Lo
spettacolo si propone di tracciare un ritratto non solo teatrale, ma
anche umano e di costume del grande autore-attore, troppe volte
rappresentato in un facile e fuorviante cliché di comico romanesco.
Non fu certo un caso che Petrolini mettesse in scena le sintesi
futuriste e che Marinetti lo proclamasse “grande attore futurista”.
“Io, Ettore Petrolini” rappresenta anche l’uomo con il suo
rapporto profondo con Roma, dov’era nato in un vicolo vicino a Via
Giulia, il suo orgoglio ma anche la sua malinconia, il suo sguardo
lucido sulle debolezze umane, ma anche la sua fiducia nella dignità
degli uomini.
La
commedia, opera di un autore che è anche uno studioso di Petrolini,
avendo curato l’edizione più completa e più fortunata delle sue
opere, coniuga il ritratto artistico e umano dell’attore-autore con
quello dell’irresistibile narratore di facezie, barzellette,
“colmi”, come egli li chiamava. Riso e malinconia, realtà e
memoria, verità e finzione, si alternano nella pièce con
l’obiettivo di far rivivere sulla scena, a settant’anni e più
dalla sua morte, una figura inimitabile, anche se oggi imitata,
spesso in maniera superficiale e maldestra, nell’originalissima
interpretazione che ne dà Antonello Avallone, intervistato da Fattitaliani.
Per un artista
che significato assume poter interpretare Petrolini?
Un vanto, una sfida, un rischio, una
presunzione…tanti sentimenti contrastanti. Petrolini è stato l’artista,
l’innovatore, non l’attore classico ma quello che si metteva ogni
volta in gioco con l’intento di spiazzare e sorprendere il pubblico
con le sue particolarissime interpretazioni. Ricordiamoci che stiamo parlando di 100
anni fa, al 1915 si riferisce per esempio la creazione di Fortunello.
La cosa che più mi ha attratto non è stata tanto l’interpretazione
delle sue macchiette, comunque molto stimolante, quanto il racconto
dell’uomo che alla fine dei suoi giorni ripercorre la sua carriera
e si pone l’interrogativo “se qualcuno si ricorderà di me”.
Del suo
esempio quale aspetto le piace mettere in pratica nella sua
professione?
Non so, lui era interprete del suo
repertorio, io spazio interpretando ruoli scritti da altri.
Una delle cose che condivido è quando
parla del ruolo dell’attore, ovvero della necessità di muoversi e
parlare sulla scena come nella vita, di provare realmente i
sentimenti e le emozioni che si vogliono trasmettere al pubblico,
usando la voce e tutto il corpo. Questa è una cosa che provo a fare
sempre, tutte le volte che vado in scena, con qualunque spettacolo.
Certamente mi sono dovuto avvicinare a
lui con molta attenzione e ciò che mi ha colpito di più è stato il
suo scetticismo nei confronti dei suoi colleghi e la critica verso le
scuole di recitazione. Lui non aveva studiato e non aveva frequentato
nessuna scuola di recitazione e sosteneva che fare teatro non si
impara a scuola, è un dono innato che va coltivato con
l’intelligenza, con lo studio dei comportamenti delle persone
comuni che si incontrano per strada.
Testo, regia e
interpretazione che cosa confermano e che cosa invece sconfessano di
quello che si sa di Petrolini?
Per carità, spero che si avvicini il
più possibile alla realtà, non mi piacerebbe non raccontare la
verità su un personaggio così importante della nostra storia. Tra
l’altro chi l’ha scritto è uno studioso come Giovanni Antonucci
e regia e interpretazione si sono semplicemente impegnati a dare vita
a questo grande artista. Sono, tra l’altro, molto felice di essere
lontano dalla caratteristiche fisiche di Petrolini, per cui, al di là
dell’interpretazione delle sue macchiette, non sempre fedelissima
ma da me personalizzata, raccontiamo la storia di un uomo che si
trova a fare i conti con una malattia che non gli permette più di
andare in scena e fa un resoconto della sua vita artistica.
Quale Roma si
ritrova in lui? Petrolini si ritroverebbe nella città di oggi?
La Roma di Petrolini è una Roma che
non c’è più. La descrizione che dà di Piazza Guglielmo Pepe,
con i teatri baracconi pieni di ciarlatani e saltimbanchi è
meravigliosa, e dà un ritratto di una Roma che nessuno di noi ha
visto. Già lui, negli ultimi anni, non la riconosceva più e,
malinconicamente, nello spettacolo ne ricorda i tempi “migliori”.
L’unica cosa che apprezza molto è l’avvento del cinematografo
negli anni ‘30, in particolare come unico mezzo per essere
ricordato. Era un improvvisatore, coglieva all’istante quello che
il pubblico voleva sentire, i suoi spettacoli non erano mai uguali e
andare in scena era tutte le sere una battaglia da vincere. E
vinceva, sempre. Per cui il cinema non poteva avere lo
stesso fascino. Se vivesse oggi, comunque, di personaggi satirici ne
creerebbe molti, per lui sarebbe una passeggiata, prenderebbe in giro
tutti noi. Giovanni Zambito.
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Teatro dell'Angelo di Roma
dal 18 al 29 marzo 2015
Antonello Avallone
IO, ETTORE PETROLINI
di Giovanni Antonucci
spettacolo teatrale con musiche
Musiche Pino Cangialosi
Scene Red Bodò
Regia
Francesco Branchetti (intervista)