di Domenico Logozzo* - E’
nata e vive in Argentina,
ma il cuore la porta in Italia. Sandra
Repice
da quando era bambina ha un sogno: conoscere il Bel Paese dei nonni.
Insegnante, 49 anni, abita a Lomas de Zamora, una località non
lontana da Buenos
Aires.
I suoi genitori sono figli di italiani emigrati agli inizi del
Novecento. Pure loro sono nati in Argentina, ad Avellaneda. Sandra in
Italia non c’è mai stata. “Voglio visitare la Calabria, appena
posso, con i miei genitori, per conoscere i paesi dove sono
nati i miei nonni. Ho visto le foto del mare di Gioiosa. E’ un
posto meraviglioso! Un mare che mi emoziona. A volte penso che
mio nonno di fronte al mare sognava una famiglia, una vita piena
di progetti. E ha ottenuto importanti risultati, perché ha creato
una famiglia affettuosa e forte. Questo mare, se Dio vuole, presto lo
vedrò. E’ il mio sogno. Sarà realtà. Come nipote di
immigrati calabresi sento l'orgoglio e la passione per la terra
da dove loro sono partiti. Apprezzo la decisione coraggiosa. Hanno
dovuto lasciare tutto, sapendo che forse non sarebbero mai più
tornati indietro”.
Il
sogno italiano di Sandra è condizionato pure dalla situazione
economica: “Non è favorevole il cambio favorevole della moneta
argentina con l’euro o con il dollaro. Per un Euro ci vogliono
11 pesos argentini, per un dollaro 8 pesos argentini. Si può
viaggiare con la Agenzia di Turismo della Associazione Calabrese che
è molto conveniente”. In attesa di poter concretizzare il grande
desiderio, lancia un appello: “Sarebbe meraviglioso trovare
oggi i nostri parenti in Calabria. Abbiamo cercato un contatto, ma
finora senza successo. E colgo questa occasione per invitare chi
porta il nostro stesso cognome a scriverci su facebook. Abbiamo anche
cercato di metterci in contatto con il radiocronista della Rai
Francesco Repice, che ha origini calabresi. Un nipote di mio padre
nel 1947 era dirigente del Crotone e si chiamava proprio Francesco
Repice. Ho una foto della squadra crotonese che risale a 68 anni fa.
L’ho fatta pubblicare sulla pagina facebook GIOIOSA IONICA. La
nostra è una famiglia con una importante tradizione sportiva, che si
tramanda di generazione in generazione. Adesso c’è un nipotino,
Santiago, di 13 anni, che gioca con l’Almirante Brown di
Adrogué, nella provincia di Buenos Aires”.
Sandra prosegue
nell’appassionata scoperta delle radici e con grande orgoglio
dice: “Mi sento italiana nel più profondo del cuore. Io sono
cittadina italiana, come la maggior parte della famiglia. Mia madre
ha origini liguri e mio padre calabresi”. Siamo alla vigilia
della grande festa annuale dei calabresi d’Argentina che ci sarà
il 12 aprile a Buenos Aires, nel segno di San Francesco di Paola. Una
manifestazione, quella voluta dalla FACA, che conferma di anno in
anno quanto è forte il legame con la terra dei padri. La devozione
al Santo Patrono della Calabria è immensa. In suo onore il 12 aprile
sarà celebrata una messa nella Cattedrale Metropolitana di Buenos
Aires. Molti, a partire da me, hanno il corpo in Argentina, ma il
cuore in Italia. Nella festa coinvolte le associazioni calabresi
che promuovono le attività turistico-culturali. Ci sono
spettacoli di danza con i costumi, i suoni e i canti della
tradizione. E poi stand con prodotti tipici regionali. La
partecipazione è notevole e sono tanti gli stranieri
in vacanza che sono attratti da un evento che mette in luce le
particolarità della Calabria”.
Completa
integrazione. La docente italo-argentina afferma che in effetti
”l’Argentina si identifica sostanzialmente con l’“impronta
italiana”. C’è tanta Italia nell’Argentina di oggi. Non solo
numericamente. Il 65% della popolazione è infatti discendente di
italiani. Fa parte della classe medio-alta: uomini d'affari e
imprenditori apprezzati nel mondo dell’edilizia. I primi immigrati
italiani hanno costruito praticamente quasi tutto in Argentina”.
Gli argentini apprezzano la forza che ha avuto l'Italia di
risollevarsi da guerre devastanti e gravi disastri. Solo le
persone realmente forti possono farcela. E questo è un motivo
di orgoglio e di grande emozione per quasi tutti gli
argentini di origine italiana”. Precisa: “Ho molto amore e
rispetto per le radici perché danno sempre la forza necessaria per
affrontare le maggiori difficoltà che la vita ci mette davanti”.
Poi evidenzia: “Gli italo-argentini vogliono mantenere vive le
tradizioni e le usanze della cultura italiana”.
C’è
tanto interesse per lo studio della lingua. Sandra
Repice
frequenta le associazioni culturali qualificate come la Dante
Alighieri: “Da sempre sono interessata a imparare bene la lingua.
Posso studiare solo ora, ma non è mai troppo tardi, e mi piace
molto. Ci sono scuole di buon livello. Bisogna fare in modo che
lo studio dell’italiano entri sempre di più nelle scuole
argentine. Cosa che stiamo ottenendo, sia pure lentamente.
Serve il contributo di tutti”. Ricorda: “Una volta c’erano i
piani di studio italiani e si insegnava il latino. Sono stati
sostituiti dal francese e dall’inglese”. Si dice “disponibile a
partecipare alle iniziative culturali per fare in modo che si
concretizzino i sospirati cambiamenti”. La docente
italo-argentina ha un figlio di 20 anni, Pablo, che lavora con il
padre architetto e studia Storia all’università. E’ molto
legata al mondo della scuola: “Ho scelto di fare l’insegnante
perché credo che attraverso l'educazione possiamo fare un
paese grande e potente”. Ha un ruolo importante: “Sono
ispettrice di Scuola Media a Lanús e sono anche insegnante
di Didattica e Pratica. Ho iniziato ad insegnare al liceo
quando avevo 21 anni. Una professione che mi piace tantissimo e alla
quale ho dedicato e dedico tanto tempo e impegno. Un percorso
scolastico che mi ha dato finora belle soddisfazioni ma anche grosse
responsabilità. Sono stata anche direttrice di una scuola con mille
alunni e 120 insegnanti”.
L’attenzione
oggi la sta concentrando principalmente sullo studio dell’italiano.
“Perché amo l´Italia, mi piacciono le abitudini e la cultura
italiana. La ricchezza del linguaggio, la stessa storia d'Italia, che
significa il primo germe dell'umanità”. E il pensiero va ai nonni:
“Il mio sogno da bambina era imparare la lingua italiana e parlare
come i miei nonni, Salvador ed Emilia. Mi piaceva andare a trovarli
tutte le domeniche. Mangiavamo tutti insieme e mio padre parlava in
dialetto con loro. Io ascoltavo con piacere, sebbene non
capissi niente del loro parlare”. Ha nostalgia dei
“bei ricordi degli anni Settanta”. Quando si stava a tavola, si
mangiava calabrese, si colloquiava e ci si divertiva. Il piacere di
stare insieme. “Proprio così, c’era un formidabile calore nei
rapporti umani, la famiglia era unita, la comunicazione era diretta.
Altro che distrarsi -come si fa oggi- con i telefonini. Allora mia
nonna cucinava i dolci per la merenda di tutti gli amici, aveva tempo
per fare diverse cose che a me piacevano assai. Ora tutto si fa
in fretta. Non ho tempo per niente. Si potrà recuperare il
bello di quel tempo? Lo spero”.
E
intanto Sandra rivive le gioie dell’infanzia. Sfoglia con
noi l’album della memoria. “Avevo 8 anni. Con i miei
genitori Roque Repice e Alba Rocchetta, eravamo stati a pranzo nella
casa della madrina di mio padre, che si chiamava Carmela. Alla
fine,uno degli ospiti si era alzato per aiutare la padrona di casa a
sparecchiare. Stava togliendo la tovaglia, quando la signora Carmela
lo fermò: “Aspetti che prima raccolgo tutte le briciole. E con
pazienza recuperò le mollichine una ad una. Le mise in un piatto:
“Nulla si deve buttare”. Rievocando i tempi duri della guerra,
quando non c’era da mangiare. Quel gesto è rimasto impresso
nella mia memoria. Per sempre. I nostri genitori ci hanno insegnato
che non dobbiamo mai buttare via il cibo, perché il cibo è sacro.
Così ci hanno insegnato”. Pagine di storia. Capitoli ricchi di
sentimenti e di cultura. Le certezze e le lezioni. La saggezza
degli anziani, un tesoro per le giovani generazioni. Eredità da non
disperdere. “Mi ricordo ogni singola parola dei miei nonni. Parole
d'amore per la loro terra e di ringraziamento per l’Argentina
che li ha ospitati. Odiavano la guerra per tutti i danni che
aveva causato. Mio nonno, Salvador Repice, di Gioiosa Jonica, dopo
avere prestato il servizio militare a Napoli per due anni nella
Marina, è venuto in Argentina nel 1923. Prima è stato a Valentín
Alsina e poi ad Avellaneda, entrambe nella zona a sud di Buenos
Aires. A Gioiosa aveva studiato. Aveva una certa cultura ed era
riuscito ad inserirsi subito e bene nel mondo del lavoro. Fondò una
società di costruzioni, chiamandola “Salvador Repice”, alla
quale successivamente aggiunse i nomi di mio padre, di mio zio e del
mio bisnonno Roque, che a Gioiosa aveva lavorato nelle ferrovie.
Realizzarono importanti opere, come il cablaggio sotterraneo di
Buenos Aires e della Provincia. Dopo 50 anni l’intero impianto è
in condizioni eccellenti”.
Sandra
era una bambina curiosa. Ai nonni faceva continuamente domande,
voleva avere risposte ai tanti “perché?”. E le otteneva.
Stava ore ed ore ad ascoltarli. Affascinata dai loro racconti.
L’amara situazione in cui si viveva nei paesi calabresi. La
povertà. La via obbligata della triste emigrazione. Dal
profondo Sud alle regioni ricche del Nord,nelle nazioni europee dove
c’era bisogna di manodopera. E più lontano ancora, negli Stati
Uniti, in Venezuela, in Argentina. Avventurosi viaggi con la nave.
Duravano venti giorni quelli per Buenos Aires. Sacrifici enormi alla
ricerca della terra promessa. Vicende umane toccanti: “Mio nonno
cercava una moglie italiana. E così ha sposato “per procura” mia
nonna Emilia Romeo, che era orfana di guerra. Aveva perso i
genitori e una sorella di tre anni nella Prima Guerra Mondiale. Nata
a Caulonia, un paese non lontano da Gioiosa, era stata portata
in un convento a Roma, dove aveva imparato a leggere e scrivere. Nel
1937 il matrimonio con il mio bisnonno. Hanno avuto quattro figli:
due maschi e due femmine. La mia bisnonna era una donna molto attiva.
Istruita ed altruista. Aiutava gli immigrati analfabeti a
comunicare con le famiglie in Italia. Scriveva le lettere e leggeva
quelle che arrivavano dalla Calabria. Il compenso era la pasta
all'uovo fatta in casa oppure la frutta. Mi raccontava la tristezza
che la prendeva quando doveva leggere le cattive notizie.Familiari
disperati. Lacrime di dolore per i gravi lutti e per la lontananza
che impediva di dare l’estremo saluto ai loro cari”.
Suo
nonno è ritornato qualche volta a Gioiosa?
“Aveva
tanta nostalgia. Diceva sempre che voleva tornare. Mandava i soldi ai
parenti che avevano bisogno di aiuto. Era un generoso. Tornò nel
1951. Giunse a destinazione con molti giorni di ritardo. Più di
venti giorni di navigazione. Il dolore per la morte della madre,
avvenuta tre giorni dopo che lui era partito dall'Argentina. La
grande accoglienza dei nipoti. Mio padre mi racconta che
l’accompagnarono a visitare tutti i parenti e che riportò
dalla Calabria due bauli pieni di doni. Li divise con tutta la
famiglia. Sono così generosi i calabresi!”
*già
Caporedattore del TGR Rai