Gli
agricoltori del territorio di Turi,
agl’inizi del ‘900, vivevano producendo prodotti agricoli
redditizi e molto richiesti sul mercato: olio, vino, mandorle, legumi
e cereali. Altri frutti da loro coltivati, erano solo ed
esclusivamente per il consumo familiare. Quindi era impensabile
immaginare che la coltivazione del ciliegio a Turi, un giorno, poteva
divenire una fonte significativa di reddito.
Tuttavia,
negli anni trenta del ‘900, ad un agricoltore turese capitò di
osservare che in un suo terreno era nato spontaneamente un ciliegio
in cumulo di pietre. Arrivato il giorno della maturazione dei suoi
frutti, l’attento agricoltore ne gustò le caratteristiche,
apprezzandole con immenso stupore.
La
nuova ciliegia si mostrava dal colore rosso brillante, con un lungo
peduncolo, e con una morfologia ‘a
forma di cuore’.
Inoltre la sua polpa era consistente, dal sapore leggermente acidulo,
gusto intenso, e con un grado zuccherino molto delicato. Dopo averne
apprezzato le qualità, gli agricoltori turesi, decisero che con
quelle caratteristiche peculiari, si doveva denominare ‘ciliegia
ferrovia di Turi’,
in quanto si poteva utilizzare, per l’appunto, il vettore della
ferrovia, intendendo che il prodotto si poteva trasportare e
commercializzare con il treno, senza usare i lenti e polverosi carri
agricoli ‘traini’,
tirati
dai muli e dai cavalli. Con il treno merci il fragile frutto avrebbe
potuto raggiungere in tempi ragionevoli i lontani mercati del nord
Italia, tanto da farla conoscere ed apprezzare quella che sarebbe
divenuta la nostra ‘eccellenza pugliese’.
La
ciliegia
ferrovia
di Turi, negli anni, ha conservato intatto il suo nome, le sue
qualità, ed il suo ineguagliabile calibro, che oscilla tra i 28 ed i
30 mm. Oggi il territorio di Turi ha una superficie coltivata a
ciliegio di circa 3800 ettari, con una produzione annuale di 100 mila
quintali. Si rimane in trepidante attesa, da ormai troppo tempo, di
ricevere il marchio D.O.P. da parte del Ministero delle Politiche
Agricole e Forestali, ‘politica permettendo’.
Da
questi cenni storici si delinea come in Puglia, ed in particolare nel
sud est barese, si sia formato e sviluppato negli ultimi decenni un
interessante polo cerasicolo. I dati della Confederazione Italiana
Agricoltori dicono che la Puglia è la prima regione produttrice in
Italia, con una produzione di circa 500 mila quintali, su una
superficie di circa 14 mila ettari.
La
D.O.P (denominazione
d’origine protetta),
è un marchio di tutela giuridica della denominazione che viene
attribuito dall’Unione Europea agli alimenti le cui peculiari
caratteristiche qualitative dipendono essenzialmente dal territorio
in cui sono stati prodotti. L’ambiente geografico, i fattori
naturali, il clima, e soprattutto le tecniche di produzione,
tramandate nel tempo dai nostri avi: tutto questo deve essere
combinato con sapiente esperienza, consentendo di ottenere un
prodotto ‘unico’
per quel territorio. Tuttavia, chi produce prodotti con marchio
D.O.P., deve attenersi alle rigide regole produttive, stabilite nel
disciplinare di produzione, ivi compreso l’uso illegittimo e
sciagurato di prodotti chimici banditi dal Ministero della Sanità e
quindi banditi dalla legge Italiana. (caso Dormex, ma questa è
un’altra storia).
Tuteliamo
il nostro “made in Italy”, onde evitare che i consumatori
acquistino, inconsapevolmente, prodotti della terra ‘farlocchi’,
prodotti non certificati, venduti nei mercati italiani ed europei a
caro prezzo, per prodotti coltivati in Italia, ma realmente
provenienti da stati extracomunitari. Questa infame e truffaldina
politica commerciale, danneggia gravemente tutto il comparto agricolo
Italiano, ivi compreso i nostri agricoltori, che oggi più che mai
sono attanagliati dalle innumerevoli tasse, balzelli, e sottoposti ai
continui e pressanti controlli d’ogni tipologia.
Per l’occasione
abbiamo colloquiato con il dott. Antonello Palmisano, esperto in
scienze naturali, nonché consigliere delegato all’agricoltura del
Comune di Turi il quale ci ha detto: “L'anno
2015 sarà ricordato tra i più nefasti per l'imprenditoria agricola
turese che poggia la propria economia quasi esclusivamente sulla
cerasicoltura. Si tratta di un'annata particolare in cui il freddo
invernale, necessario per la dormienza della pianta, si è protratto
oltre quelle che sono le medie stagionali seguito dalle improvvise
alte temperature primaverili. Questo ha reso complicato sia le
dinamiche di maturazione che di raccolta, portando alla diminuzione
del calibro delle ciliegie (la dimensione del frutto) e ad un
ravvicinamento tra le diverse varietà Bigarout, Giorgia e Ferrovia.
Il risultato finale è stato tragico: i mercati si sono presto
intasati di ciliegie con conseguente svalutazione del prodotto che
all'agricoltore che conferisce presso i magazzini ortofrutticoli è
stato pagato fino anche a 0,70 centesimi di euro, ben al disotto dei
costi di produzione e raccolta costringendo i produttori in molti
casi a lasciare le ciliegie sugli alberi, con stime di raccolto perso
che in alcuni casi superano il 30-40%. A questo si è aggiunta una
violenta grandinata negli ultimi giorni di maggio che ha colpito una
fascia ben estesa di territorio con ulteriore perdita di prodotto.”
La
qualità dei frutti non è stata intaccata dagli eventi climatici;
infatti anche quest'anno la ciliegia Ferrovia di Turi è stata
premiata dall'Associazione Città della Ciliegia come MIGLIORE
CILIEGIA D'ITALIA DEL 2015, la premiazione avvenuta durante
l'edizione conversanese della Festa Nazionale della Ciliegia conferma
il potenziale che la Ferrovia di Turi e del sud-est barese può
ancora esprimere, proponendosi sui mercati italiani ed esteri come
prodotto d'eccellenza. In definitiva la “ferrovia” rimane la
regina delle ciliege.
Stefano
de Carolis
www.corrierepl.it