi,
Ballardini, Frossi, Carnevali, Battioni, Bon, Budini. Scrive Dante
Capaldi
nella Storia
dello Sport abruzzese
(Ed. La Regione,1988): “Potenza e velocità erano le
caratteristiche fondamentali della formazione aquilana con
individualità tecniche di primo piano quali Frossi
e Bon.
Quest’ultimo dal tocco fine ed elegante era definito la ballerina
del calcio aquilano. Un misto di Rivera e Mazzola, sotto il profilo
tecnico-atletico-tattico. Fu l’ultima stagione in cui all’Aquila
si vide il vero calcio. La squadra si classificò al 9° posto”.
Negli anni bellici, dal 1940 al ’45, i campionati vennero sospesi.
Marino
Bon,
tornato in piena efficienza fisica dopo il disastroso incidente di
Contigliano, continuò a giocare insieme a Rossini, Mancini,
Brindisi, Izzo, Seccia, Iovinelli, Mariani, Scarlattei ed altri,
disputando in quegli anni partite contro formazioni militari,
tedesche e poi inglesi. In quegli stessi anni si mise in luce il
mediano Italo Acconcia, proveniente dalle file dell’Oratoriana, che
poi avrebbe avuto una bella carriera da calciatore con squadre come
Fiorentina, Roma, Udinese, Genoa, Catanzaro, Salernitana, Modena, ed
altre, nei campionati di serie A e B, ed una brillante carriera di
tecnico anche delle Nazionali minori.
Tornando a Marino
Bon,
riprese l’attività agonistica con la formazione rossoblù nel
campionato di serie C del 1946-47, giocando fino a ridosso degli anni
Cinquanta quando, dismessa l’attività agonistica, iniziò una
nuova vita come formatore sportivo, nel calcio e sopra tutto nel
tennis. Da allora intere generazioni di aquilani sono passate sotto
la sua rigorosa guida nella formazione atletica e sportiva, ma anche
morale. Il suo carattere forte, in apparenza talvolta spigoloso, era
invece ricco di grande sensibilità e umanità. Il suo grande
carisma. Molti calciatori hanno ricevuto da Bon i fondamentali
tecnici della disciplina e le sottigliezze del gioco d’attacco, nel
quale era stato maestro sui campi di gioco. E ancora, tutto il mondo
del tennis aquilano è cresciuto tecnicamente sotto la sua scuola. Un
impegno tecnico e formativo, sotto tutti gli aspetti, che Marino
Bon
(Trieste, 14 novembre 1910 – L’Aquila, 11 ottobre 1997) ha
praticamente svolto fino all’età di 85 anni, un paio d’anni
prima della sua dipartita, insegnando ai ragazzi lo sport e i valori
di lealtà, onestà e coraggio, che rendono la vita più degna
d’esser vissuta. Tutta la città lo ricorda con affetto ed
ammirazione, salvo l’ultima generazione che non ha avuto la fortuna
di conoscerlo. Un valore sportivo e umano, il suo, trasmesso ai figli
Rossana e Antonio (Totò), che nel tennis si sono espressi
brillantemente, con rilevanza nazionale, e nella loro vita
professionale di docenti.
Questa premessa
storica, sebbene incompleta, stimolata dall’imminente ricorrenza
anniversaria della tragedia ferroviaria di Contigliano,
appare opportuna per richiamare l’epopea calcistica della squadra
cittadina che ha vestito dal 1927 i colori aquilani. Lo è ancor più
alla luce dell’intenzione dell’Amministrazione comunale di
dedicare lo stadio Gran Sasso di Acquasanta, quasi pronto dopo 20
anni di lavori, a personalità del mondo calcistico, per la quale
ragione ha promosso anche una specie di sondaggio dal quale attingere
proposte. Alla quale iniziativa si è poi aggiunto un dibattito sulla
stampa, sulle proposte fin qui emerse: Italo
Acconcia
e Guido
Attardi.
Entrambe proposte assai rispettabili, anche se le valutazioni non
possono disconoscere il livello dei valori. Ma neanche della storia
sportiva e civica, mi permetto di aggiungere. Ecco dunque il senso di
questo intervento su di un tratto di storia civica e calcistica. E su
Marino
Bon,
che di quegli anni d’oro del calcio aquilano - mai ripetutisi fino
ad oggi - è stato il massimo interprete. Non è mia intenzione
entrare in una querelle riguardo l’intitolazione dello stadio, o di
parti di esso, a questa o quella importante figura del calcio
aquilano. Ma di offrire a chi in fondo spetta la decisione -
l’Amministrazione comunale - un ulteriore elemento di riflessione
per una scelta meditata. Comprendo l’atteggiamento d’accortezza e
di riflessione che attualmente sta osservano la Municipalità. E’
segno di serietà. E d’altronde una valutazione oggettiva, che
tenga conto di tutti i fattori, certamente condurrà alla soluzione
più giusta, anche articolando il doveroso riconoscimento a chi ha
segnato le tracce più gloriose per la città di uno sport così
amato e popolare.