Instancabile alfiere del dialogo tra culture musicali, Elias Nardi torna a tre anni di distanza dal fortunato The Tarot Album: Flowers Of Fragility è un felice manifesto di connession i strumentali tra jazz e Medioriente, arricchito dall'estro di un gruppo di stelle, composto da Daniele Di Bonaventura, Didier François, Nazanin Piri-Niri e Carlo La Manna.
Dopo il successo di un disco che interpretava il jazz contemporaneo calato nella world music senza disdegnare influenze progressive, Elias Nardi rilancia la propria visione di "cantastorie strumentale": se nel cd precedente erano protagonisti i Tarocchi, ora Nardi prende spunto dalle sue visite nei cimiteri di guerra delle F iandre Occidentali, in occasione dei cento anni dalla Grande Guerra, e presenta un album ricco, compatto, figlio di una grande immaginazione music ale.
Nato a Pistoia nel 1979, Elias Nardi è un musicista aperto come pochi agli scambi culturali e artistici: allievo del virtuoso palestinese Adel Salameh, ha collaborato con Ares Tavolazzi, Riccardo Tesi, Max Manfredi e molti altri. Dopo Orange Tree (2010) e The Tarot Album (2012), in Flowers Of Fragility rilancia il dialogo tra jazz e musica tradizionale coinvolgendo nella scrittura i quattro colleghi, ognuno con le proprie peculiarità. Di Bonaventura, François, Piri e La Manna hanno storie e collaborazioni assai differenti: con Elias incarnano in pieno l'idea di "ponte tra culture" che è alla base della musica dell'autore toscano, e in particolare di questo album, arricchito da testi del poeta Luca Buonaguidi e del musicologo Paolo Scarnecchia.
Flowers Of Fragility è stato inciso su nastro magneti co negli studi audiofili della Analogy Records; dopo l'esperienza con Zone Di Musica, Nardi entra in Visage Music, etichetta nota per i lavori di Riccardo Tesi, distribuita da Materiali Sonori. Disponibile in cd e in download su tutte le piattaforme digitali (ma anche in bobina - reel to teel master tape - sugli store Analogy), Flowers Of Fragility è stato presentato in anteprima dal vivo tra Italia, Germania e Belgio, e il tour prosegue con nuovi concerti all'estero.
Dopo
il successo di The
Tarot Album
arriva un tuo nuovo disco, il terzo da solista. Cerchiamo di
inquadrarlo subito: quali sono le differenze dai precedenti?
La
prima differenza che salta fin da subito all’orecchio è
sicuramente quella del suono. Non soltanto nei termini che concernono
la qualità del suono stesso, ma anche per il ritorno a sonorità
acustiche e ad atmosfere rarefatte che forse timbricamente avvicinano
questo disco più al primo Orange
Tree
che a The
Tarot Album,
dove l’elettronica aveva una presenza importante e con una spiccata
predilezione per la ricerca affine al prog e alla psichedelia.
In
Flowers
of Fragility
la ricerca timbrica ponderata sul suono acustico dei singoli
strumenti e sull’impasto sonoro che si veniva a creare è stata
fondamentale per la sua resa come album.
Per
quanto riguarda i preziosi “attrezzi” del mestiere, c’è
l’ingresso nel gruppo dell’intenso ed ispiratissimo Bandoneon di
Daniele Di Bonaventura e l’altrettanto ispirato flauto traverso di
Nazanin Piri-Niri, che rappresentano due consistenti elementi di
novità. Il resto della band ricompone poi il trio melodico originale
di Orange
Tree
con il ritorno di Didier François alla Viola d’Amore a Chiavi
(Nyckelharpa) e il mio fedele compagno di scrittura e viaggi sonori
Carlo La Manna, il quale oltre al sound unico del suo Fretless,
introduce qui anche un uso del basso a 6 corde personalissimo e,
ritengo, pieno di gusto.
In
termini compositivi credo che il disco stia su un altro livello
rispetto ai precedenti. C’è uno sviluppo armonico più consistente
ma il solito grande spazio dato all’aspetto tematico. C’è ancora
la presenza di alcune mini-suite “a la prog” con strutture
complesse e cambi di tempo, ma si è cercato anche di condensare la
scrittura in modo tale che tutto il materiale potesse scorrere
fluidamente dal primo all’ultimo minuto come un amalgama omogeneo
nonostante l’eterogeneità dei pezzi. C’è il gusto per la
ricerca della finezza classica ma anche la sperimentazione estrema
figlia della contemporaneità. Da non sottovalutare la totale
assenza, per la prima volta in un mio lavoro, di qualsivoglia
strumento percussivo e ritmico: tutti i groove all’interno del
disco (e ce ne sono…) sono pilotati dal Basso e spesso anche dal
mio Oud.
Flowers
of Fragility
prosegue nella direzione di quella ricerca “contaminata”
cominciata alcuni anni fa, prima ancora del mio primo album: per
quanto non sia ancora terminata, questa ricerca passo dopo passo ci
sta portando verso il raggiungimento di quel sound distintivo e
riconoscibile fin dalle prime note di un brano, con lo scopo di
avvicinarci sempre più all’obiettivo finale di NON appartenere a
un genere di facile catalogazione, ma di essere nel nostro piccolo un
piccolo genere.
Dopo
lo spunto dei tarocchi, un altro elemento "extra musicale":
i Cento anni dalla Grande Guerra e i Cimiteri di guerra delle
Fiandre... Raccontaci tutto.
Questo
lavoro trova il fondamento, il suo seme, nelle idee del pittore
fiammingo e nostro grande amico Pol Bonduelle, con il quale da alcuni
anni portiamo avanti un’importante collaborazione artistica. Pol è
colui che da sempre cura ogni mia copertina in toto, dal quadro che
ne rappresenta la front cover fino a tutto il progetto grafico.
Proprio durante un tour in Belgio nell’autunno del 2014, con questa
formazione al completo e in occasione delle ricorrenze per i Cento
anni dalla Grande Guerra, cominciano a prendere forma alcune delle
nuove idee che poi si svilupperanno in Flowers
of Fragility.
Tra una data e l’altra del tour Pol ci ha invitato a visitare
alcuni dei numerosi e impressionanti cimiteri di Guerra delle Fiandre
Occidentali, ben nota zona di confine e tra i più cruenti fronti di
battaglia del primo conflitto mondiale. Questi luoghi, oggi pieni di
pace e di quiete, con prati curati e fragili fiori ad accompagnare
migliaia di nomi e lapidi, rappresentano una sorta di museo a cielo
aperto per la nostra memoria. È stato veramente toccante vedere che
tra quelle decine di migliaia di soldati di tutte le età, c’erano
anche “bambini” di appena 13 anni, ragazzi provenienti da ogni
angolo di Europa così come dagli altri continenti che hanno perduto
per sempre la loro fanciullezza prima ancora delle loro vite. Ci
siamo trovati a porre la nostra attenzione su questo importante
anniversario cercando di trarne ispirazione, anche se alla fine tutte
le energie che fluiscono nella nostra musica vengono da molte
direzioni.
C’è
da aggiungere anche che i meravigliosi versi del caro amico e poeta
Luca Buonaguidi,
composti appositamente per il booklet di Flowers,
donano un'ulteriore dimensione lirica al lavoro.
La
tua scrittura e i tuoi progetti hanno spesso queste implicazioni
concettuali, ti senti uno "strumentista cantastorie"?
Beh
non ci avevo mai pensato... Al di là dell’aspetto concettuale devo
ammettere che alla mia musica è sempre stata associata per qualche
ragione una certa dimensione evocativa, se fatta di “immagini” o
di storie questo credo che sia molto soggettivo. Generalmente penso
che un musicista debba sempre trovare ispirazione nella quotidianità
e farsi influenzare dall’esterno tanto quanto dalla propria ricerca
interiore. Che si tratti di stati d’animo, di attualità o di
storie dell’umanità, di racconti o poesie, dei dipinti piuttosto
che di un’interazione con un’altra forma d’arte, o anche
“semplicemente” della natura stessa, per me tutto è buono e
utile a fornire “argomenti” sonori. Il lavoro di concetto per un
compositore strumentista è comunque importante per contribuire a
dare un senso omogeneo alla propria scrittura.
La
tua musica è da sempre un ideale ponte tra culture, quella jazz
euroamericana e quella mediorientale: in un periodo delicato come
questo, con le nuove migrazioni al centro delle cronache e dell'agire
politico, che ruolo assume una musica che cerca di far dialogare
culture differenti?
In
parole povere la musica concepita in questo album deriva
dall'incontro di cinque musicisti, le loro anime e i loro strumenti,
ognuno proveniente da percorsi musicali differenti e da mondi
culturali soltanto apparentemente distanti tra loro. Lo scopo ben
preciso è quello di creare, come dici tu, un ponte sonoro ideale tra
la culture, per di più senza farci grossi problemi nell’andare
oltre quelle che sono le linee di confine tra i generi. Nazanin è
nata in Iran ma cresciuta in Germania ed ha una formazione classica
come Pianista e Flautista; Didier viene dal Belgio, e anche lui ha
dei background sia nel mondo della classica che del jazz e della
musica contemporanea; io ho affrontato per anni lo studio e
l’interpretazione dei repertori tradizionali del Medioriente ma
formandomi prima come musicista “europeo” con studi classici e
jazz; Daniele, che è un musicista di fama internazionale e suona il
Bandoneon (strumento nato in Germania per accompagnare la musica
ecclesiastica quasi come una sorta di sostituto “povero”
dell’organo ecclesiastico, ma divenuto d’uso comune in Argentina
con il tango e reso celebre a livello mondiale da Astor Piazzolla) ha
pure lui studi di composizione classica alle spalle e sta sviluppando
il suo successo nel mondo del Jazz e non solo; infine Carlo con il
suo sound dal carattere unico è un musicista aperto alle
sperimentazioni a 360° gradi. Come si vede partiamo fin già dalla
base con una predisposizione alla contaminazione. Perciò così come
credo che l’artista debba farsi influenzare da ciò che lo
circonda, allo stesso modo ha il dovere di comunicare con l’esterno
e farsi trovare pronto ad essere portatore sano di un “messaggio”
o se non altro stimolare uno spunto di riflessione.
Da
sempre i compositori si confrontano e cercano il dialogo con
l’esterno. Mi viene da pensare ad esempio a come la musica di
inizio ‘900, dall’ultimo Mahler alla seconda scuola viennese da
Schoenberg in poi, fosse influenzata da quelle che erano le tensioni
della società, quelle lacerazioni che hanno poi portato negli anni e
nei decenni a due guerre mondiali, e che se vogliamo in un certo qual
modo erano già presenti sotto forma di presagio in quella ricerca
che era sonora e umana allo stesso tempo. Oggi i tempi sono
sicuramente migliorati per noi europei ma il mondo, se lo guardiamo
distaccandoci dal nostro eurocentrismo, non sta per niente bene e le
cronache quotidiane non mancano di fornire spunti che ce lo
dimostrino. Per quello che mi riguarda la musica che mi sforzo di
proporre è figlia di questi tempi, è contemporanea nelle tematiche
e nelle sonorità, è una musica fatta di migrazioni sonore, convinto
che timbriche, strumenti e anche aspetti teorici distanti che
coabitano possano essere lo specchio di un società in cui gli scambi
e i flussi di genti non siano interpretati come un problema o peggio
ancora come un pericolo, ma siano un patrimonio, fondamentale per la
condivisione e la comprensione del mondo stesso.
Flowers
ti vede in azione con una band nuova di zecca: che apporto hanno dato
i musicisti che ti affiancano in questo album?
Gli
innesti nuovi sono quelli di Daniele e Nazanin, mentre con Didier
avevamo già lavorato su Orange
Tree.
Carlo è il mio fratello in musica da molti anni ormai e abbiamo
lavorati a numerosi progetti. Per quanto riguarda l’apporto dei
miei compagni sonori devo dire che è stato determinante sotto tutti
i punti di vista. Con Nazanin, che è anche la mia compagna, abbiamo
condiviso molte scelte e momenti che hanno portato alla realizzazione
del disco e la sua presenza dalla prima nota fino alla scelta della
cover è stata preziosa. Con Carlo abbiamo composto come al solito
buona parte dei brani a quattro mani, mentre Daniele e Didier in
aggiunta ai loro magnifici suoni e ai loro soli profondi ed ispirati
hanno portato una composizione a testa ed elargito idee e
suggerimenti. Quindi la condivisione del progetto è stata totale e
ciò che più che mi gratifica è vedere che in poco tempo tutti i
musicisti con cui collaboriamo riescono ad entrare completamente
nell’idea di musica e di suono che cerco di conseguire.
Che
rapporto c'è tra la scrittura e l'improvvisazione in questo album?
Entrambi
gli elementi sono importanti, anche se ritengo di andare verso una
direzione in cui la composizione e la forma abbiano la precedenza.
L’improvvisazione è altresì molto presente ma sempre funzionale
alla natura del brano e alla sua struttura. Quindi pochissimo
“tema-assolo-tema” per intenderci, domina la tendenza che sia
l’improvvisazione a essere al servizio della composizione e non
viceversa.
Una
peculiarità di Flowers
è la registrazione, un'incisione analogica con Robbo Vigo: cosa ha
significato per te lavorare su nastro, come ai vecchi tempi?
L’idea
di lavorare in analogico era qualcosa che ci stimolava da tempo, poi
il caso ha voluto che il mio amico e grandissimo jazzista Max De
Aloe, avesse da poco registrato un disco per la neonata Analogy
Records di Robbo Vigo, a Genova. Conoscevo già Robbo col quale avevo
avuto modo di lavorare anni fa e quindi il passo è stato breve.
Robbo ha apprezzato il materiale che gli abbiamo sottoposto e quindi
il disco è stato prodotto proprio dalla Analogy, un’etichetta per
il mercato Audiofilo su nastro magnetico, che produce i propri
artisti direttamente nel proprio studio, distribuendone direttamente
il master prodotto su bobina, il Reel To Reel Master Tape. Ovviamente
questo porta a raggiungere la massima qualità di riproduzione
possibile. Devo dire che a parte la poetica che sta dietro alla
filosofia dell’analogico e la poesia del suono analogico, il lavoro
per noi non ha comportato stravolgimenti. Abbiamo registrato tutto il
materiale in 2 giorni e mezzo e l’energia era così bella, serena
ed intensa tra di noi che alla fine eravamo completamente assorbiti
solo dalla nostra stessa musica. La resa acustica finale dell’album
è notevole: i bei suoni già in ripresa, il lavoro di Robbo in sede
di mix e la pasta sonora scaturita dall’uso del nastro hanno
portato la qualità di questa registrazione a livelli altissimi,
elemento di cui sono molto soddisfatto.
Prima
l’Elias Nardi Quartet, ora l’Elias Nardi Group, ma tu hai anche
altre collaborazioni: qual è la differenza tra l’oud di Elias
nelle proprie opere e in quelle di altri musicisti?
Sono
sempre lo stesso “io” assieme al mio amato oud, sicuramente.
Paradossalmente nelle altre collaborazioni, sia discografiche che
live, tendo ad avere uno spazio quasi maggiormente solistico che non
nei miei dischi, dove forse prediligo concentrarmi sull’aspetto
compositivo lasciando molto spazio alla band. Per il resto, visto “da
dentro”, credo che il mio suono e il mio modo di suonare sia sempre
lo stesso… ma forse “da dentro” si ha una visione solo
parziale, o no?
Nelle
liner notes Paolo Scarnecchia analizza bene la posizione
storico-musicale di quell’oud che, vedendo molte tue foto dal vivo,
stringi quasi abbracciandolo: quali sono le potenzialità di questo
strumento, qual è la sua unicità?
Trovo
che sia uno strumento estremamente evocativo, quello che io ho fin da
subito sentito come il veicolo migliore per quella ricerca
introspettiva, ma rivolta anche all’esterno, che porta a esprimere
se stessi in musica nella maniera più diretta, spontanea e genuina.
Il primo impatto con lo strumento mi ha fatto pensare “mah, io qui
ci sono già stato…”, come se lo strumento potesse essere un
luogo-non-luogo nel quale perdersi e ritrovarsi. Parlare di una sua
unicità però è complicato perché tutte queste sensazioni sono
estremamente soggettive, ed ogni strumentista che ami il proprio
strumento lo considera il più speciale. Personalmente trovo che
l’oud abbia enormi possibilità espressive che non lo limitano alla
sua dimensione tradizionale e alle relative latitudini ma possa
essere inserito anche in contesti diversi, mettendo queste qualità
timbriche al servizio di uno sviluppo musicale e di concetto che lo
avvicini più alla musica cosiddetta occidentale. Questo è quello
che sto cercando di fare io: sono un musicista Europeo e seppur mi
sia nutrito tantissimo di suoni e studi mediorientali, scrivo musica
principalmente europea sfruttando uno strumento che però non è nato
in Europa e non fa parte della sua imponente tradizione classica. Nel
mio piccolo questo è il modo che ho scelto per contaminare e far
coesistere i due mondi musicali. Naturalmente poi possiamo sempre
raccontare che l’oud non è altro che l’antico padre del nostro
Liuto, avvicinandolo ulteriormente alla nostra storia.
Da
Zone di Musica a Visage Music: entri in un catalogo assai apprezzato,
quello di Riccardo Tesi per intenderci.
Per
me questo è un salto in avanti sotto tutti i punti di vista.
Lavorare con Claudio Carboni, che è il direttore artistico di Visage
Music, è un grande piacere. Claudio è un bravissimo musicista ed
una gran bella persona e si è dimostrato molto disponibile ed
estremamente interessato a promuovere Flowers.
Avevo già lavorato con lui e Riccardo Tesi in occasione di alcuni
dischi di Banditaliana e di Riccardo alle cui registrazioni ho preso
parte come ospite. Riccardo è un amico e devo ringraziare anche lui
assieme a Claudio per il supporto che mi è stato dato per la
promozione e distribuzione, che sarà affidata a Materiali Sonori. La
scelta umana e professionale si è rivelata quella giusta e credo che
ci siano tutti i presupposti per poter realizzare buone cose. Poi
devo ammettere avere l’etichetta a dieci minuti da casa non è poi
tanto male…
Flowers
troverà spazio anche dal vivo, sia in Italia che all’estero: cosa
accadrà nei tuoi prossimi concerti?
Flowers
of Fragility
verrà proposto venerdì 18/9 al Teatro Clitunno di Trevi e verrà
presentato all’estero in un tour tra la Germania e il Belgio alla
fine di settembre. Seguiranno poi con altri concerti e show case da
qui alla fine dell’anno in Italia. Nel frattempo il disco è già
stato presentato in anteprima ad alcuni festival estivi sia nel
nostro paese che in Svizzera. La formazione è molto dinamica e
quindi il lavoro può essere proposto anche con un organico ridotto a
seconda delle esigenze. Naturalmente oltre alle attività live di
promozione intorno a Flowers,
nei prossimi mesi sarò impegnato in tour anche con altri progetti
come Sharg Uldusù 4tet assieme ad Ermanno Librasi, Max De Aloe e
Francesco D’Auria e con un nuovo progetto in Trio con Ares
Tavolazzi e il percussionista Emanuele Le Pera.
I prossimi due live dell'Elias Nardi Group saranno proprio nelle Fiandre, nei luoghi dove si manifestò l'ispirazione per il disco:
Martedì 29 settembre:
ELIAS NARDI GROUP w/Didier François
Pol Bonduelle's Exhibition Opening
Ypres (Ieper)
Mercoledì 30 settembre:
ELIAS NARDI GROUP w/Didier François
Pol Bonduelle's Exhibition Opening
Ypres (Ieper)
Info:
Elias Nardi:
Materiali Sonori:
Ufficio stampa Synpress44: