di Domenico Logozzo * PESCARA -
“Il
fenomeno dell’assistenza spontanea era generalizzato in tutta la
regione abruzzese. Sulla base di statistiche desumibili dai documenti
conservati negli archivi nazionali di Washington, si può calcolare
un coinvolgimento di decine di migliaia di persone nell’assistenza,
sempre più rischiosa, agli ex prigionieri alleati fuggiti dai campi
di concentramento dopo l’8 settembre”.
Il grande cuore della
straordinaria gente d’Abruzzo, evidenziato da Roger
Absalom,
lo storico inglese che è stato ufficiale durante la campagna
d'Italia, una esperienza che gli ha permesso di conoscere
direttamente il periodo della Resistenza, trova una ulteriore
conferma nel libro fresco di stampa “Terra
di Libertà”,a
cura della giornalista Rai Maria
Rosaria La Morgia
e dello studioso Mario
Setta.
Un libro di storie nell’Abruzzo della seconda guerra mondiale,
dedicato proprio a Roger Absalom. ”Storie di uomini e di donne”
che la giornalista e lo studioso hanno raccolto con pazienza
certosina e grande rigore storico. “La storia dei prigionieri
angloamericani internati nei campi in Italia che dopo l’8
settembre riuscirono a fuggire e a nascondersi tra la popolazione, in
attesa di passare le linee del fronte o del ritiro dei tedeschi, è
una vicenda poco nota al grande pubblico”, scrive nell’introduzione
Elena
Aga Rossi.
E sottolinea: “Fino a pochi anni fa non era stata nemmeno tradotta
l’opera più esaustiva sull’argomento, il libro di Roger Absalom,
pubblicato in inglese da Olschki nel 1991”. Ricorda che solo di
recente la Rai ha trasmesso un documentario e che “vi è una ricca
memorialistica di prigionieri che hanno narrato la loro esperienza,
ma i volumi sono pubblicati solo in inglese o tradotti da case
editrici locali”. Precisa che “la maggioranza dei
prigionieri erano inglesi o dei paesi del Commonwealth ed erano stati
catturati sul fronte africano, ma vi erano anche gli americani, tra
questi molti piloti abbattuti dalla contraerea”. E nel libro
sono tante le “testimonianze di ex prigionieri alleati usciti dai
campi di concentramento e in fuga dai tedeschi, e di altri
protagonisti, militari e antifascisti che si trovarono ad
attraversare l’Abruzzo, per lo più nel tentativo di raggiungere le
linee alleate”. E così viene fuori il ritratto limpido di gente
umile e coraggiosa che rischia la vita per salvare altre vite.
“Colpisce il fatto che non sono soltanto alcuni individui che
accolgono il nemico del giorno prima come un ospite – scrive Elena
Aga Rossi
- ma è l’intera comunità che partecipa e si organizza per
aiutarli, nonostante i proclami dei tedeschi che minacciavano la
distruzione delle case dove avessero trovato rifugio i prigionieri e
la fucilazione di tutti gli abitanti”.Prof. Setta, con il libro “Terra di libertà” viene reso il dovuto tributo di riconoscenza agli abruzzesi che nella seconda guerra mondiale sono stati protagonisti di alti gesti di generosità.
“Una
pagina di storia sottovalutata, quando non proprio assolutamente
sconosciuta. Spesso per trascuratezza o per una pregiudiziale che
identifica resistenza e lotta armata. Solo con queste opere di
ricerca, incoraggiate dagli ex-prigionieri di guerra, si è
cominciato a parlare di “Resistenza umanitaria”. “La storia è
l’uomo” è un ritornello per storici come Febvre, Braudel e tanti
altri. Studiare storia significa innamorarsi dell’uomo così com’è,
anche se “nulla è più difficile per un uomo che esprimere se
stesso”, faceva notare Marc Bloch. In Abruzzo la seconda guerra
mondiale ha lasciato segni profondi. Devastazioni. Terrore. Eccidi
spaventosi. Basta pensare a Pietransieri e Gessopalena. L’Abruzzo è
la prima regione che viene schiacciata e smembrata dall’occupazione
tedesca, con la creazione della linea Gustav. Ma in quel clima di
abbandono e di disperazione, emerge la volontà di non morire. La
forza di resistere e sollevarsi dalle macerie dei corpi ammucchiati
e delle pietre accumulate. Due documenti di quel periodo ci danno la
fotografia esatta dell’uomo-donna abruzzese: la testimonianza di
Virginia Macerelli, unica sopravvissuta di Pietransieri e la lettera
di Michele Del Greco, pastore fucilato per aver dato da mangiare a
decine di ex-nemici. Non abbiamo voluto scrivere l’ennesima opera
di storia sulla guerra, ma dare la parola ai protagonisti, sentire la
loro voce, raccogliere il loro lamento e il grido di speranza. Le
voci di diciannove stranieri e sedici italiani. Una piccola parte.
Abbiamo solo indicato la via da percorrere, richiamando la lunga
sfilata delle testimonianze autobiografiche dei prigionieri di
guerra: da Krige a Furman, da Derry a Fox, da Simpson a Goody, ecc.
ecc. fino a Verney che, tornando nel dopoguerra, scrive: « Sono
venuto per riprendermi qualcosa. L’interesse per la vita, si
potrebbe dire, o il gusto per le cose essenziali, come pane,
formaggio, salsicce, aglio… Sono venuto qui per rivivere
un'esperienza, ricordare l'importanza della gentilezza
disinteressata, apprendere di nuovo una lezione che ho imparato in
Italia durante la guerra...». Nel libro, “E si divisero il pane
che non c’era”, nato nel Liceo Scientifico Statale Fermi di
Sulmona e che è stato punto di arrivo e partenza di questa ricerca,
la lunga trattazione si chiude col messaggio “La guerra non uccide
l’amore”, riportando microstorie di amori nati tra ex-nemici e
finiti col matrimonio. Forse per questo, Jack Goody, il grande
antropologo e storico docente a Cambridge, ed ex-prigioniero del
Campo 78 di Fonte d’Amore a Sulmona, nel libro “Il furto della
storia” scrive: “L’amore davvero governa tutto il mondo, non
soltanto il continente europeo”.
Ci
sono racconti particolarmente toccanti,come la “testimonianza poco
conosciuta, ma sconvolgente” di Maria Eisenstein, nel campo di
Lanciano.
“Anche
questa è una pagina della solidarietà abruzzese. E sono gli stessi
ebrei a testimoniarlo. Si sa che Mussolini,
nel “Manifesto
del razzismo italiano” (14
luglio 1938), aveva dichiarato, tra i dieci punti: “Esiste una pura
razza italiana; è tempo che gli italiani si proclamino francamente
razzisti; gli ebrei non appartengono alla razza italiana”. E
arrivarono le leggi contro gli ebrei. Il fascismo si allineava al
nazismo. Furono creati campi di internamento per ebrei italiani e
stranieri. E molti di questi campi erano in Abruzzo: Chieti, Casoli,
Città S. Angelo, Civitella del Tronto, Corropoli, Isola del Gran
Sasso, Lama dei Peligni, Lanciano, Nereto, Notaresco, Tollo,
Tortoreto, Tossicia. Il diario di Maria Eisenstein, dal titolo
“L’internata
numero 6”, sulla
sua permanenza nel campo di Lanciano è la descrizione di
vita reale, con un “Incipit”
stile “Il Processo” di Kafka: «La mattina del 17 giugno 1940,
sette giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia e sei giorni
dopo aver ricevuto la notizia della morte di mio padre in Polonia,
alle sette e minuti, un ometto in borghese, mal vestito, si presentò
a casa mia…». Ma molti ebrei trovarono ospitalità e
complicità da parte di molte famiglie abruzzesi, che li
accolsero e li sfamarono. Ne sono testimonianza le memorie dei
confinati e dei fuggiaschi, nascosti in Abruzzo: da Ginzburg a
Finzi-Contini, da Fleischmann a Pirani, dalla famiglia Modiano
ai Fuà, fino a Beniamino Sadun, che, con la madre, si nascose
a Scanno, in compagnia dell’amico Carlo Azeglio Ciampi. Durante
l’intervista, durata un intero pomeriggio, gentilmente concessami
nella sua abitazione a Roma, Beniamino Sadun, ingegnere
ultraottantenne, al ricordo dell’accoglienza ricevuta a Scanno e
nei paesi della Valle del Sagittario, non faceva altro che parlare e
piangere. Forse
il caso più emozionante è quello di Giovanni Finzi-Contini,
componente della famiglia ebrea resa celebre dal romanzo di Bassani e
dal film di Vittorio De Sica, “Il
giardino dei Finzi-Contini”,
che ha raccontato i suoi rapporti con Atessa, scrivendo: “Temo di
amare questa terra… avverto una sorta di corrispondenza biologica,
oserei dire animale, tra la mia carne e le forme di questo paese
sperduto: quasi che il vento gelido che a sera scende dalla lontana
Maiella abbia per me ormai un significato personale e individuale
troppo radicato e profondo: un legame come tra madre e figlio…”.
Alla
solidarietà dimostrata dalla gente, Finzi-Contini dà una sua
risposta: “…un simile comportamento non può non derivare da
consuetudini remote, da una sapiente tolleranza e da un superiore
rispetto per l’uomo ormai connaturali a queste popolazioni…”.
Ma, il caso più emblematico è quello del giovane ebreo
diciassettenne di Sulmona, Oscar Fuà. Era stato nascosto, con
tutta la famiglia, nelle case di amici sulmonesi. Si verificava a
Sulmona ciò che avveniva ad Amsterdam, dove in un edificio di via
Prinsengracht 263, viveva nella clandestinità la famiglia Frank. Il
celeberrimo “Diario” di Anna Frank descrive l’isolamento e la
paura di essere scoperti. Ma a differenza dei Frank che furono
traditi e deportati nel lager di Bergen Belsen dove morirono, la
famiglia Fuà non venne denunciata né scoperta. Anzi, con l’arrivo
a Sulmona dei patrioti della Brigata Maiella, Oscar Fuà vi si
arruola con l’obiettivo di contribuire alla liberazione d’Italia.
Dopo pochi mesi, il 4 dicembre 1944, viene ucciso in battaglia a
Brisighella, in provincia di Ravenna. Qualche tempo prima, passando
da Recanati, aveva acquistato una cartolina del paese con alcuni
versi di Leopardi, indirizzandola alla sorella Giuseppina. Non era
riuscito a spedirla. Gliela trovarono in tasca. Ai familiari furono
riconsegnati: la cartolina non spedita, un portafoglio, un
pezzo di stoffa dei pantaloni”.
Commoventi
le pagine del diario di Donato
Ricchiuti,
“Addio, Anna del cuore”, morto a 24 anni, combattendo con la
Brigata Maiella. Colpito al petto da una fucilata insieme a due
soldati inglesi, nei pressi di Lama dei Peligni. Aveva chiesto ed
ottenuto di partecipare all’attacco in sostituzione di un altro
patriota. ”La
mia montagna! Mia vita! Rintana il lupo nei suoi recessi
nascondigli.L’aquila,il nibbio,i corvi nei tuoi strapiombi
inarrivabili. Le greggi pacifiche tra il verde dei tuoi altipiani. Le
capre brucanti l’erba tra le tue scoscese pareti. I pastori ,i
carbonari ,l’uomo della vallata tra la maestosità divina della tua
mole. Montagna madre! T’amo. Infinitamente t’amo”.
Gli autori del libro evidenziano: “La storia di Donato Ricchiuti è
storia di quei giovani abruzzesi che scelsero di combattere per
difendere la patria contro l’occupazione tedesca. E lo fecero
subito, senza attendismi e senza riserve”. La Brigata
Maiella,
nata il 5 dicembre del ’43, è la sola formazione partigiana
decorata di Medaglia d’oro al Valor Militare. Maria
Rosaria La Morgia
l’ha ricordata intervistando Carlo
Troilo,
figlio del promotore, Ettore
Troilo,
avvocato socialista, attivo antifascista. Alla domanda: “Come
riassumerebbe le caratteristiche della Brigata Maiella?”,
Carlo Troilo risponde: “Tre caratteri distintivi sono abbastanza
noti. Il primo è che la Brigata fu la prima formazione partigiana
cui gli Alleati diedero fiducia ed armi. La seconda è che Troilo
ottenne dal Maresciallo Messe che la “Maiella” non fosse
“assorbita” dall’Esercito Italiano ma fosse conosciuta come un
reparto irregolare dello stesso esercito, con larga autonomia
strategica. Troilo insistette per questo, perché lui ed i suoi
uomini erano di forti sentimenti repubblicani, mentre l’esercito
era ancora “regio”. La terza è che la “Maiella” fu la
sola formazione partigiana non legata ai partiti, e quindi non ebbe i
“commissari” politici”. Ma io voglio insistere soprattutto su
un aspetto meno noto, e cioè la “non violenza” della Brigata. Le
atrocità di molti partigiani, le vendette personali, le foibe:
purtroppo sono realtà innegabili, di cui molti
legittimamente scrivono ma su cui alcuni vorrebbero costruire
inaccettabili equiparazioni tra rossi e neri, o una “pacificazione
nazionale” senza distinzione tra chi combatteva con i nazisti e chi
invece si batteva per la libertà”.
Anche
Carlo
Troilo
esalta il grande ruolo avuto dalla popolazione abruzzese: ”C’è
un’ultima Medaglia d’Oro che dovrebbe ancora essere assegnata ,ed
è quella al popolo abruzzese, protagonista silenzioso e modesto di
una vera epopea. Forse nessuna popolazione come quella abruzzese si
rese protagonista in Italia di una Resistenza così coraggiosa e così
corale”. E’ doveroso ricordare a questo proposito la
testimonianza di chi ha avuto un grande aiuto dagli abruzzesi, come
l’ex presidente della Repubblica Carlo
Azeglio Ciampi:
”Una popolazione povera, provata da anni di guerra, semplice ma
ricca di profonda umanità, accolse con animo fraterno ogni
fuggiasco, italiano o straniero; vide in loro gli oppressi, i
bisognosi, spartì con loro “il pane che non c’era”; visse quei
mesi duri, di retrovia del fronte di guerra con vero spirito di
resistenza, la resistenza alla barbarie”.
Prof.
Setta, lei per anni ha insegnato nel Liceo Scientifico Fermi di
Sulmona e ha promosso importanti eventi storici e culturali,
come la nascita dell’Associazione “Il Sentiero della
Libertà/Freedom Trail”, con il sostegno di Carlo Azeglio Ciampi. E
“Terra di libertà” inizia proprio con la testimonianza di Ciampi
“nel silenzio di queste montagne”. Le parole dell’ex
Presidente quanto possono aiutare i giovani di oggi a vivere meglio
il presente e partecipare attivamente alla costruzione di un futuro
con più certezze?
“Quando
il 24 aprile 2003 fummo ricevuti al Quirinale e consegnammo il libro
“Il sentiero della libertà. Un libro della memoria con Carlo
Azeglio Ciampi”, edito dalla casa editrice Laterza, il presidente
Ciampi mostrò un particolare entusiasmo. Era la prima volta che il
suo nome appariva su un libro che non trattava di economia. Era un
pezzo della sua storia personale. Una storia che lo aveva segnato
profondamente. Da allora il Presidente non ha mai smesso di invitare
i giovani a conoscere la storia, ad impegnarsi per contribuire a
migliorare la società. In un libro dal titolo “A un giovane
italiano” (Rizzoli 2012), come ad uno scrigno o ad un vademecum,
Carlo Azeglio Ciampi, ora Presidente emerito della Repubblica
Italiana, sembra voler lasciare la sua eredità. La sua “ultima”
parola. Un bilancio. Stato patrimoniale e conto economico, che
di economico ha ben poco, perché si avvale di voci che riguardano
esperienza vissuta, analisi di grandi fenomeni socio-politici, idee e
pensieri scaturiti da “riflessione e lettura”. “A un giovane
italiano” è un libro che non ha nulla di “nazionalistico”, ma
tutto di europeo ed universale, perché messaggio profondamente
umano. Un piccolo libro in cui ogni parola ha un peso
gigantesco ed ad ogni punto si apre uno scenario da galassia. Tutti i
temi che assillano gli uomini di ogni età e che un giovane trova sul
suo cammino sono esposti senza riserve e senza finzioni,
delineati con la partecipazione, la competenza e l’esperienza d’un
ultranovantenne. Come bussola i princìpi di giustizia,
libertà, solidarietà, dignità. Anche la politica, oggi così
bistrattata e irresponsabilmente predicata come “cosa sporca”,
deve tornare al suo alto grado di dignità, perché “è solo
l’indegnità degli uomini che sporca la politica, quando viene
piegata a interessi personali o particolari, piuttosto che a quello
generale”. “Non posso dirmi pessimista” conclude Carlo Azeglio
Ciampi, citando Seneca delle “Lettere a Lucilio” e invitando i
giovani ad aver fiducia nelle proprie risorse e nella capacità di
indignarsi, riprendendo lo slogan “Indignatevi”, lanciato da un
altro grande vecchio, Stéphane
Hessel,
divenuto parola d’ordine tra i giovani del mondo.
*già
Caporedattore del TGR Rai