di
Goffredo Palmerini - L’AQUILA
– Sono passati più di sei anni da quella terribile notte del 6
aprile 2009, quando il sisma devastò il Monastero
delle Clarisse
e il centro storico di Paganica,
popolosa frazione a 9 chilometri dalla città capoluogo d’Abruzzo.
Alle 3 e 32 crollò il tetto del monastero, proprio sopra le celle
delle Sorelle claustrali. L’abbadessa Madre
Maria Gemma Antonucci
perì sotto le macerie. Ferite gravemente due Sorelle, le altre
miracolosamente illese. Continuavano le scosse quel giorno e in
seguito. Quel serpe s’agitò ancora per mesi, nel ventre della
terra, massacrando L’Aquila
e
i paesi del circondario. Le Sorelle clarisse, con l’aiuto dei
soccorritori e dei Vigili del Fuoco prontamente accorsi, messa in
salvo l’urna con il corpo incorrotto della Beata Antonia da
Firenze, che era custodita nella Chiesa del Carmine del complesso
conventuale, raccolte le poche cose recuperabili, partirono per
Pollenza,
in provincia di Macerata, per essere temporaneamente accolte nel
Monastero delle Clarisse. Lì la Beata
Antonia
è stata da allora custodita in sicurezza. Intanto, a qualche giorno
dal sisma, lo slancio di solidarietà promosso da Tele Pace, avviò
la generosa raccolta di fondi che permise, entro la chiusa murata del
convento, la costruzione d’un piccolo monastero in legno dove le
Clarisse, sotto la tenace guida dell’abbadessa Madre
Rosa Maria Tufaro
succeduta a Madre Gemma, fin dal dicembre 2009 hanno fortemente
voluto rientrare. Qui dimorano ancora, in spazi assai ristretti,
vivendo in preghiera, nel lavoro - tra l’altro, “scrivono”
magnifiche icone -, in unione spirituale e solidale con tutto il
territorio. Intanto, sul complesso conventuale imponenti lavori sono
da due anni in corso e un altro anno ancora sarà necessario per
portarli a termine, mentre la Soprintendenza ai Beni Culturali
dell’Aquila ha già quasi completato un pregevole restauro
dell’antica chiesetta di San Bartolomeo, annessa al Monastero, dove
il 16 luglio l’urna della Beata
Antonia verrà
collocata, in attesa di poter rientrare nella Chiesa del Carmine, a
restauro ultimato.
“Il
rientro della Beata Antonia
- dice Madre Rosa Maria - ci
ricolma di gioia. Finalmente a casa perché le persone possano
continuare a stare di fronte a lei che è madre che accoglie e
ascolta, con la preghiera rimasta sempre viva nel corso dei secoli”.
L’evento del rientro della Beata
Antonia
è di portata storica, perché ricompone un pezzo di memoria civile e
spirituale dell’Aquila dopo il sisma del 2009 e per la devozione
che gli Aquilani hanno sempre portato verso la loro Beata che,
insieme a S.
Bernardino da Siena,
a S.
Giovanni da Capestrano,
al Beato
Vincenzo dell’Aquila
e al Beato
Timoteo da Monticchio,
forma quella schiera di Santi francescani che hanno tenuto viva nella
città e nel suo territorio aquilano la sempre affascinante
spiritualità di Francesco e Chiara d’Assisi. Un evento rilevante
anche per la rinascita religiosa, per la stessa identità civica
dell’Aquila. E per quel rafforzamento del senso di comunità che il
terremoto ha messo a dura prova, che così potrà tornare ad
alimentarsi con l’amore del popolo aquilano verso la Beata,
mai attenuato anche in questi anni di assenza. Con grande
trepidazione, dunque, s’attende il rientro della Beata
Antonia
nel suo Monastero di Paganica.
Un denso programma è previsto in preparazione dell’importante
evento spirituale e civile. Presso il Monastero il 14
luglio,
alle ore 18:30, una conferenza con P.
Carlo Serri,
Ministro Provinciale dell’Ordine dei Frati Minori d’Abruzzo, con
la relazione “Dal
mondo al chiostro: l’esodo francescano della Beata Antonia da
Firenze”,
e con la dr.
Paola Poli,
Responsabile archivio arcidiocesano dell’Aquila, con la relazione
“Saper
fiorire dove il Signore ci ha seminati. Il culto della Beata
Antonia”.
Il 15
luglio,
alle ore 17, l’arrivo da Pollenza
dell’urna della Beata
Antonia
presso la Chiesa degli Angeli Custodi di Paganica
e alle ore 21 una Veglia di preghiera e Lectio divina con l’insigne
biblista Rosalba
Manes.
Dalla mattina del 16
luglio
e fino alle ore 18, animazione della preghiera da parte di gruppi,
movimenti, associazioni laicali, ordini secolari della Diocesi. Alle
18 la partenza dalla Chiesa degli Angeli Custodi in processione verso
il Monastero
S. Chiara.
Alle 18:30 la Messa Solenne presieduta da Mons.
Giuseppe Petrocchi,
Arcivescovo Metropolita dell’Aquila, animata dal Coro Giovanile
Diocesano. Finalmente la Beata
Antonia
ritorna nella sua terra e nella sua casa, il Monastero di S. Chiara a
Paganica,
dove le Clarisse dal 1997 vivono, dopo il trasferimento dal Monastero
dell’Eucarestia, nel centro storico dell’Aquila, per un luogo più
silenzioso e adatto alla vita contemplativa, trovato appunto a
Paganica
nell’ex Convento dei Frati Minori, da anni dismesso.
Nell’antico
Monastero
dell’Eucarestia,
in via Sassa a L’Aquila,
le Clarisse hanno abitato per secoli, fin da quando nel 1447 Giovanni
da Capestrano
lo affidò ad Antonia e alle sue religiose claustrali. Un prezioso
complesso, quello dell’Eucarestia, per quanto ormai inadatto con le
tante e diverse esigenze di oggi. E’ un vero e proprio scrigno
d’arte, sebbene il sisma l’abbia fortemente danneggiato. Il corpo
architettonico si distende lungo via Sassa. L’interno è a pianta
rettangolare, con massicce volte a crociera poggianti su capitelli
pensili del Rinascimento. Lo spazio ripartito in due ambienti
distinti: l’uno era riservato alle monache e l’altro, anteriore,
ai fedeli. Il muro divisorio con una grata permetteva alle Sorelle di
seguire dall’interno le funzioni religiose. Il Coro, interamente
affrescato da Paolo
Cardone
nel 1586, ha 99 stalli ed è opera di ebanisti milanesi di inizio
Cinquecento. La Chiesa conserva mirabili opere dei principali artisti
del Rinascimento abruzzese: Andrea
Delitio,
Francesco
da Montereale,
e appunto Paolo
Cardone.
Di particolare pregio gli affreschi di Andrea Delitio: l’Adorazione
del Bambino colpisce
il visitatore per le notevoli dimensioni e l’estrema delicatezza
nella resa dei volti. L’intento del pittore e di Antonia,
probabile committente dell’opera, era quello di mettere in evidenza
l’umiltà della Sacra Famiglia, nello spirito della prima regola di
S. Chiara. Altrettanto pregevole è l’affresco raffigurante la
Madonna
con Bambino e Sant’Ansano,
come pure preziosi sono i tre affreschi di Francesco da Montereale,
risalenti al 1490, che raffigurano la Crocifissione, la
Via
Crucis
e la
Teoria
di Santi Francescani.
Come
si diceva, la Beata
Antonia
(Firenze, 1400 – L’Aquila, 1472) è una figura preminente nella
spiritualità aquilana e nel contesto del grande movimento riformista
del francescanesimo che va sotto il nome di Osservanza
minoritica.
Il movimento fu fortemente presente dal 1415 in poi a L’Aquila e in
Abruzzo, al centro d’un fenomeno di dimensioni europee con
importanti ricadute sulle comunità abruzzesi sia sotto gli aspetti
religiosi che per quelli sociali e culturali. La Deputazione
Abruzzese di Storia Patria e la Provincia Francescana dei Frati
Minori d’Abruzzo opportunamente sta celebrando il VI
Centenario dell’Osservanza in Abruzzo
con numerosi eventi, che si concluderanno nel prossimo mese di
ottobre. Ma del notevole rilievo dell’Osservanza ce lo dicono la
stessa biografia della Beata
Antonia
ed il contesto storico e spirituale del Quattrocento, nel territorio
aquilano e in generale. Ne vogliamo tracciare qui una sintesi, anche
per comprendere l’attaccamento che gli Aquilani nutrono verso il
francescanesimo e le sue figure più rappresentative.
Antonia
nacque a Firenze
intorno al 1400. Andata sposa giovanissima ad un suo coetaneo,
prematuramente morto a qualche anno dal matrimonio, ebbe un figlio
che curò da sola e da sola attese alla sua prima educazione. Non
intese passare a seconde nozze, nonostante le raccomandazioni dei
familiari, per l’inatteso arrivo della chiamata alla vocazione. In
quegli anni Bernardino
da Siena,
insieme ad altri frati minori, stava diffondendo l’Osservanza,
che avrebbe dato un nuovo impulso all’ordine francescano con il
richiamo all’austerità della Regola di Francesco ed alla povertà.
Bernardino, predicando nelle chiese e sulle piazze di tutta Italia,
aveva suscitato un’autentica primavera di vita cristiana. Predicò
anche nella Chiesa di S. Croce, a Firenze,
dall’8 marzo al 3 maggio 1425. Antonia
lo ascoltò, maturando nel cuore la decisione di consacrarsi a Dio.
Entrò quattro anni dopo nel Terz’ordine francescano regolare femminile, fondato dalla Beata Angelina dei Conti di Marsciano. L’accolse il Monastero fiorentino di S. Onofrio, nel quale rimase per poco tempo, perché dalla fondatrice chiamata prima a Foligno, ad Assisi e poi a Todi. Infine, richiesta a L’Aquila per fondarvi un Monastero di terziarie, Antonia fu inviata insieme a un piccolo drappello di suore. Era il 2 febbraio 1433.
Rimase alla guida del Monastero di S. Elisabetta per 14 anni, ma la pur intensa vita spirituale non riusciva ad appagare il suo desiderio d’una sempre più profonda contemplazione. Andava così maturando in lei il pensiero di lasciare il Terz’Ordine per abbracciare la Regola di S. Chiara. In quegli anni altri monasteri di Clarisse, vicine al movimento degli osservanti, stavano vivendo un intenso rinnovamento, volendo rivivere la freschezza delle loro origini, mediante la primitiva Regola di S. Chiara. In questa decisione forte ed eroica, Antonia trovò sostegno spirituale e guida in Giovanni da Capestrano, in quegli anni a L’Aquila, che procurò i locali necessari per lei e le consorelle che avevano deciso di seguirla. Era il 16 luglio 1447. Un grande corteo di cittadini con a capo Giovanni da Capestrano, partendo da Collemaggio, accompagnò la Beata e le altre 13 sorelle al Monastero dell’Eucarestia, chiamato successivamente “della Beata Antonia”, dopo la morte di lei. Incominciò così sotto il segno della più stretta povertà l’ultimo cammino ascensionale di Antonia, che portò tanto splendore all'Ordine delle Sorelle povere di S. Chiara. Per sette anni tenne l’ufficio di Abbadessa impostole da Giovanni da Capestrano, poi tornò nel silenzio e nella contemplazione più profonda del mistero di Cristo crocifisso, nel quale s’immedesimò completamente. Ma quei sette anni di badessato furono sufficienti ad imprimere uno straordinario impulso alla vita contemplativa del monastero, nella perfetta osservanza della Regola, tanto che la fama si diffuse subito in città e nei dintorni, procurando numerose altre vocazioni.
Entrò quattro anni dopo nel Terz’ordine francescano regolare femminile, fondato dalla Beata Angelina dei Conti di Marsciano. L’accolse il Monastero fiorentino di S. Onofrio, nel quale rimase per poco tempo, perché dalla fondatrice chiamata prima a Foligno, ad Assisi e poi a Todi. Infine, richiesta a L’Aquila per fondarvi un Monastero di terziarie, Antonia fu inviata insieme a un piccolo drappello di suore. Era il 2 febbraio 1433.
Rimase alla guida del Monastero di S. Elisabetta per 14 anni, ma la pur intensa vita spirituale non riusciva ad appagare il suo desiderio d’una sempre più profonda contemplazione. Andava così maturando in lei il pensiero di lasciare il Terz’Ordine per abbracciare la Regola di S. Chiara. In quegli anni altri monasteri di Clarisse, vicine al movimento degli osservanti, stavano vivendo un intenso rinnovamento, volendo rivivere la freschezza delle loro origini, mediante la primitiva Regola di S. Chiara. In questa decisione forte ed eroica, Antonia trovò sostegno spirituale e guida in Giovanni da Capestrano, in quegli anni a L’Aquila, che procurò i locali necessari per lei e le consorelle che avevano deciso di seguirla. Era il 16 luglio 1447. Un grande corteo di cittadini con a capo Giovanni da Capestrano, partendo da Collemaggio, accompagnò la Beata e le altre 13 sorelle al Monastero dell’Eucarestia, chiamato successivamente “della Beata Antonia”, dopo la morte di lei. Incominciò così sotto il segno della più stretta povertà l’ultimo cammino ascensionale di Antonia, che portò tanto splendore all'Ordine delle Sorelle povere di S. Chiara. Per sette anni tenne l’ufficio di Abbadessa impostole da Giovanni da Capestrano, poi tornò nel silenzio e nella contemplazione più profonda del mistero di Cristo crocifisso, nel quale s’immedesimò completamente. Ma quei sette anni di badessato furono sufficienti ad imprimere uno straordinario impulso alla vita contemplativa del monastero, nella perfetta osservanza della Regola, tanto che la fama si diffuse subito in città e nei dintorni, procurando numerose altre vocazioni.
Era
tale la povertà che le Clarisse s’imposero che alcuni giorni dopo
l’ingresso in monastero mancava anche lo stretto necessario per
sopravvivere e lei di persona decise d’uscire per chiedere
elemosina. Seppe tuttavia vivere l’austera povertà con letizia
evangelica, tanto da essere sempre allegra, che pareva abbondasse
d’ogni cosa. Sapeva trascinava tutte, con la parola e l’esempio.
Era forte e materna, coltivando con tutte l’unità e l’armonia
della vita fraterna. Le sorelle della fraternità subirono il fascino
del suo esempio e molte di loro offrirono alla Chiesa un genuino
esempio di santità, come Ludovica
Branconio,
Giacoma
dell’Aquila,
Bonaventura
d’Antrodoco,
Paola
da Foligno,
Gabriella
da Pizzoli,
Giacoma
da Fossa,
proclamate Beate,
ed altre ancora. Antonia visse sempre in obbedienza ed umiltà. Il
suo stile di vita sempre limpidamente evangelico: occupava a mensa e
in coro l’ultimo posto, indossava i vestiti più logori della
comunità. Le sorelle inferme, deboli, tentate e scoraggiate,
trovavano sempre in lei conforto e l’amore tenero di una madre, pur
essendo lei stessa affetta da un’orribile piaga che mantenne
nascosta.
Diversi
i fenomeni mistici, di cui le sorelle furono testimoni, frutto del
suo grande amore per il Signore. Durante la preghiera risplendette
sul suo capo un globo di fuoco, fu vista lievitare da terra e lei
stessa è testimone della visione della Madre di Dio con in braccio
Gesù bambino.
Antonia
morì
la sera del 29 febbraio 1472, “vegliata dalle sorelle che udirono
suoni di cetre, organi e canti”. Fu l’inizio della sua
glorificazione. Il suo trapasso fu segnato da miracoli prima ancora
che fosse inumata la salma, come le guarigioni istantanee d’un
aquilano sofferente di idropsia e di suor Innocenza clarissa, anche
lei aquilana, che fu guarita dalle numerose piaghe. Quindici giorni
dopo la sepoltura le suore riesumarono il sacro corpo per rivederlo
prima che si disfacesse completamente. Con grande meraviglia lo
rinvennero incorrotto. Ripeterono più volte l’esperienza, tanto
che se ne diffuse la voce in città. Ma per evitare esagerazioni il
vescovo, cardinale Amico
Agnifili,
ordinò che la salma fosse sepolta allo scoperto, fuori del luogo
sacro. Cinque anni più tardi il vescovo Ludovico
Borgio,
successore dell’Agnifili, concesse la riesumazione del corpo,
trovato nuovamente incorrotto. Solo allora venne autorizzato il culto
pubblico e il corpo fu levato da terra. Dopo regolare processo
canonico, il 28 luglio 1848, Pio
IX
la dichiarava Beata. Il messaggio lasciato dalla Beata
Antonia
è quello d’una santità gioiosa e nascosta, totalmente avvolta
nella segreta bellezza di un Dio sommamente amato. Ancor oggi le
Sorelle povere, trascinate dal suo esempio e da quello di S. Chiara,
vivono una vita semplice, nel silenzio del chiostro, ponendo Dio come
il Tutto della loro vita. Le Sorelle dell’antico Monastero
dell’Aquila, oggi trasferite nel nuovo Monastero di S. Chiara a
Paganica,
custodiscono con fedeltà il corpo incorrotto della loro Madre e
continuano il cammino di consacrazione, nella gioia d’un amore che
non ha fine. Sono davvero un punto di riferimento spirituale, di
serenità, di attenzione verso gli ultimi, di preghiera, che molto
giova ad una comunità così duramente colpita dalla tragedia del
terremoto, consapevole della certezza di trovare nelle Clarisse un
luogo sicuro di meditazione e fraternità.
Vediamo
ora quale fu il contesto storico e spirituale nel quale l’Osservanza
minoritica maturò,
con particolare riguardo a L’Aquila
e l’Abruzzo,
per poi diffondersi in Italia
e in tutta Europa.
Alla morte di Francesco
d’Assisi
l’Ordine minoritico che egli aveva fondato era già molto diffuso,
raggiungendo negli anni successivi, oltre che buona parte del
continente europeo, anche Irlanda,
Scozia,
le regioni balcaniche e perfino la Scandinavia.
Tuttavia, con la morte del fondatore, l’Ordine dei frati minori
dovette affrontare una grave crisi d’identità, a causa d’una
progressiva normalizzazione che portò all’accentuazione del
carattere clericale. La fase evolutiva si concluse con Bonaventura
da Bagnoregio
che, eletto ministro generale dell’Ordine nel 1257, redasse una
biografia ufficiale di Francesco e ordinò la distruzione
delle “legende”
più
antiche, come quella scritta da Tommaso
da Celano,
e promulgò le nuove costituzioni dell’ordine. Sotto la sua guida
lo scopo dell’Ordine divenne quello di rispondere alle necessità
più urgenti della Chiesa, come la predicazione, le missioni e la
lotta all’eresia, cosicché i francescani iniziarono a non
rifiutare d’accettare la dignità di vescovo o la carica di
inquisitore. La povertà venne quindi interpretata come semplice
rinuncia a ogni forma giuridica di proprietà e venne introdotta la
nozione di “uso in povertà” dei beni materiali.
Durante
tutto il Duecento e
oltre, in seno all’ordine s’accese una forte disputa tra frati
favorevoli ad una interpretazione più blanda della Regola, in modo
da privilegiare lo studio e la predicazione nelle città, e altri più
inflessibili nel chiedere il ritorno alla volontà originaria del
fondatore e all’interpretazione letterale della Regola, specie in
materia di povertà. Queste posizioni rigoriste e radicali circa
l’austero rispetto della Regola si fuse con le attese apocalittiche
del pensiero di Gioacchino
da Fiore,
dando vita al movimento degli Spirituali,
che ebbe forte riferimento anche organizzativo con Angelo
Clareno
e Ubertino
da Casale,
quest’ultimo anche con atteggiamenti fortemente critici verso il
papato. E peraltro il movimento esercitò una forte influenza sulla
vita spirituale e religiosa di quel periodo, che attendeva l’Era
dello Spirito,
resa ancora più imminente nelle attese con l’elezione al soglio
pontificio del monaco eremita Pietro
del Morrone,
diventato papa Celestino
V,
che nei cinque mesi di papato prima della sua storica rinuncia, il 13
dicembre 1294, aveva fatto diversi atti innovatori, come l’emissione
della Bolla della Perdonanza,
che istituiva il primo giubileo della Cristianità concedendo
l’indulgenza plenaria e gratuita a chiunque si recasse sinceramente
pentito e confessato, dai Vespri del 28 a quelli del 29 agosto d’ogni
anno, alla Basilica di Collemaggio, a L’Aquila. O come la
concessione agli Spirituali
della facoltà di organizzarsi in Ordine religioso che osservasse
alla lettera la Regola di Francesco e la vita eremitica. Pensò il
suo successore Bonifacio
VIII
ad annullare la concessione, ed i successivi pontefici Clemente
V
e Giovanni
XXII
a bollare d’eresia il movimento degli Spirituali, definendo
“fraticelli”gli
eretici.
Nel
1368
Paoluccio Trinci
ottenne dal ministro generale Tommaso
da Frignano
il permesso di riaprire l’eremo di Brogliano
e di osservare la regola in tutto il suo rigore. La santità
personale di frate Paoluccio, la sua sottomissione alle autorità
ecclesiastiche e la protezione politica assicurata dai suoi
familiari, signori di Foligno,
permisero alla comunità di Brogliano di svilupparsi e raggiungere la
stabilità, facendone un autorevole centro di riforma che conobbe una
rapida diffusione, in Umbria e nell’alta Sabina (Rieti). La riforma
di Brogliano acquisì stabilità giuridica definitiva nel 1388 quando
per Paoluccio venne approvato il titolo di commissario anche dal
ministro generale dell’Ordine, Enrico
Alfieri.
Fu quella di Paoluccio la prima comunità dell’Osservanza. Sotto il
commissariato di Giovanni
da Scontrone
le comunità osservanti salirono a trentaquattro e i frati a
duecento. Ma il maggiore sviluppo s’ebbe con l’ingresso di grandi
personalità, come quelle di Bernardino
da Siena,
Giovanni
da Capestrano
e Giacomo
della Marca,
con il sostegno di Alberto
da Sarteano.
Sotto il loro influsso gli osservanti, pur mantenendo stile di vita
eremitico, si aprirono agli studi e all’apostolato della
predicazione. Il successo e la forte diffusione dei frati osservanti
acuirono i contrasti con i francescani “conventuali”, favorevoli
ad una regola meno rigida. Per
riportare all’unità l’Ordine, diviso in conventuali e
osservanti, nel 1430 Martino
V
diede ai francescani delle nuove costituzioni, elaborate da Giovanni
da Capestrano
- fine giurista, prima di diventare frate -, con norme accettabili da
entrambe le parti sulla proibizione dell’uso del denaro e sulla
rinuncia ai beni immobili. Ma il tentativo si rivelò un insuccesso,
come pure quelli degli anni successivi. Nel 1438 venne
eletto vicario generale degli osservanti Bernardino
da Siena,
che scelse Giovanni
da Capestrano
come suo assistente. Con la maggiore autonomia concessa nel 1446 da
papa Eugenio
IV,
l’Osservanza francescana si diffuse rapidamente in Francia,
Germania
e nei Paesi
Bassi,
poi in Austria,
Ungheria,
Polonia
e
Boemia,
specie sotto l’influsso della predicazione di Giovanni
da Capestrano.
Ancora
un’annotazione per concludere con l’opera della Beata
Antonia
e dell’Osservanza
francescana in
territorio aquilano. Gli osservanti erano arrivati all’Aquila
intorno al 1415. Ma la forte espansione del movimento s’ebbe con la
predicazione a L’Aquila
di S.
Bernardino
da Siena
(Massa Marittima, 1380 – L’Aquila, 1444), insieme a S.
Giovanni da Capestrano
(Capestrano, 1386 – Ilok, 1456) e S.
Giacomo della Marca
(Monteprandone, 1393 – Napoli, 1476), che con Alberto
da Sarteano
costituiscono le quattro colonne portanti dell’Osservanza. Alla
loro opera s’unì la Beata
Antonia,
insieme alle consorelle clarisse, con il grande carisma che
l’animava. Grande la fioritura spirituale nel Quattrocento, dunque,
grazie a queste grandi figure, cui s’aggiunsero i francescani
osservanti Beato
Vincenzo dell’Aquila
e Beato
Timoteo da Monticchio,
insieme alle numerose Beate
clarisse,
già citate, tutti straordinari testimoni della fede.
Con
loro, e con l’Osservanza, fiorì la rinascita spirituale a
L’Aquila,
in Abruzzo,
in Italia
e in Europa.
Rinascita resa ancor più feconda dalla scelta di Bernardino
di tornare in città, sentendo vicina la morte. “Eamus,
fratres, ad Aquilam. Non subsisto possum, ad Aquilam, ad Aquilam, ad
Aquilam missus sum”.
Così la
notte del 30 aprile 1444 Bernardino
degli Albizzeschi,
64 anni, sfinito ed emaciato dalla malattia e dalla penitenza, aveva
salutato per l’ultima volta i frati del convento della Capriola,
nei pressi di Siena.
Vincendo le loro preoccupate implorazioni a restare in città, spinto
da una grande forza interiore, con quattro confratelli s’era messo
in cammino verso l’Abruzzo in quello che sarebbe stato il suo
ultimo viaggio. Un viaggio lungo, faticoso, pieno di sofferenze.
Giunto all’Aquila, nel suo convento di San Francesco, sentendo
arrivare l’ora del trapasso, Bernardino aveva chiesto ai
confratelli d’essere deposto, spoglio e con le braccia aperte a
croce, sul nudo pavimento della sua cella. Poco dopo, al vespro di
quel mercoledì, spirò. Era il 20 maggio del 1444. Con tutte le
residue forze aveva desiderato transitare alla vita eterna non nella
sua terra toscana ma ad Aquila, la bella città che più amava, dove
aveva predicato insieme ai fedeli discepoli Giovanni
da Capestrano
e Giacomo
della Marca,
esercitando una grande influenza nella vita spirituale, sociale e
civile.
Enorme
commozione aveva procurato nella città la scomparsa di Bernardino
da Siena.
Gli aquilani avevano ottenuto che le sue spoglie riposassero
all’Aquila. Il processo di canonizzazione, subito avviato, in
appena sei anni aveva portato alla santificazione di Bernardino. A 10
anni dalla morte del santo, dalla Polonia,
Giovanni da Capestrano aveva indirizzato agli Aquilani una lettera,
una durissima reprimenda alla città, per non aver ancora edificato a
San Bernardino la basilica promessa. Ne valse la pena, perché
iniziarono presto i lavori per edificare quella meraviglia
rinascimentale che è la Basilica di San Bernardino, dove le spoglie
del Santo senese riposano nello splendido mausoleo scultoreo di
Silvestro
dell’Aquila.
Giovanni da Capestrano, “grande apostolo e difensore dell’Europa”,
come lo ha definito Giovanni
Paolo II,
nel
1456 girò in lungo e in largo l’Europa orientale, su incarico del
papa, predicando
la mobilitazione contro i Turchi, che avevano invaso la penisola
balcanica. Con le migliaia di volontari raccolti partecipò nel
luglio di quell’anno all’assedio e alla liberazione di Belgrado,
con la sconfitta dell’esercito turco. Purtroppo vi contrasse la
malattia che tre mesi dopo l’avrebbe portato alla morte, ad Ilok,
in Croazia.