di Tiziana Grassi. ROMA - Continua lo “Speciale
DEMIM” per approfondire temi e prospettive disciplinari dell’opera dedicata
alla Grande Emigrazione italiana tra Otto e Novecento. Oggi si propone
l’intervista a Delfina Licata, coordinatore
scientifico del Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo, pubblicato
dalla SER ItaliAteneo in
collaborazione con la Fondazione Migrantes.
Dottoressa
Licata, dopo Mons. Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione
Migrantes, che ha fortemente sostenuto e seguito con la massima attenzione la
realizzazione del Dizionario Enciclopedico, e il prof. Enzo Caffarelli, direttore
editoriale di questa monumentale opera, la intervisto nel terzo ruolo-cardine
di questo Dizionario, aperto da un pregnante messaggio del Card. Francesco
Montenegro, presidente della Fondazione Migrantes, sul ruolo della Chiesa
Cattolica nell’assistenza ai migranti, e che il Presidente Giorgio Napolitano,
nel suo Saluto di apertura a tutti gli italiani nel mondo, ha definito “una
vera e propria summa di un fenomeno che ha segnato indelebilmente la storia del
nostro Paese”. Lei, oltre ad essere autrice e co-curatrice del Dizionario
Enciclopedico, ne è stata il coordinatore scientifico. Una grande
responsabilità, se si pensa che il Comitato scientifico dell’opera è composto
da oltre 50 tra i massimi studiosi ed esperti di Emigrazione italiana, in
Italia e all’estero, e che l’opera ha visto il coinvolgimento di ben 168 autori.
Come ha affrontato, sul piano metodologico e contenutistico, quest’impegno?
Quali sono state le priorità che si è data nello sviluppo e nell’impostazione
di un’opera così articolata e complessa?
“In
realtà il Dizionario ha, come dire, bussato alla mia porta, professionalmente
parlando, in un momento di maturità. Dopo anni di lavoro sull’emigrazione
italiana dapprima per propensione e passione personale, poi con la Fondazione
Migrantes e il Rapporto Italiani nel
Mondo ho ormai chiaro nel mio percorso umano e di lavoro come il tema della
mobilità, e in particolar modo riferito all’Italia e agli italiani, sia un
universo in costante movimento, mai identico a se stesso e che chiede di essere
studiato e approfondito in rete, lavorando cioè con altri, nella
multidisciplinarietà e nella multilocalità. Intendo dire che occorre
inevitabilmente rispettare il punto di vista di chi in Italia vive e guarda
alla mobilità degli italiani e di chi non è in Italia e si occupa della stessa
materia risiedendo fuori dei confini nazionali. Così come è inevitabile che gli
approcci siano pluritematici perché è la stessa mobilità ad avere una ricchezza
espressiva disarmante comprendendo la storia, l’economia, la politica,
l’antropologia, la sociologia, la geografia, la poesia, la letteratura, il
diritto e tutti gli argomenti che poi ha cercato di compendiare il Dizionario.
Il metodo e i contenuti usati per il Dizionario derivano da quanto detto fino
ad ora e tra le priorità c’è stata sicuramente quella di coinvolgere quanti più
studiosi possibili incontrati soprattutto durante gli anni di Rapporto Italiani
nel Mondo, ma anche in altri contesti diversi così da mettere in campo un coro a
più voci.”
Quali
sono state, nel corso di un lavoro che ha richiesto molti anni di impegno, le
difficoltà che ha incontrato nel coordinare, sul piano scientifico, tante
‘visioni’, approcci e prospettive disciplinari?
“Quando
si deve fare sintesi la cosa più difficile è il rispetto di ciascuna parte
nella sua visione, nel suo modo di esprimersi, nei termini scelti per
descrivere i concetti. Ciascun studioso, e questo vale ovviamente per ogni
ambito, matura un proprio linguaggio e quando la regola comune reclama
semplicità e massima accessibilità, tutto si complica. Il Dizionario è un’opera
complessa realizzata in modo semplice per renderne facile la consultazione.
Esso si rivolge, infatti, non solo ai tecnici, alle persone “di mestiere”, ma a
un pubblico vasto per età e formazione. Abbiamo cercato di pensare anche agli
studenti di ogni ordine e grado; a chi non parla italiano, ma si interessa
dell’Italia e degli italiani; ai protagonisti che l’emigrazione italiana l’hanno
scritta e che oggi possono ritrovare la loro storia personale e familiare nello
snodarsi dell’alfabeto italiano.”
Dalla
sua prospettiva anche di co-curatrice, come si è interfacciata con questo
lavoro?
“Nella
curatela paradossalmente si è vissuta per prima la multidisciplinarietà e la
multilocalità di appartenenza, che poi è stata curata e rintracciata in tutta
la splendida rete di 168 autori diversi. Intendo dire che ognuno dei cinque
curatori ha una sua specificità professionale che ha messo al servizio
dell’opera, amalgamandosi a quella degli altri. Ognuno dei curatori, quindi, ha
dato il proprio imprinting
professionale per una resa che fosse il più possibile vicina alla perfezione. È
vero, ogni cosa è migliorabile, ma in quel momento abbiamo ritenuto che le
scelte prese fossero le migliori che potevamo prendere in ragione di un unico
fine: quello di rendere l’opera fruibile il più presto possibile considerando
l’entusiasmo dell’attesa che si era creato
intorno all’opera per i diversi anni di elaborazione e realizzazione che ha
giustamente richiesto.
Lei
è anche tra gli autori di questo “Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni
Italiane nel Mondo”: quali sono stati i lemmi, le voci a sua cura e quali focus
di riflessione-approfondimento ha voluto porre, tematizzare?
“L’opera
è arrivata alla Migrantes e quindi nelle mie mani di coordinatrice scientifica con
diversi lavori già realizzati e che dovevano solo trovare la giusta
collocazione e la corretta espressione per rendere l’uniformità dell’opera. È
stato interessante sistematizzare gli argomenti più diversi e lontani da ciò
che mi è più vicino ed è stato stimolante riflettere e realizzare argomenti
nuovi come i lemmi relativi ai principali Paesi di residenza degli italiani.
Argomenti sterminati che bisognava riassumere senza semplicemente “togliere”,
ma cercando di valorizzare una sintesi ardua e faticosa che considerasse e
raccontasse il passato arrivando sino alloggi, a chi sono gli italiani nel
mondo dove per mondo si intende davvero ogni lembo di terra. Paesi “scontati”
come Argentina, Stati Uniti, Germania, Canada, Svizzera, Australia, Spagna,
Brasile ma anche Cina, Romania, Sudafrica, Egitto, India, Finlandia, Irlanda,
Perù, Portogallo, Marocco e tanti altri. Un vero e proprio “viaggio in giro per
il mondo” dove gli italiani non sono stati e non sono solo presenza, ma
promotori di cultura e professionalità, tenaci lavoratori, uomini, donne e
intere famiglie dedite al sacrificio, dai valori indiscutibili e dalla
devozione profonda.
È stato bello non occuparsi di
materie “scontate” come può essere, nel mio caso, la riflessione sui numeri,
presenze e flussi nel tempo e nello spazio, ma cercare di dare un volto agli
uomini e alle donne attraverso un Dizionarietto
biografico degli italiani emigrati e degli oriundi celebri, circa 300
mini-biografie di personaggi, italiani viventi e non, vissuti o nati
all’estero, e oriundi, discendenti di famiglie italiane emigrati,
indipendentemente dal fatto che possiedano o abbiano posseduto la cittadinanza
italiana. Si tratta di uomini e donne distintisi in campo politico, sociale,
religioso, artistico, scientifico, sportivo, ecc. che hanno contribuito, nella
stragrande maggioranza dei casi, alla crescita del Paese d’adozione (con
qualche eccezione di celebrità raggiunta attraverso attività criminali) e che
hanno reso o rendono tuttora onore all’Italia. Un mondo di sterminata genialità
che fa riflettere: effettivamente,
la mobilità umana è un
“fatto sociale totale”, un fenomeno cioè che coinvolge più persone ognuna nella
sua complessità individuale e di relazione con gli altri.”
Lei
è direttore e curatore del Rapporto Italiani nel Mondo, annuale pietra miliare
della Fondazione Migrantes quale indispensabile finestra di osservazione e
approfondimento sul mondo delle migrazioni di ieri e di oggi. Ne parliamo? Nel
corso del suo lavoro di Coordinatore scientifico, ha riscontrato eventuali
intersezioni amplianti, sinergie conoscitive, tra il Rapporto Italiani nel
Mondo e questo Dizionario, una sorta di possibile effetto moltiplicatore nel
dibattito in corso sull’Emigrazione italiana nel mondo, che alcuni definiscono
‘storia del passato’, altri materia vivissima?
“Sicuramente
ho preso maggiore coscienza che nonostante il Rapporto Italiani nel Mondo sia, in questo 2015, al suo decimo anno
di età, è più ciò che resta da fare di quanto sia stato fatto. Da anni mi
spendo affinché il tema della mobilità italiana sia maggiormente presente nel
dibattito pubblico e con nuove caratteristiche ovvero che si guardi al passato
come imprescindibile passepartout per
arrivare a meglio capire e interpretare la mobilità di oggi. Ogni strumento
culturale che possa ampliare il dibattito è quindi importante. Il Dizionario è,
qualcosa in più. Non esiste un’opera paragonabile e se ne aveva bisogno
sicuramente anche come punto di riflessione comune degli studiosi di questo
argomento dal quale ripartire alla luce del nuovo momento di mobilità italiana
che stiamo vivendo. La mobilità non si può fermare; è innata nell’uomo e si
trasforma con esso. Anche la riflessione va plasmata a seconda delle
trasformazioni rilevate: nuovi strumenti, nuovi approcci. Occhi nuovi per il
mondo diverso in cui siamo.”
In
un tempo che vive le contraddizioni e i contraccolpi della globalizzazione e
della complessità, un tempo che necessita di sguardi più maturi, ampi e
inclusivi verso l’Altro, può secondo lei essere utile - e per chi - questo Dizionario
come strumento, come occasione di conoscenza, di sensibilizzazione sui fenomeni
migratori e il loro portato umano, sociale, storico? Il nostro passato cosa può
insegnare?
“A
me piacciono due cose in particolare di questo Dizionario: la sua modernità
nonostante la sua pubblicazione lo abbia “fissato” in un determinato momento
storico escludendolo, di fatto, da tutto ciò che dal mese della sua
pubblicazione è avvenuto e la sua attenzione all’Altro. Dalla lettura attenta
di ogni lemma emerge che l’obiettivo perseguito da ogni autore è sempre l’oggi
anche quando parla di eventi dell’Ottocento. Guardare le foto delle navi delle Compagnie
di navigazione, ad esempio, rimanda ai gommoni di oggi, alle “navi” con cui
arrivano in migliaia alle coste italiane dai porti del Nordafrica. Ricostruire
la parola ‘straniero’ attraverso le voci dei sociologi lungo l’arco del tempo
ci riporta all’uso improprio che ne facciamo oggi nel nostro parlare
quotidiano, ma anche nello scrivere. Basta leggere i tanti dibattiti del
giornalismo di oggi e l’uso di “etichette” improprie quando si “raccontano” le
migrazioni di oggi.
L’attenzione per l’Altro è un
punto fondamentale e imprescindibile che richiede una particolare sensibilità.
Alcuni studiosi di mobilità l’hanno innata magari perché loro stessi soggetti
di mobilità, altri la imparano dal contatto con i migranti. Altri ancora,
permettetemi, purtroppo non riescono a sintonizzarsi su questo “canale” che
invece è, per la Fondazione Migrantes e i suoi collaboratori, insostituibile.
Non ci si può accostare allo studio della mobilità umana senza sensibilità ai protagonisti, al fatto cioè che
i percorsi migratori sono compiuti da uomini e donne di ogni età e provenienza,
i quali proprio per la loro unicità determinano viaggi straordinari e danno
vita a storie particolari. Non possono essere dimenticati i tanti italiani,
emigrati o nati all’estero, e i discendenti che, con le loro vite semplici e
comuni, contribuiscono o hanno contribuito in maniera determinante alla
straordinarietà dell’emigrazione italiana.”
Quali
sono i passaggi del messaggio del Card. Francesco Montenegro - Arcivescovo di
Agrigento - in apertura del Dizionario, circa il fondamentale impegno della
Chiesa Cattolica nell’assistenza ai migranti del passato e del presente, che
l’hanno colpita di più?
“Nel
suo messaggio breve ma intenso io ho immediatamente letto una sorta di mandato
lavorativo per il domani; la meta a cui guardare e lo sprone a fare sempre di
più e meglio. La ricerca non è mai arrivo, ma è continua ripartenza, per
scrivere una pagina in più di conoscenza acquisita. “La società cambia, ma il
destino migrante dell’uomo resta” scrive Montenegro. Al di là del credo di
ciascuno di noi, al di là del luogo in cui ognuno di noi vive e opera, il destino
migrante accomuna tutti.”
In
conclusione cosa si augura possa nascere da questa esperienza
editoriale-culturale, a tutti i livelli? E a lei, cosa lascia come persona e
come studiosa?